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Migliora il credito, Pmi poco coinvolte Cresce l’extra-banca

Il miglioramento generale delle condizioni di finanziamento delle banche stenta a coinvolgere le piccole medie imprese. Contemporaneamente, nella struttura finanziaria delle aziende italiane pesano sempre meno i debiti bancari, anche se la conversione alla finanza alternativa resta un percorso pieno di curve. Queste due osservazioni sono al centro del capitolo sulla finanza d’impresa della relazione annuale di Banca d’Italia.

Meno «bancocentrici»
La leva finanziaria delle imprese (il rapporto tra debiti finanziari e la loro somma con il patrimonio netto) risulta di dieci punti inferiore al picco del 50% del 2011. Tra quell’anno e il 2017 la quota dei debiti bancari sul totale delle passività – pur restando sei punti più alta rispetto alla media euro – è scesa per le imprese italiane dal 25 al 19% soprattutto per effetto di un crescente accesso al mercato dei capitali. Oltre 220 società e gruppi italiani hanno emesso obbligazioni per più di 46 miliardi, valori superiori a quelli pre crisi (circa 190 emittenti e 18 miliardi in media nel periodo 2005-07).
Sono aumentate anche le società che hanno collocato minibond per la prima volta (oltre 30), per metà piccole e medie imprese, e contemporaneamente le nuove quotazioni di società non finanziarie hanno superato quelle del periodo pre-crisi (28, rispetto a 20 in media tra il 2005 e il 2007). Dal 2008 al 2017 la quota delle obbligazioni sui debiti finanziari è passata dal 5 al 13% e anche l’interesse degli investitori istituzionali per le emissioni delle Pmi è aumentato. Tra il 2013 e la metà del 2017 le quote detenute da investitori istituzionali esteri e italiani sono cresciute, rispettivamente, dall’8 al 41% e dal 18 al 25%, mentre la quota delle famiglie si è ridotta dal 58 al 19 per cento.

Le misure
Banca d’Italia mette in risalto il contributo, in parte già dato e in parte atteso, di alcune policy avviate sul mercato dei capitali. Il primo riferimento è ai Pir (piani individuali di risparmio). Alla fine dello scorso anno i fondi conformi alla normativa sui Pir avevano investito in titoli emessi da imprese italiane circa 7 miliardi, pari al 56% del loro patrimonio; investimenti che riguardano prevalentemente azioni di società quotate e di dimensione elevata. Sarebbe utile – è la tesi di Banca d’Italia – «una maggiore diffusione di investitori specializzati nella valutazione di piccole e medie imprese». In prospettiva ci si attende invece un apporto dal credito di imposta per le spese di consulenza sostenute dalle Pmi che si quotano, per il quale si attende ancora la pubblicazione del decreto attuativo in «Gazzetta ufficiale».

Il credito bancario
L’indebitamento bancario ha ripreso a crescere a ritmi moderati solo nei primi mesi del 2018, a cinque anni dalla fine della recessione (in termini reali i prestiti alle società non finanziarie restano 8 punti sotto agli inizi del 2013). Un aumento frutto della ripresa degli investimenti e delle condizioni di offerta favorevoli. Le difficoltà di accesso al credito sono viste in netto ridimensionamento, con l’eccezione però delle Pmi.
La Relazione mette in evidenza l’eterogeneità dell’andamento dei prestiti bancari per classe di rischio delle imprese. In sostanza, il credito concesso alle aziende più solide ha accelerato, mentre si è ulteriormente ridotto quello erogato alle imprese rischiose. Sono le Pmi a soffrire di più. Nelle classi di rischio intermedie i prestiti hanno ripreso a espandersi per le società di media e grande dimensione, ma hanno continuato a contrarsi per le microimprese e le piccole aziende. Per queste ultime, il cui debito si concentra maggiormente tra le imprese con bilanci più fragili, i prestiti sono diminuiti.
I tassi di interesse bancari praticati alle imprese sono ancora scesi, arrivando al 2,2 per cento nel marzo 2018. Ma anche qui i “piccoli” stanno cogliendo molto meno i benefici. Per tutte le classi di rischio il differenziale tra i tassi di interesse applicati alle microimprese e alle società di grande dimensione resta elevato, superiore di circa un punto percentuale rispetto al periodo precedente la crisi.


Fonte:

Il Sole 24 Ore

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