Le banche tradizionali dovranno guardare al modello di business delle società Fintech cercando di fare ancora meglio sul terreno dell’innovazione. Sarà questa la sfida dell’anno, anzi del secolo, per il settore finanziario per non soccombere sotto i colpi dei nuovi player. La questione è di portata internazionale tanto che se n’è parlato al World Economic Forum che si è tenuto a Davos dal 22 al 25 gennaio.
Al Forum è stata presentata la ricerca di Oliver Wyman intitolata “Time to Start Again” a sottolineare l’urgenza per le banche di ripartire quasi da zero per affrontare la digital transformation.
La ricetta suggerita dal report è quella di costruire progetti “Greenfield”, che tradotto vuol dire ripensare completamente il proprio business senza vincoli, così come fanno le società Fintech, per offrire soluzioni completamente all’avanguardia, superando prima di tutto i limiti delle infrastrutture vecchio stampo a cominciare dai sistemi IT legacy.
Il succo è che bisogna cambiare paradigma cominciando a studiare un’offerta non più centrata sul prodotto, ma sul cliente.
Il report contiene alcuni suggerimenti pratici da mettere in atto.
Il primo è quello di sfruttare il “flywheel momentum”, ovvero l’effetto volano su cui si può contare dopo il lancio di un’offerta innovativa. Anche se non si ottiene subito un profitto, si possono raccogliere tutti i dati sulla reazione dei clienti in modo da affinare l’offerta. La banca digitale sudcoreana Kakao e le inglesi Monzo e Revolut si sono fatte strada così nel mercato.
Un altro suggerimento è quello di velocizzare il “time to market”, ovvero il tempo necessario a lanciare una nuova offerta sul mercato: le società FinTech sono molto più veloci, impiegando in media due settimane contro i 3-6 mesi degli operatori tradizionali. Le Fintech, inoltre, hanno un grado di efficienza molto più elevato: in una banca tradizionale una singola persona serve in genere circa mille clienti, in una FinTech questo rapporto sale a 2.500.
Infine, l’invito ad integrare in ottica open banking i servizi di terze parti nelle proprie piattaforme. Anche perché dal punto di vista dei clienti le banche tradizionali hanno un vantaggio perché possono contare su una base consolidata che manca ai nuovi player.
Un altro messaggio che arriva da Davos riguarda l’invito a mettere da parte la logica della contrapposizione tra operatori vecchi e nuovi e fare alleanze in una logica nuova di sinergia. Il mercato, infatti, è fin troppo complesso e richiede semplificazioni per gli utenti finali con nuove esperienze d’uso che solidifichino la fiducia nei servizi. Per questo, ne hanno parlato in un incontro riservato alcuni dirigenti di PayPal e MasterCard, non bisogna aver paura di creare partnership tra produttori di smartphone e carrier o tra banche e startup Fintech perché questo creerà opportunità più grandi di quelle che siamo in grado di immaginare oggi. Lo dimostrano le collaborazioni già messe in campo ad esempio nel settore dei pagamenti che è già molto avanti perché da tempo sta utilizzando la tecnologia per creare nuove esperienze di uso che fanno aumentare la fiducia del cliente che, parlando di soldi, rappresenta una leva fondamentale.
Non sottovalutare i rischi del Fintech
Se da una parte il processo di digitalizzazione dei servizi finanziari porta una maggiore flessibilità e diversificazione dell’offerta, dall’altra pone nuove sfide per gestire i rischi derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Sono tre le tendenze principali che concorrono ad accrescere i rischi legati alle soluzioni Fintech.
La prima è l’aumento della superficie d’attacco, ovvero dei punti d’entrata per chi vuole sfruttare le vulnerabilità dei sistemi, come conseguenza della tendenza a portare online un numero crescente di processi. Un aspetto particolarmente delicato soprattutto nei processi di identificazione ed autenticazione del cliente che richiedono l’utilizzo di tecniche per minimizzare le frodi che sfruttano l’identità digitale.
La seconda tendenza riguarda la mancanza di una strategia da parte delle istituzioni finanziarie per condividere informazioni di cyber intelligence sugli attacchi in corso in modo da poter predisporre le necessarie misure di contenimento e ridurre al minimo l’impatto. In questo caso il limite principale non è rappresentato dalla tecnologia, poiché esistono piattaforme per la condivisione di queste informazioni, ma riguarda la scarsa fiducia rispetto al fatto che le informazioni condivise vengano poi sfruttate per altri scopi in un’ ottica di concorrenza.
Infine, aumenta la pericolosità dei cyber attacchi che possono propagarsi maggiormente attraverso la rete di interconnessioni tra i diversi servizi finanziari, contagiando diversi mercati ed innescando potenzialmente un effetto domino. Un modo per far fronte a questo rischio, almeno rispetto alle transazioni finanziarie, è rappresentato dall’uso delle soluzioni basate sulla blockchain e i registri distribuiti.
Ricordiamoci, inoltre, che i servizi Fintech oltre a manipolare dati sensibili operano su risorse monetarie e questo comporta la necessità di adottare un atteggiamento prudente sia nei confronti di attacchi esterni che interni, considerando nelle strategie di difesa non solo il perimetro digitale ma anche quello fisico. Altro fattore da considerare è l’elevata regolamentazione del settore.
Alla ricerca di soluzioni
L’Unità di Ricerca “Security & Trust” (S&T) della Fondazione Bruno Kessler porta avanti un progetto di ricerca che mira a mitigare questi rischi agendo attorno a tre principali attività: identità digitale, blockchain, infrastrutture. S&T ha sviluppato una lunga esperienza nello sviluppo di soluzioni sicure per la gestione dell’identità digitale ed in particolare dei protocolli di autenticazione, lavorando tra l’altro alla sviluppo della Carta d’Identità Elettronica e cercando una soluzione per l’on-boarding dei clienti che sia al tempo stesso sicura, conforme alle normative e che permetta un’esperienza utente confortevole. Rispetto alla tecnologia blockchain/DLT, il progetto di S&T mira ad una metodologia che permetta di sviluppare servizi ed applicazioni per la finanza digitale che siano allo stesso tempo, sicure, conformi e supportino un elevato grado di personalizzazione dell’offerta. Infine, per sviluppare opportune tecniche e metodologie per la protezione delle infrastrutture critiche, S&T è partner del progetto Finsec che coinvolge oltre 20 organismi tra istituti finanziari, enti di ricerca e aziende di sviluppo software. L’obiettivo di Finsec (da raggiungere nei prossimi 3 anni) è quello di creare un’architettura di riferimento per la sicurezza integrata cyber-fisica che consentirà una preparazione tempestiva contro gli attacchi, puntando su approcci di tipo collaborativo tra gli istituti finanziari e contribuendo alla mitigazione del rischio nella supply chain finanziaria come mezzo per affrontare minacce complesse ed i loro effetti a catena.
Le banche tradizionali dovranno guardare al modello di business delle società Fintech cercando di fare ancora meglio sul terreno dell’innovazione. Sarà questa la sfida dell’anno, anzi del secolo, per il settore finanziario per non soccombere sotto i colpi dei nuovi player. La questione è di portata internazionale tanto che se n’è parlato al World Economic Forum che si è tenuto a Davos dal 22 al 25 gennaio.
Al Forum è stata presentata la ricerca di Oliver Wyman intitolata “Time to Start Again” a sottolineare l’urgenza per le banche di ripartire quasi da zero per affrontare la digital transformation.
La ricetta suggerita dal report è quella di costruire progetti “Greenfield”, che tradotto vuol dire ripensare completamente il proprio business senza vincoli, così come fanno le società Fintech, per offrire soluzioni completamente all’avanguardia, superando prima di tutto i limiti delle infrastrutture vecchio stampo a cominciare dai sistemi IT legacy.
Il succo è che bisogna cambiare paradigma cominciando a studiare un’offerta non più centrata sul prodotto, ma sul cliente.
Il report contiene alcuni suggerimenti pratici da mettere in atto.
Il primo è quello di sfruttare il “flywheel momentum”, ovvero l’effetto volano su cui si può contare dopo il lancio di un’offerta innovativa. Anche se non si ottiene subito un profitto, si possono raccogliere tutti i dati sulla reazione dei clienti in modo da affinare l’offerta. La banca digitale sudcoreana Kakao e le inglesi Monzo e Revolut si sono fatte strada così nel mercato.
Un altro suggerimento è quello di velocizzare il “time to market”, ovvero il tempo necessario a lanciare una nuova offerta sul mercato: le società FinTech sono molto più veloci, impiegando in media due settimane contro i 3-6 mesi degli operatori tradizionali. Le Fintech, inoltre, hanno un grado di efficienza molto più elevato: in una banca tradizionale una singola persona serve in genere circa mille clienti, in una FinTech questo rapporto sale a 2.500.
Infine, l’invito ad integrare in ottica open banking i servizi di terze parti nelle proprie piattaforme. Anche perché dal punto di vista dei clienti le banche tradizionali hanno un vantaggio perché possono contare su una base consolidata che manca ai nuovi player.
Un altro messaggio che arriva da Davos riguarda l’invito a mettere da parte la logica della contrapposizione tra operatori vecchi e nuovi e fare alleanze in una logica nuova di sinergia. Il mercato, infatti, è fin troppo complesso e richiede semplificazioni per gli utenti finali con nuove esperienze d’uso che solidifichino la fiducia nei servizi. Per questo, ne hanno parlato in un incontro riservato alcuni dirigenti di PayPal e MasterCard, non bisogna aver paura di creare partnership tra produttori di smartphone e carrier o tra banche e startup Fintech perché questo creerà opportunità più grandi di quelle che siamo in grado di immaginare oggi. Lo dimostrano le collaborazioni già messe in campo ad esempio nel settore dei pagamenti che è già molto avanti perché da tempo sta utilizzando la tecnologia per creare nuove esperienze di uso che fanno aumentare la fiducia del cliente che, parlando di soldi, rappresenta una leva fondamentale.
Non sottovalutare i rischi del Fintech
Se da una parte il processo di digitalizzazione dei servizi finanziari porta una maggiore flessibilità e diversificazione dell’offerta, dall’altra pone nuove sfide per gestire i rischi derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Sono tre le tendenze principali che concorrono ad accrescere i rischi legati alle soluzioni Fintech.
La prima è l’aumento della superficie d’attacco, ovvero dei punti d’entrata per chi vuole sfruttare le vulnerabilità dei sistemi, come conseguenza della tendenza a portare online un numero crescente di processi. Un aspetto particolarmente delicato soprattutto nei processi di identificazione ed autenticazione del cliente che richiedono l’utilizzo di tecniche per minimizzare le frodi che sfruttano l’identità digitale.
La seconda tendenza riguarda la mancanza di una strategia da parte delle istituzioni finanziarie per condividere informazioni di cyber intelligence sugli attacchi in corso in modo da poter predisporre le necessarie misure di contenimento e ridurre al minimo l’impatto. In questo caso il limite principale non è rappresentato dalla tecnologia, poiché esistono piattaforme per la condivisione di queste informazioni, ma riguarda la scarsa fiducia rispetto al fatto che le informazioni condivise vengano poi sfruttate per altri scopi in un’ ottica di concorrenza.
Infine, aumenta la pericolosità dei cyber attacchi che possono propagarsi maggiormente attraverso la rete di interconnessioni tra i diversi servizi finanziari, contagiando diversi mercati ed innescando potenzialmente un effetto domino. Un modo per far fronte a questo rischio, almeno rispetto alle transazioni finanziarie, è rappresentato dall’uso delle soluzioni basate sulla blockchain e i registri distribuiti.
Ricordiamoci, inoltre, che i servizi Fintech oltre a manipolare dati sensibili operano su risorse monetarie e questo comporta la necessità di adottare un atteggiamento prudente sia nei confronti di attacchi esterni che interni, considerando nelle strategie di difesa non solo il perimetro digitale ma anche quello fisico. Altro fattore da considerare è l’elevata regolamentazione del settore.
Alla ricerca di soluzioni
L’Unità di Ricerca “Security & Trust” (S&T) della Fondazione Bruno Kessler porta avanti un progetto di ricerca che mira a mitigare questi rischi agendo attorno a tre principali attività: identità digitale, blockchain, infrastrutture. S&T ha sviluppato una lunga esperienza nello sviluppo di soluzioni sicure per la gestione dell’identità digitale ed in particolare dei protocolli di autenticazione, lavorando tra l’altro alla sviluppo della Carta d’Identità Elettronica e cercando una soluzione per l’on-boarding dei clienti che sia al tempo stesso sicura, conforme alle normative e che permetta un’esperienza utente confortevole. Rispetto alla tecnologia blockchain/DLT, il progetto di S&T mira ad una metodologia che permetta di sviluppare servizi ed applicazioni per la finanza digitale che siano allo stesso tempo, sicure, conformi e supportino un elevato grado di personalizzazione dell’offerta. Infine, per sviluppare opportune tecniche e metodologie per la protezione delle infrastrutture critiche, S&T è partner del progetto Finsec che coinvolge oltre 20 organismi tra istituti finanziari, enti di ricerca e aziende di sviluppo software. L’obiettivo di Finsec (da raggiungere nei prossimi 3 anni) è quello di creare un’architettura di riferimento per la sicurezza integrata cyber-fisica che consentirà una preparazione tempestiva contro gli attacchi, puntando su approcci di tipo collaborativo tra gli istituti finanziari e contribuendo alla mitigazione del rischio nella supply chain finanziaria come mezzo per affrontare minacce complesse ed i loro effetti a catena.