Sono quasi 2 milioni le famiglie sovraindebitate questo il dato emerso nel rapporto presentato ad Assisi dalla Consulta Nazionale Antiusura. Tra il 1° gennaio 2007 e il 1° gennaio 2017, in soli dieci anni, l’aumento è stato esponenziale, il numero stimabile delle famiglie in sovraindebitamento irreversibile, quindi in fallimento, è passato da 1.276.642 a 1.959.433, con un incremento del 53%. La fotografia poco rosea riferita alle famiglie italiane è stata scattata dal sociologo Maurizio Fiasco, il sovraindebitamento, evidenzia la ricerca, è stato effetto della crisi e di un sistema creditizio che è andato in sofferenza.
I redditi hanno subito un duro colpo negli ultimi dieci anni subendo un calo del 14.6% per quelli da lavoro dipendente e del 32% per gli autonomi. Le famiglie per tentare di reagire alla crisi hanno venduto anche gli affetti più cari ed i beni di valore che possedevano. Così si legge: “Le famiglie hanno ceduto il tesoretto degli oggetti di valore domestici, con in media 2.177 euro a nucleo. decurtando di quasi 40 punti la riserva ‘intangibile’ un tempo di oggetti preziosi: Monili, anelli e ricordi di nozze e compleanni sono stati dunque accaparrati da 35.000 sportelli di Compro Oro”. Certamente il taglio dei prezzi ai valori immobiliari ha provocato nell’ultimo decennio un ulteriore calo del patrimonio familiare. La ricerca spiega che per sovraindebitamento irreversibile famigliare si intende: “quando in un nucleo né i redditi da lavoro, né le rendite, né le somme ottenibili alienando quote limitate di beni di famiglia (mobili e immobili), consentono di conseguire un pareggio del bilancio familiare in un tempo gestibile”.
Questa condizione patologica si può distinguere in tre profili:
- sovraindebitamento “attivo”, provocato da scelte autonome e non obbligate;
- sovraindebitamento “passivo” quando si è obbligati a ricorrere ad un prestito “di sussistenza”;
- sovraindebitamento “differito” una posizione intermedia tra il primo e il secondo profilo, in cui l’equilibrio instabile porterà inevitabilmente una situazione economica compromessa in futuro.
Quest’ultima tipologia, purtroppo in crescita, va sviluppandosi quando l’equilibrio economico della famiglia e soprattutto gli impegni di spesa assunti non sono adeguatamente in linea con i redditi da lavoro e dunque non sono supportati. Spesso in situazioni di difficoltà estrema, quando non si sa più a chi chiedere e si è ricevuto il no da canali tradizionali e dalle reti familiari, si fa ricorso agli usurai. Paradossalmente chi è sovraindebitato procede altresì, spiega la ricerca, verso una disfunzionale propensione al consumo di generi senza ‘valore d’uso’ come il gioco d’azzardo, spesso chi è inadempiente tenta il ‘tutto per tutto’, complicandosi ulteriormente la vita. Mentre tende a restringersi l’area delle famiglie che potrebbero accedere alle procedure della composizione legale delle crisi da sovraindebitamento, forse per paura di uscire allo scoperto e dichiarare il proprio fallimento economico.
Per fronteggiare il problema, Fiasco stima che occorrerebbe un intervento dello Stato pari a circa 14 miliardi di euro, da dare in garanzia di percorsi di rientro dal debito. Un percorso, dice, che sarebbe utile a tutti: “se anche gli insuccessi si attestassero al 20 per cento, per lo Stato la “perdita” effettiva sarebbe comunque minore dell’impatto sociale di migliaia di famiglie in bancarotta”.
Sono quasi 2 milioni le famiglie sovraindebitate questo il dato emerso nel rapporto presentato ad Assisi dalla Consulta Nazionale Antiusura. Tra il 1° gennaio 2007 e il 1° gennaio 2017, in soli dieci anni, l’aumento è stato esponenziale, il numero stimabile delle famiglie in sovraindebitamento irreversibile, quindi in fallimento, è passato da 1.276.642 a 1.959.433, con un incremento del 53%. La fotografia poco rosea riferita alle famiglie italiane è stata scattata dal sociologo Maurizio Fiasco, il sovraindebitamento, evidenzia la ricerca, è stato effetto della crisi e di un sistema creditizio che è andato in sofferenza.
I redditi hanno subito un duro colpo negli ultimi dieci anni subendo un calo del 14.6% per quelli da lavoro dipendente e del 32% per gli autonomi. Le famiglie per tentare di reagire alla crisi hanno venduto anche gli affetti più cari ed i beni di valore che possedevano. Così si legge: “Le famiglie hanno ceduto il tesoretto degli oggetti di valore domestici, con in media 2.177 euro a nucleo. decurtando di quasi 40 punti la riserva ‘intangibile’ un tempo di oggetti preziosi: Monili, anelli e ricordi di nozze e compleanni sono stati dunque accaparrati da 35.000 sportelli di Compro Oro”. Certamente il taglio dei prezzi ai valori immobiliari ha provocato nell’ultimo decennio un ulteriore calo del patrimonio familiare. La ricerca spiega che per sovraindebitamento irreversibile famigliare si intende: “quando in un nucleo né i redditi da lavoro, né le rendite, né le somme ottenibili alienando quote limitate di beni di famiglia (mobili e immobili), consentono di conseguire un pareggio del bilancio familiare in un tempo gestibile”.
Questa condizione patologica si può distinguere in tre profili:
Quest’ultima tipologia, purtroppo in crescita, va sviluppandosi quando l’equilibrio economico della famiglia e soprattutto gli impegni di spesa assunti non sono adeguatamente in linea con i redditi da lavoro e dunque non sono supportati. Spesso in situazioni di difficoltà estrema, quando non si sa più a chi chiedere e si è ricevuto il no da canali tradizionali e dalle reti familiari, si fa ricorso agli usurai. Paradossalmente chi è sovraindebitato procede altresì, spiega la ricerca, verso una disfunzionale propensione al consumo di generi senza ‘valore d’uso’ come il gioco d’azzardo, spesso chi è inadempiente tenta il ‘tutto per tutto’, complicandosi ulteriormente la vita. Mentre tende a restringersi l’area delle famiglie che potrebbero accedere alle procedure della composizione legale delle crisi da sovraindebitamento, forse per paura di uscire allo scoperto e dichiarare il proprio fallimento economico.
Per fronteggiare il problema, Fiasco stima che occorrerebbe un intervento dello Stato pari a circa 14 miliardi di euro, da dare in garanzia di percorsi di rientro dal debito. Un percorso, dice, che sarebbe utile a tutti: “se anche gli insuccessi si attestassero al 20 per cento, per lo Stato la “perdita” effettiva sarebbe comunque minore dell’impatto sociale di migliaia di famiglie in bancarotta”.