Alla luce delle innumerevoli vendite e cessioni degli ultimi anni, possiamo considerare gli NPL un problema risolto? Non proprio. Magari per le banche il peggio è passato perché si sono liberate di gran parte delle sofferenze che pesavano sui loro bilanci, e queste non rappresentano più un rischio sistemico. Ma il fenomeno dei Non Performing Loans è più vivo che mai tanto che il 2018 dovrebbe registrare transazioni per 83 miliardi di euro, con un aumento del 17% rispetto allo scorso anno. E a crescere sono anche i prezzi delle transazioni: i costi medi dei portafogli misti sono saliti di 900 punti base rispetto al 2017 e quelli dei portafogli secured sono aumentati di 200 punti base.
Sono alcuni dei numeri emersi durante l’evento annuale di Banca Ifis dedicato agli NPL, che si è tenuto oggi a Venezia. Ad aprire i lavori è stato l’Amministratore Delegato Giovanni Bossi che ha illustrato i risultati del MarketWatch NPL curato dall’istituto veneziano. Lo studio evidenzia come dal 1° gennaio 2017 alla fine di luglio 2018, le banche italiane abbiano ridotto la quantità di Non performing Loans iscritti sui loro bilanci di ben 76 miliardi, che in termini percentuali equivale ad un calo del 37%. Un risultato ottenuto dalla vendita di importanti portafogli, ma anche dalla forte attenzione da parte delle autorità di controllo e supervisione verso una forte riduzione dell’esposizione del sistema bancario alle sofferenze. Dunque a fine luglio l’ammontare degli NPL in pancia alle banche era di 127 miliardi di euro, ma il totale di crediti deteriorati presenti nel sistema finanziario italiano era di 252 miliardi, considerando i 130 miliardi di NPL che sono passati nelle mani di gestori tramite transazioni sul mercato primario tra il 2015 e il luglio 2018. Al totale vanno sottratti 5 miliardi di euro che i gestori dei portafogli di NPL sono riusciti a riscuotere dai debitori. Infine, Bossi ha parlato del consolidamento nel mercato dei servicer: ad oggi i primi sei operatori hanno una quota di mercato pari al 53%.
Dunque, in sintesi, il nostro paese ha ridotto più degli altri lo stock di NPL, con flussi che oggi sono molto più bassi rispetto a 10 anni fa, ovvero al periodo pre-crisi. E questo grazie soprattutto alle politiche della Banca Centrale Europea. Tutto questo movimento ha creato un nuovo mercato, tra i più interessanti al mondo. Ma il problema resta il debito pubblico che è tra i più elevati d’Europa.
Luigi Zingales, dell’Università di Chicago Booth School of Business, ha aperto il suo intervento con una domanda provocatoria: cosa abbiamo imparato a dieci anni dalla crisi di Lehman Brothers? “Quello che non abbiamo imparato abbastanza è quanto la frode sia stata alla base della crisi americana” ha affermato Zingales sottolineando quanto la regolamentazione conti, ma fino ad un certo punto. “Il vero problema dell’Italia è che non cresce da 20 anni. Se non facciamo ripartire il paese il debito non sarà sostenibile e la differenza non si gioca tra l’1,8% e il 2,4% ma dalla capacità di crescere. Purtroppo lo spread elevato crea perdite per i bilanci delle banche che prestano meno soldi e si fa fatica a ripartire. Dal 2013 ad oggi il contributo del credito bancario al finanziamento delle imprese è diventato negativo”. Anche Roberto Nicastro, advisor per l’Europa di Cerberus, ha parlato di debito insostenibile che non “attira” certo investitori stranieri nel nostro Paese. Secondo Fabrizio Viola, Senior advisor di Boston Consulting Group, “c’è ancora molto da fare sotto profilo della redditività e quello che sta succedendo in questi giorni non aiuta”.
Tornando al tema delle sofferenze, Stefano Del Punta, CFO di Intesa Sanpaolo, ha affermato che “buona parte del lavoro e stato fatto, anche se il mercato resta molto frammentato”. “E’ importante investire cifre adeguate per fare fronte a sfide future”. A proposito di sfide future, si aspetta l’entrata in gioco delle nuove realtà Fintech, anche se “in Italia siamo ancora in una fase primordiale”. Nicastro ha sottolineato come il Fintech abbia una grande velocità di risposte e, a differenze delle banche, non soffra del problema delle diseconomie di scala.
“La soluzione ottimale – ha concluso Nicastro – si ha quando banche e Fintech si mettono insieme mettendo insieme il meglio di 2 mondi”.
Alla luce delle innumerevoli vendite e cessioni degli ultimi anni, possiamo considerare gli NPL un problema risolto? Non proprio. Magari per le banche il peggio è passato perché si sono liberate di gran parte delle sofferenze che pesavano sui loro bilanci, e queste non rappresentano più un rischio sistemico. Ma il fenomeno dei Non Performing Loans è più vivo che mai tanto che il 2018 dovrebbe registrare transazioni per 83 miliardi di euro, con un aumento del 17% rispetto allo scorso anno. E a crescere sono anche i prezzi delle transazioni: i costi medi dei portafogli misti sono saliti di 900 punti base rispetto al 2017 e quelli dei portafogli secured sono aumentati di 200 punti base.
Sono alcuni dei numeri emersi durante l’evento annuale di Banca Ifis dedicato agli NPL, che si è tenuto oggi a Venezia. Ad aprire i lavori è stato l’Amministratore Delegato Giovanni Bossi che ha illustrato i risultati del MarketWatch NPL curato dall’istituto veneziano. Lo studio evidenzia come dal 1° gennaio 2017 alla fine di luglio 2018, le banche italiane abbiano ridotto la quantità di Non performing Loans iscritti sui loro bilanci di ben 76 miliardi, che in termini percentuali equivale ad un calo del 37%. Un risultato ottenuto dalla vendita di importanti portafogli, ma anche dalla forte attenzione da parte delle autorità di controllo e supervisione verso una forte riduzione dell’esposizione del sistema bancario alle sofferenze. Dunque a fine luglio l’ammontare degli NPL in pancia alle banche era di 127 miliardi di euro, ma il totale di crediti deteriorati presenti nel sistema finanziario italiano era di 252 miliardi, considerando i 130 miliardi di NPL che sono passati nelle mani di gestori tramite transazioni sul mercato primario tra il 2015 e il luglio 2018. Al totale vanno sottratti 5 miliardi di euro che i gestori dei portafogli di NPL sono riusciti a riscuotere dai debitori. Infine, Bossi ha parlato del consolidamento nel mercato dei servicer: ad oggi i primi sei operatori hanno una quota di mercato pari al 53%.
Dunque, in sintesi, il nostro paese ha ridotto più degli altri lo stock di NPL, con flussi che oggi sono molto più bassi rispetto a 10 anni fa, ovvero al periodo pre-crisi. E questo grazie soprattutto alle politiche della Banca Centrale Europea. Tutto questo movimento ha creato un nuovo mercato, tra i più interessanti al mondo. Ma il problema resta il debito pubblico che è tra i più elevati d’Europa.
Luigi Zingales, dell’Università di Chicago Booth School of Business, ha aperto il suo intervento con una domanda provocatoria: cosa abbiamo imparato a dieci anni dalla crisi di Lehman Brothers? “Quello che non abbiamo imparato abbastanza è quanto la frode sia stata alla base della crisi americana” ha affermato Zingales sottolineando quanto la regolamentazione conti, ma fino ad un certo punto. “Il vero problema dell’Italia è che non cresce da 20 anni. Se non facciamo ripartire il paese il debito non sarà sostenibile e la differenza non si gioca tra l’1,8% e il 2,4% ma dalla capacità di crescere. Purtroppo lo spread elevato crea perdite per i bilanci delle banche che prestano meno soldi e si fa fatica a ripartire. Dal 2013 ad oggi il contributo del credito bancario al finanziamento delle imprese è diventato negativo”. Anche Roberto Nicastro, advisor per l’Europa di Cerberus, ha parlato di debito insostenibile che non “attira” certo investitori stranieri nel nostro Paese. Secondo Fabrizio Viola, Senior advisor di Boston Consulting Group, “c’è ancora molto da fare sotto profilo della redditività e quello che sta succedendo in questi giorni non aiuta”.
Tornando al tema delle sofferenze, Stefano Del Punta, CFO di Intesa Sanpaolo, ha affermato che “buona parte del lavoro e stato fatto, anche se il mercato resta molto frammentato”. “E’ importante investire cifre adeguate per fare fronte a sfide future”. A proposito di sfide future, si aspetta l’entrata in gioco delle nuove realtà Fintech, anche se “in Italia siamo ancora in una fase primordiale”. Nicastro ha sottolineato come il Fintech abbia una grande velocità di risposte e, a differenze delle banche, non soffra del problema delle diseconomie di scala.
“La soluzione ottimale – ha concluso Nicastro – si ha quando banche e Fintech si mettono insieme mettendo insieme il meglio di 2 mondi”.