Le fusioni e acquisizioni hanno registrato una forte contrazione negli ultimi mesi, ma restano comunque tra le aree più redditizie per i giri d’affari degli studi legali.
Nel primo trimestre, secondo i dati Kpmg, sono state chiuse in Italia operazioni per 4,3 miliardi (nel primo trimestre 2017 erano 10 miliardi). Nel 2018, dopo una buona partenza, c’è stato un rallentamento. Sono state chiuse operazioni per 91,4 miliardi (erano 46 miliardi nel 2017). In retromarcia gli investimenti esteri: 18,4 miliardi nel 2018 contro i 23 del 2017.
Per alcuni grandi studi l’M&A può arrivare a valere tra il 35 e il 40% del volume d’affari. «L’M&A è uno dei settori più importanti per gli studi. Ma è difficile dire quanto influisca. Oggi c’è grande concorrenza fra gli studi e pressione quindi sulle fees. Inoltre alcune aziende sono sempre più spesso capaci di gestire, almeno parzialmente, un processo di M&A internamente» indica Pietro Cavasola, partner e responsabile del dipartimento corporate M&A di CMS in Italia.
«Nel nostro studio le fusioni e acquisizioni sono parte di un’area più ampia, quella del corporate M&A, che comprende non soltanto le operazioni straordinarie ma anche l’assistenza sulla operatività ordinaria delle società; in generale le interazioni tra corporate M&A e altri dipartimenti più specialistici (fiscale, anti-trust, proprietà intellettuale, diritto del lavoro, amministrativo) sono numerose e importanti. In ogni caso per il nostro studio l’M&A può arrivare a valere attorno al 40% del giro d’affari» dice l’avvocato Roberto Cappelli, partner dello studio Gianni Origoni Grippo Cappelli.
L’M&A ha avuto volumi elevati fino al 2008, quando è stato colpito dalla crisi dei subprime. Negli anni successivi la forte presenza di liquidità ha fatto ripartire il settore. Come rileva BonelliErede, «il 2018 è stato positivo per l’M&A, con l’eccezione dell’ultimo trimestre, influenzato dal calo dei mercati. In Italia il mercato è caratterizzato dalla presenza di un numero relativamente ridotto di aziende di grandi dimensioni. Nonostante questi limiti dimensionali, nell’ultimo anno si sono continuate a vedere parecchie acquisizioni di aziende estere in Italia e diverse aziende tricolori sono cresciute per acquisizioni all’estero». Basta pensare a multinazionali come Ferrero, Lavazza, Prysmian e Luxottica.
I private equity poi continuano a investire: «Sono molto attivi sulle operazioni medio-piccole. C’è da dire che i fondi vedono, in questa fase di incertezza, un’opportunità, in quanto i prezzi in Italia sono ancora buoni per aziende che rappresentano eccellenze anche se poco conosciute» spiega Cappelli.
Al di là di determinati settori (come banche e assicurazioni) in cui gli operatori strategici tendono a integrarsi per essere competitivi, i private equity sono stati veri traini alle acquisizioni. «Sono fra gli investitori con maggiore esperienza, conoscenza e risorse e altresì dotati di catene decisionali rapide ed efficienti che ben si prestano a valutare investimenti – osserva l’avvocato Stefano Sciolla, partner dello studio Latham Watkins -. Gli stessi livelli di indebitamento del target sono sempre più oggetto di un’analisi approfondita e molto attenta prima dell’investimento» .
Abbastanza fermo invece l’M&A da parte delle aziende pubbliche: «Le grandi aziende statali sono in attesa delle decisioni politiche, mentre sembra delinearsi un maggior attivismo della Cdp» indica Cappelli.
Ma chi sono i grandi clienti degli studi legali? Sul versante del private equity c’è sempre una tendenza positiva. Ma accanto ai fondi chiusi ci sono ora anche investitori finanziari che operano con logiche non interamente sovrapponibili: family offices, Spac e fondi sovrani.
I gruppi esteri cercano poi opportunità strategiche. Sempre secondo l’analisi di BonelliErede, «guardano all’Italia alla ricerca di target con capacità tecnologica e presenza sui mercati esteri: gli acquirenti sono soprattutto le multinazionali Usa e quelle francesi, malgrado i rapporti non facili in questo momento con l’Eliseo. Tra gli asiatici dopo decenni sono tornati i compratori giapponesi, mentre è prevedibile che i gruppi cinesi continuino a essere meno presenti. I settori più dinamici sono le infrastrutture e l’alimentare, ma anche il farmaceutico.
I grandi studi internazionali restano i più attivi. «Soprattutto grazie al network e alla reputazione internazionale che permette di intercettare i clienti esteri. Per gli studi boutique in genere c’è invece poco spazio se si guardano le grandi transazioni crossborder» osserva Cavasola.
Autore: Carlo Festa
Fonte: Il Sole 24 Ore
Le fusioni e acquisizioni hanno registrato una forte contrazione negli ultimi mesi, ma restano comunque tra le aree più redditizie per i giri d’affari degli studi legali.
Nel primo trimestre, secondo i dati Kpmg, sono state chiuse in Italia operazioni per 4,3 miliardi (nel primo trimestre 2017 erano 10 miliardi). Nel 2018, dopo una buona partenza, c’è stato un rallentamento. Sono state chiuse operazioni per 91,4 miliardi (erano 46 miliardi nel 2017). In retromarcia gli investimenti esteri: 18,4 miliardi nel 2018 contro i 23 del 2017.
Per alcuni grandi studi l’M&A può arrivare a valere tra il 35 e il 40% del volume d’affari. «L’M&A è uno dei settori più importanti per gli studi. Ma è difficile dire quanto influisca. Oggi c’è grande concorrenza fra gli studi e pressione quindi sulle fees. Inoltre alcune aziende sono sempre più spesso capaci di gestire, almeno parzialmente, un processo di M&A internamente» indica Pietro Cavasola, partner e responsabile del dipartimento corporate M&A di CMS in Italia.
«Nel nostro studio le fusioni e acquisizioni sono parte di un’area più ampia, quella del corporate M&A, che comprende non soltanto le operazioni straordinarie ma anche l’assistenza sulla operatività ordinaria delle società; in generale le interazioni tra corporate M&A e altri dipartimenti più specialistici (fiscale, anti-trust, proprietà intellettuale, diritto del lavoro, amministrativo) sono numerose e importanti. In ogni caso per il nostro studio l’M&A può arrivare a valere attorno al 40% del giro d’affari» dice l’avvocato Roberto Cappelli, partner dello studio Gianni Origoni Grippo Cappelli.
L’M&A ha avuto volumi elevati fino al 2008, quando è stato colpito dalla crisi dei subprime. Negli anni successivi la forte presenza di liquidità ha fatto ripartire il settore. Come rileva BonelliErede, «il 2018 è stato positivo per l’M&A, con l’eccezione dell’ultimo trimestre, influenzato dal calo dei mercati. In Italia il mercato è caratterizzato dalla presenza di un numero relativamente ridotto di aziende di grandi dimensioni. Nonostante questi limiti dimensionali, nell’ultimo anno si sono continuate a vedere parecchie acquisizioni di aziende estere in Italia e diverse aziende tricolori sono cresciute per acquisizioni all’estero». Basta pensare a multinazionali come Ferrero, Lavazza, Prysmian e Luxottica.
I private equity poi continuano a investire: «Sono molto attivi sulle operazioni medio-piccole. C’è da dire che i fondi vedono, in questa fase di incertezza, un’opportunità, in quanto i prezzi in Italia sono ancora buoni per aziende che rappresentano eccellenze anche se poco conosciute» spiega Cappelli.
Al di là di determinati settori (come banche e assicurazioni) in cui gli operatori strategici tendono a integrarsi per essere competitivi, i private equity sono stati veri traini alle acquisizioni. «Sono fra gli investitori con maggiore esperienza, conoscenza e risorse e altresì dotati di catene decisionali rapide ed efficienti che ben si prestano a valutare investimenti – osserva l’avvocato Stefano Sciolla, partner dello studio Latham Watkins -. Gli stessi livelli di indebitamento del target sono sempre più oggetto di un’analisi approfondita e molto attenta prima dell’investimento» .
Abbastanza fermo invece l’M&A da parte delle aziende pubbliche: «Le grandi aziende statali sono in attesa delle decisioni politiche, mentre sembra delinearsi un maggior attivismo della Cdp» indica Cappelli.
Ma chi sono i grandi clienti degli studi legali? Sul versante del private equity c’è sempre una tendenza positiva. Ma accanto ai fondi chiusi ci sono ora anche investitori finanziari che operano con logiche non interamente sovrapponibili: family offices, Spac e fondi sovrani.
I gruppi esteri cercano poi opportunità strategiche. Sempre secondo l’analisi di BonelliErede, «guardano all’Italia alla ricerca di target con capacità tecnologica e presenza sui mercati esteri: gli acquirenti sono soprattutto le multinazionali Usa e quelle francesi, malgrado i rapporti non facili in questo momento con l’Eliseo. Tra gli asiatici dopo decenni sono tornati i compratori giapponesi, mentre è prevedibile che i gruppi cinesi continuino a essere meno presenti. I settori più dinamici sono le infrastrutture e l’alimentare, ma anche il farmaceutico.
I grandi studi internazionali restano i più attivi. «Soprattutto grazie al network e alla reputazione internazionale che permette di intercettare i clienti esteri. Per gli studi boutique in genere c’è invece poco spazio se si guardano le grandi transazioni crossborder» osserva Cavasola.
Autore: Carlo Festa
Fonte: Il Sole 24 Ore