Le transazioni completate e quelle accordate stanno riducendo decisamente lo stock di sofferenze in carico al sistema bancario e ne ridisegnano la loro allocazione. Ma ora la sfida delle banche sembra allargarsi verso gli UTP (Unlikley To Pay) che hanno raggiunto volumi in termini di NBV (Net Book Value) attualmente superiori a quelli dei Bad Loans.
Abbiamo chiesto a Marco Cavazzutti, Responsabile Struttura NPE di Banca Carige, che parteciperà all’ NPL Investing & Collection Summit, organizzato da Credit Village, che si terrà a Palazzo Mezzanotte, Milano, il prossimo 13 Aprile, qualche anticipazione sul suo intervento.
Come evolverà quest’anno il settore degli NPL?
Sono convinto che fino alla scadenza della GACS, ovvero fino a settembre, le banche saranno interessate a fare altre cessioni di crediti in sofferenza per continuare ad approfittare di questa finestra. Detto questo è evidente che l’attenzione si sta spostando sugli UTP (Unlikely to Pay). Carige stessa ha annunciato che ha intenzione di vendere crediti per almeno 500 milioni di euro nel corso del 2018. Chiaramente il panorama va delineandosi giorno dopo giorno e, alla luce dell’invito alle banche di liberarsi delle rispettive sofferenze, si cercherà di capire come, e con quali costi, dovrà essere affrontata questa nuova frontiera. Sappiamo bene che la sofferenza ha un determinato profilo, con un’aspettativa di recupero di un certo tipo, e viene accantonata dalla banca con determinate percentuali di capitale, mentre gli UTP, se non sono sofferenze
mascherate, hanno un’altra impostazione e necessitano di una diversa gestione. Dopo aver portato le sofferenze entro i limiti fisiologici, ogni banca dovrà inserire nel proprio piano industriale anche queste dismissioni. Ma non prima di capire come gireranno i nuovi accantonamenti che verranno imposti dalla BCE.
Se passa la linea dell’accantonamento al 100% tutti gli scenari ipotizzati cambieranno. Qual è la situazione delle piattaforme di gestione crediti delle banche? Il Carve Out è la strada migliore da percorrere?
Il problema è che oggi le banche hanno una struttura di costi che deve essere razionalizzata e in questo processo passa spesso l’esternalizzazione di alcune attività tra cui il recupero crediti. Ne consegue che la piattaforma che se ne occupa viene ceduta. A mio parere la banca non può non avere al suo interno una struttura che gestisce alcune posizioni in sofferenza, ma potrebbe essere più produttivo e funzionale affidare la gestione della massa dei crediti a service esterni, maggiormente specializzati. Bisogna però valutare i benefici in termini di costi e le garanzie di performance che devono essere rispettate. A tal proposito bisogna studiare una formula contrattuale che preveda delle azioni nel caso ci siano delle carenze di risultati. E’ chiaro che spetta alla banca monitorare il rispetto del contratto nel corso degli anni ed intervenire nel caso ci siano delle carenze.
Le transazioni completate e quelle accordate stanno riducendo decisamente lo stock di sofferenze in carico al sistema bancario e ne ridisegnano la loro allocazione. Ma ora la sfida delle banche sembra allargarsi verso gli UTP (Unlikley To Pay) che hanno raggiunto volumi in termini di NBV (Net Book Value) attualmente superiori a quelli dei Bad Loans.
Abbiamo chiesto a Marco Cavazzutti, Responsabile Struttura NPE di Banca Carige, che parteciperà all’ NPL Investing & Collection Summit, organizzato da Credit Village, che si terrà a Palazzo Mezzanotte, Milano, il prossimo 13 Aprile, qualche anticipazione sul suo intervento.
Come evolverà quest’anno il settore degli NPL?
Sono convinto che fino alla scadenza della GACS, ovvero fino a settembre, le banche saranno interessate a fare altre cessioni di crediti in sofferenza per continuare ad approfittare di questa finestra. Detto questo è evidente che l’attenzione si sta spostando sugli UTP (Unlikely to Pay). Carige stessa ha annunciato che ha intenzione di vendere crediti per almeno 500 milioni di euro nel corso del 2018. Chiaramente il panorama va delineandosi giorno dopo giorno e, alla luce dell’invito alle banche di liberarsi delle rispettive sofferenze, si cercherà di capire come, e con quali costi, dovrà essere affrontata questa nuova frontiera. Sappiamo bene che la sofferenza ha un determinato profilo, con un’aspettativa di recupero di un certo tipo, e viene accantonata dalla banca con determinate percentuali di capitale, mentre gli UTP, se non sono sofferenze
mascherate, hanno un’altra impostazione e necessitano di una diversa gestione. Dopo aver portato le sofferenze entro i limiti fisiologici, ogni banca dovrà inserire nel proprio piano industriale anche queste dismissioni. Ma non prima di capire come gireranno i nuovi accantonamenti che verranno imposti dalla BCE.
Se passa la linea dell’accantonamento al 100% tutti gli scenari ipotizzati cambieranno. Qual è la situazione delle piattaforme di gestione crediti delle banche? Il Carve Out è la strada migliore da percorrere?
Il problema è che oggi le banche hanno una struttura di costi che deve essere razionalizzata e in questo processo passa spesso l’esternalizzazione di alcune attività tra cui il recupero crediti. Ne consegue che la piattaforma che se ne occupa viene ceduta. A mio parere la banca non può non avere al suo interno una struttura che gestisce alcune posizioni in sofferenza, ma potrebbe essere più produttivo e funzionale affidare la gestione della massa dei crediti a service esterni, maggiormente specializzati. Bisogna però valutare i benefici in termini di costi e le garanzie di performance che devono essere rispettate. A tal proposito bisogna studiare una formula contrattuale che preveda delle azioni nel caso ci siano delle carenze di risultati. E’ chiaro che spetta alla banca monitorare il rispetto del contratto nel corso degli anni ed intervenire nel caso ci siano delle carenze.