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Private equity record in Italia: nel 2018 investiti 10 miliardi

Il mercato del private equity e del venture capital mette a segno un nuovo record e lo realizza mentre i venti di recessione si fanno sempre più invadenti. Dati che segnalano la vivacità del mercato, ma che restano ancora lontani se confrontati con quelli europei: difficoltà di accesso ai mercati finanziari e i legami con il sistema tradizionale bancario sono alcuni dei limiti individuati alla crescita di un settore che nel 2018 ha realizzato investimenti per 9,788 miliardi di euro (+98%). Un risultato record ottenuto con una presenza crescente degli operatori esteri che rappresentano più della metà degli investimenti nelle imprese italiane con 6,438 miliardi di euro e 99 operazioni, secondo i dati annuali AiFI (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt). Un segnale positivo su cui gli esperti non si fanno illusioni: la raccolta, ad esempio, è stata inferiore rispetto all’anno precedente pari a 3,415 miliardi di euro nel 2018, in calo rispetto ai 6,230 miliardi del 2017, un anno influenzato da alcuni closing di dimensioni importanti. Tuttavia non mancano le sorprese: «Per la prima volta la principale fonte di raccolta sono state casse previdenziali e fondi pensione – ha commentato Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI -. E’ un segnale che aspettavamo da tempo, un primo passo verso un allineamento europeo con gli investitori internazionali».
Al momento l’allineamento dell’Italia dagli altri paesi europei resta ancora lontano: se i fondi previdenziali e le casse valgono 1,7 miliardi di euro di raccolta, in Francia le stesse fonti raccolgono 5,8 miliardi di euro, in Gran Bretagna 27 miliardi di euro e in Europa 84,3 miliardi di euro. Stessa proporzioni per le assicurazioni e i family office. «Il sistema previdenziale è in tutti i paesi il principale investitore nei fondi di private capital perché danno rendimenti maggiori per chi può investire in tempi relativamente più lunghi», ha aggiunto Cipolletta. Per Anna Gervasoni, direttore generale AIFI «il 2018 è stato un anno particolarmente positivo per gli investimenti grazie ad alcune operazioni di dimensioni significative non solo nel segmento buyout, ma anche in quello delle infrastrutture: anche al netto di large e mega deal, il 2018 è un anno record in termini di ammontare, un segnale di un paese in forte fermento innovativo».
La struttura finanziaria delle imprese italiane vede ancora una quota rilevante del credito bancario: soltanto in Lombardia, oltre l’80% delle imprese fa ricorso al debito bancario a lungo termine, mentre gli strumenti non bancari sono ancora residuali; la capitalizzazione di Borsa rispetto al Pil in Italia è pari al 35,3%, contro un 61,5% e 106,5% di Germania e Francia; dal lato debito, il private debt si è affermato anche nel corso del 2018, con una raccolta di 4,6 miliardi di euro. «Il nostro sistema presenta criticità importanti – ha fatto notare Alessandra Perrazzelli, vice presidente credito e finanza di Assolombarda – ma è in corso anche una profonda evoluzione, trainata dalle novità a livello europeo e dal fatto che le Pmi europee faranno sempre più ricorso ai segmenti non bancari». Tra gli strumenti proposti oltre a Pir, anche gli Elite Basket Bond.
Sulle difficoltà per le Pmi ad attrarre capitali, Luigi Abete presidente di Febaf, ha sottolineato che nonostante i numeri positivi, «il problema resta come fare crescere le medio-piccole imprese da 50-200 milioni di fatturato. Come Federazione banche assicurazioni e finanza stiamo lavorando proprio per verificare e proporre soluzioni in questa direzione». Uno strumento, quello del private equity, che spesso è pensato come ultima spiaggia e non come strategia per fare crescere le aziende. In questa direzione si è mossa Recordati con il mega deal del fondo CVC Capital partners che ha scelto l’apertura del capitale come strategia si sviluppo, secondo Giampiero Mazza partner del fondo. «In Italia non c’è un problema di liquidità, ma di cultura finanziaria – ha detto Maurizio Tamagnini, ad del Fondo strategico italiano -. Il capitale di rischio non deve essere una scelta di ultima istanza, ma diventare per le imprese la strada principale per crescere».


Autore: Mara Monti
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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