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Banche, la spinta Bce sullo smaltimento Npl. Si parte da 40 miliardi

All’orizzonte, per le banche italiane, si prospettano più accantonamenti sui crediti. Ma anche, di riflesso, più cessioni di prestiti sul mercato, specialmente di quelli non garantiti: un segmento, questo, su cui si potrebbe assistere a un cambio di strategie da parte delle banche, con una revisione al rialzo del pricing, la vendita di prodotti di terzi e, forse, anche la vendita delle piattaforme interne di gestione.
Spira il vento del cambiamento sulle politiche del credito italiano dopo il varo dell’addendum della Bce sugli Npl. Dopo una lunga attesa, la scorsa settimana l’Ssm ha alzato il velo su un testo che ha confermato quanto previsto nella prima versione di ottobre (7 anni per svalutare al 100% i crediti deteriorati garantiti, 2 per quelli non garantiti) con la sola modifica di posticipare di tre anni, al 2021 l’entrata in vigore della misura.
L’effetto più evidente, concordano gli osservatori, sarà quello di un aumento progressivo degli accantonamenti. Le stime di consensus mettono in conto un extra-fabbisogno di 3-4 miliardi di euro a regime, pari a circa 30 punti base di Cet1. Un fabbisogno tutto sommato contenuto, se si considera che in media le banche italiane possono contare su un cuscinetto di 351punti base rispetto alle soglie minime, secondo i calcoli di Equita Sim.
L’effetto vero, allora, si vedrà nelle politiche di gestione dei crediti. E in particolare su quelli deteriorati non garantiti, su cui pesa l’obbligo di svalutazione al 100% nel giro di un biennio dall’ingresso a deteriorato. Una montagna che vale oggi circa un quinto del totale degli Npl, pari a una ventina di miliardi di euro in termini netti per l’intero sistema.
Troppo grande è il costo di tenere questa tipologia di Npl sui bilanci, qualora le cose per l’affidatario andassero male. In breve tempo, e ai primi segnali di deterioramento, di fatto, il credito andrebbe azzerato. E per il loro recupero le cose si fanno complicate. Sono “labour intensive”, anzitutto. Tanto che vengono venduti in grandi volumi a operatori specializzati per pochi centesimi. È chiaro che, a fronte di una capacità di recupero interno degli Npl da parte degli istituti che, in media, non va oltre il 5% del valore, per le banche diventerà poco conveniente tenere a bilancio questi crediti per gestirli. E così gli effetti a cascata potrebbero essere due. Il primo, più banale, è un aumento delle cessioni stesse agli investitori specializzati. Un trend, questo, che andrebbe così a rafforzare il trend che vede oltre 43 miliardi di euro di Npl, secondo le stime di Equita Sim, in arrivo sul mercato entro il prossimo biennio.
L’altro effetto, invece, è rappresentato dalla riduzione dell’incentivo a mettere a bilancio tali crediti. Cioè a erogarli del tutto. «Il cambiamento nell’appetito al rischio delle banche andrà a impattare soprattutto il credito al consumo, i prestiti personali, e in generale quelli a breve termine, con il segmento retail e lo small business e medium che saranno maggiormente interessati da tale cambiamento», spiega Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim.
Non solo. Oltre al pricing – in generale si può stimare un aumento generalizzato del costo degli unsecured o un boom di richieste di garanzie – a mutare potrebbe essere anche il business model degli istituti: le banche potrebbero iniziare a «considerare di diventare distributori puri di prodotti di terzi, specialmente di prestiti al consumo non garantiti di player specializzati che non sono sotto sorveglianza Bce», aggiunge Razzoli.
Come se non bastasse, al documento Bce, sempre la scorsa settimana si è aggiunto il consultatio paper dell’Eba sulla gestione dei non performing. Il testo prevede che dal primo gennaio 2019 le banche adottino strategie chiare sul fronte della gestione del fardello dei crediti deteriorati, sia in termini di governance che di modelli operativi. Nessun impatto materiale sul Cet1, ma certo questo crea un ulteriore incentivo a vendere il business del servicing. Un po’ come sta succedendo a Intesa Sanpaolo. Qualora BpmBanco, Ubi e Bper decidessero di implementare questa opzione, il rilascio di capitale potrebbe essere compreso tra 10 e 27punti base sul Cet1.


Autore: Luca Davi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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