Un altro anno all’insegna delle cessioni di NPL sta per concludersi e, in attesa di bilanci e previsioni, c’è chi dovrà tirare le somme di tutte le mega operazioni per capire quale sarà il futuro di questo mercato. Intanto dal mondo accademico e regolatorio si sta alzando una voce che, in modo abbastanza netto ed esplicito, ci mette in guardia dai rischi che potrebbero derivare da uno smaltimento troppo veloce dei crediti deteriorati. In altre parole, ci si sta accorgendo che forse ci si è dedicati troppo a “salvare” le banche dalla zavorra delle sofferenze, pensando che il problema dovesse essere affrontato soltanto dal punto di vista della sostenibilità del sistema bancario, senza pensare al fatto che questi crediti arrivano nelle mani di qualcun’altro che dovrà occuparsi di recuperarli.
Credit Village, partendo dai dati indipendenti raccolti grazie al suo Osservatorio NPL Market, si è più volte interrogato su questo punto ed ha dedicato lo scorso CVSpringDay proprio a questo tema chiedendosi: a chi stiamo “consegnando” i nostri debiti (e debitori)? Chi ci guadagna da queste operazioni? Alcune delle risposte stanno arrivando proprio dalle istituzioni, a cominciare dal vicecapo della vigilanza di Bankitalia, Paolo Angelini, che ad un recente convegno sugli NPL ha detto che “le cessioni massive non sono la mano santa se non per chi compra a 10 quello che vale 40” ed ha invitato le banche, soprattutto quelle commerciali, a soppesare l’ipotesi della gestione interna degli NPL, visto che quelle specializzate nella gestione di NPL hanno redditività a due cifre.
Nonostante questi avvertimenti, la strada della cessione massiva di crediti deteriorati sembra essere ancora l’unica strada battuta, anzi sta coinvolgendo anche gli UTP, ovvero i vecchi incagli non ancora in sofferenza. Invece di provare a distinguere, all’interno degli UTP, i debiti meno problematici, ad esempio quelli delle aziende che non sono fallite e che avrebbero solo bisogno di guadagnare tempo, si preferisce la gestione di tipo liquidatorio. Parliamo di circa 100 miliardi di UTP che riguardano soprattutto le PMI.
Una soluzione per questo tipo di crediti potrebbe essere quella ipotizzata dall’avvocato Dino Crivellari che, rispondendo alla richiesta di un suo cliente, ha studiato un progetto che potrebbe mettere alcune imprese in difficoltà, che non riescono ad ottenere più credito dalle banche, nella condizione di ripartire. “L’ipotesi è la seguente – spiega l’Avv. Crivellari intervistato da Credit Village – Un’azienda, che è entrata in difficoltà per motivi finanziari, potrebbe ottenere un dilazionamento dei tempi di pagamento del debito nel momento in cui riesce a costruire un piano di rientro credibile e sostenibile. Dietro questo dilazionamento dovrebbe esserci una garanzia di natura assicurativa che copre l’80% delle perdite che la banca potrebbe registrare se il piano di rientro non dovesse essere rispettato. Parliamo di incagli che hanno comunque già una garanzia diretta, come un’ipoteca, e pesano su aziende che non sono fallite ma, seppur in difficoltà, continuano ad operare incidendo in modo positivo sull’economia reale”.
In sintesi lo Stato dovrebbe prevedere un fondo dedicato, pubblico o misto, che possa fungere da “assicuratore ” delle eventuali perdite delle banche conseguenti al default di piani di rientro di debitori critici, percependo un premio di mercato per il rischio assunto.
Una norma del genere potrebbe arrivare in Parlamento?
“Diciamo che c’è un certo interesse da parte della politica su questa tematica – afferma l’Avv. Crivellari – Abbiamo evitato che si trattasse di un aiuto di stato, e un intervento concepito in questo modo dovrebbe superare lo scoglio specie se realizzato con coassicuratori privati. Ricordo che le GACS sono state considerate un non aiuto di stato soltanto dopo un’istruttoria che il nostro Paese ha dovuto condurre con la commissione europea. In questo caso si tratta di un’operazione di mercato a tutti gli effetti perché i premi che potranno essere pagati dalle banche faranno riferimento ai prezzi di mercato. Infatti l’operazione potrebbe essere condotta da qualunque compagnia assicurativa e il fondo potrebbe essere anche soltanto privato. La nostra idea è che il fondo sia costituito sia da enti pubblici sia da compagnie private.
Un altro anno all’insegna delle cessioni di NPL sta per concludersi e, in attesa di bilanci e previsioni, c’è chi dovrà tirare le somme di tutte le mega operazioni per capire quale sarà il futuro di questo mercato. Intanto dal mondo accademico e regolatorio si sta alzando una voce che, in modo abbastanza netto ed esplicito, ci mette in guardia dai rischi che potrebbero derivare da uno smaltimento troppo veloce dei crediti deteriorati. In altre parole, ci si sta accorgendo che forse ci si è dedicati troppo a “salvare” le banche dalla zavorra delle sofferenze, pensando che il problema dovesse essere affrontato soltanto dal punto di vista della sostenibilità del sistema bancario, senza pensare al fatto che questi crediti arrivano nelle mani di qualcun’altro che dovrà occuparsi di recuperarli.
Credit Village, partendo dai dati indipendenti raccolti grazie al suo Osservatorio NPL Market, si è più volte interrogato su questo punto ed ha dedicato lo scorso CVSpringDay proprio a questo tema chiedendosi: a chi stiamo “consegnando” i nostri debiti (e debitori)? Chi ci guadagna da queste operazioni? Alcune delle risposte stanno arrivando proprio dalle istituzioni, a cominciare dal vicecapo della vigilanza di Bankitalia, Paolo Angelini, che ad un recente convegno sugli NPL ha detto che “le cessioni massive non sono la mano santa se non per chi compra a 10 quello che vale 40” ed ha invitato le banche, soprattutto quelle commerciali, a soppesare l’ipotesi della gestione interna degli NPL, visto che quelle specializzate nella gestione di NPL hanno redditività a due cifre.
Nonostante questi avvertimenti, la strada della cessione massiva di crediti deteriorati sembra essere ancora l’unica strada battuta, anzi sta coinvolgendo anche gli UTP, ovvero i vecchi incagli non ancora in sofferenza. Invece di provare a distinguere, all’interno degli UTP, i debiti meno problematici, ad esempio quelli delle aziende che non sono fallite e che avrebbero solo bisogno di guadagnare tempo, si preferisce la gestione di tipo liquidatorio. Parliamo di circa 100 miliardi di UTP che riguardano soprattutto le PMI.
Una soluzione per questo tipo di crediti potrebbe essere quella ipotizzata dall’avvocato Dino Crivellari che, rispondendo alla richiesta di un suo cliente, ha studiato un progetto che potrebbe mettere alcune imprese in difficoltà, che non riescono ad ottenere più credito dalle banche, nella condizione di ripartire. “L’ipotesi è la seguente – spiega l’Avv. Crivellari intervistato da Credit Village – Un’azienda, che è entrata in difficoltà per motivi finanziari, potrebbe ottenere un dilazionamento dei tempi di pagamento del debito nel momento in cui riesce a costruire un piano di rientro credibile e sostenibile. Dietro questo dilazionamento dovrebbe esserci una garanzia di natura assicurativa che copre l’80% delle perdite che la banca potrebbe registrare se il piano di rientro non dovesse essere rispettato. Parliamo di incagli che hanno comunque già una garanzia diretta, come un’ipoteca, e pesano su aziende che non sono fallite ma, seppur in difficoltà, continuano ad operare incidendo in modo positivo sull’economia reale”.
In sintesi lo Stato dovrebbe prevedere un fondo dedicato, pubblico o misto, che possa fungere da “assicuratore ” delle eventuali perdite delle banche conseguenti al default di piani di rientro di debitori critici, percependo un premio di mercato per il rischio assunto.
Una norma del genere potrebbe arrivare in Parlamento?
“Diciamo che c’è un certo interesse da parte della politica su questa tematica – afferma l’Avv. Crivellari – Abbiamo evitato che si trattasse di un aiuto di stato, e un intervento concepito in questo modo dovrebbe superare lo scoglio specie se realizzato con coassicuratori privati. Ricordo che le GACS sono state considerate un non aiuto di stato soltanto dopo un’istruttoria che il nostro Paese ha dovuto condurre con la commissione europea. In questo caso si tratta di un’operazione di mercato a tutti gli effetti perché i premi che potranno essere pagati dalle banche faranno riferimento ai prezzi di mercato. Infatti l’operazione potrebbe essere condotta da qualunque compagnia assicurativa e il fondo potrebbe essere anche soltanto privato. La nostra idea è che il fondo sia costituito sia da enti pubblici sia da compagnie private.