Che fine faranno i famosi Non Performing Loans che le banche si stanno affrettando a cedere, anzi potremmo dire svendere, ai grossi investitori stranieri? E’ la domanda che gli addetti ai lavori si stanno ponendo da tempo e finalmente la preoccupazione è arrivata anche alle orecchie del cosiddetto “cittadino comune”. Il rischio, infatti, si cela dietro le nuove dinamiche che questi fondi stranieri, per lo più americani, potrebbero mettere in atto per recuperare tali crediti cercando di non perdere l’investimento fatto.
A paventare il rischio di speculazioni e potenziali abusi nei confronti di famiglie e imprese è la First Cisl, sindacato del settore finanziario, che ha lanciato di recente un’iniziativa insieme ad Adiconsum per monitorare le conseguenze delle cessioni dei crediti problematici. Prima che arrivino le nuove regole della Banca Centrale Europea, il sindacato e l’associazione dei consumatori si preparano ad assistere le eventuali situazioni critiche. Il progetto prevede la costituzione di una rete capillare di sportelli di ascolto, diffusa su tutto il territorio nazionale, che fornirà sostegno alle famiglie e alle imprese assoggettate a procedure di recupero dei crediti da parte di soggetti diversi dalle banche con cui il debito era stato contratto. Un vero “osservatorio sul credito deteriorato” che farà emergere tutti gli abusi e i comportamenti spregiudicati e fornirà report puntuali sulle irregolarità riscontrate e sull’esito degli interventi a sostegno delle situazioni più disagiate.
Credit Village ha analizzato nel dettaglio i potenziali rischi per il Paese con il Dott. Dino Crivellari dello Studio legale Crivellari & Partners.
Quali sono i segnali preoccupanti che si registrano nel Paese?
Il quadro è chiaro da tempo: le banche sono in difficoltà perché hanno una montagna di crediti difficili da recuperare e questo le rende inefficienti, incidendo sulla loro scarsa capacità di prestare soldi. A pagare il conto di questa situazione è tutto il sistema, per questo una delle soluzioni, sponsorizzate soprattutto dalla Banca Centrale Europea, è la vendita delle sofferenze ai fondi speculativi. Purtroppo questa vendita sta avvenendo a prezzi molto bassi perché trattandosi di un mercato molto piccolo a fare il prezzo sono i compratori e non i venditori. Tale dinamica non fa che caricare sulle banche ulteriori costi di operazioni al ribasso.
Dall’altro lato i fondi speculativi avranno presto l’interesse a realizzare i recuperi dei crediti in tempi brevi e con azioni molto più aggressive rispetto a quelle che metterebbe in campo la banca che, avendo una continuità con il territorio, rispetta delle regole non scritte. Ad esempio si pone il problema di non far fallire un’azienda in difficoltà per evitare di trovarsi come debitori “non performing” anche le persone che in quell’azienda lavorano. Dunque la conseguenza per un milione e 200mila posizioni in sofferenza, in cui sono comprese famiglie e imprese, è quella di vedersi aggredire i propri beni da un momento all’altro. Soprattutto laddove ci sono dei cespiti a garanzia che magari alle banche non interessano mentre al fondo sì. Inoltre, con la nuova normativa sulle procedure fallimentari, mi aspetto un aumento di occasioni di fallimenti. A chi ha un piccolo debito consiglio di controllare che siano stati fatti bene i calcoli degli interessi magari appoggiandosi a professionisti seri.
C’è il rischio che questa dinamica investa anche i crediti UTP-Unlikely to Pay?
Gli UTP sono molto più complicati da vendere perché sono legati ad un contratto, ma se l’impostazione della BCE dovesse essere ancora più spinta rispetto a quanto è stato annunciato, potrebbero essere coinvolti anche questi crediti. E parliamo di una cifra che tocca i 50 miliardi. A quel punto potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione di molte famiglie e imprese che, se accompagnate, avrebbero potuto uscire dalla crisi. Il fondo speculativo, manco a dirlo, avrà anche in questo caso una gestione liquidatoria e non di risoluzione della crisi.
Perché la BCE non si sta ponendo il problema, introducendo delle regole più rigide nella vendita degli NPL?
La BCE fa un ragionamento di questo tipo: dobbiamo fare in modo che le banche si liberino di questo peso che riguarda la crisi precedente, per garantire la tenuta del sistema prima che arrivi la prossima crisi.
Ma il ragionamento della BCE non va a discapito delle banche stesse?
Diciamo che va a discapito degli attuali azionisti delle banche. Gli istituti, quando fanno questo tipo di operazioni le fanno quasi sempre attraverso le cartolarizzazioni che fanno diminuire il valore delle azioni. Quindi ci rimettono i vecchi azionisti così come i risparmiatori. Mentre la banca, se non fallisce, continua a lavorare ripulita. Il rischio è che i nuovi azionisti siano gli stessi fondi che hanno acquistato gli NPL e dispongono di denaro da investire. Già adesso le prime 11 banche italiane hanno la maggior parte del capitale in mano ai fondi stranieri.
Cosa si può fare per evitare che la situazione precipiti?
In Parlamento sono depositati 6 disegni di legge che propongono un “giubileo bancario” ovvero una sorta di operazione di condono per i debitori in maniera da metterli in condizioni di pagare quello che possono, vietando alle banche di rifiutare le proposte superiori alle offerte che fanno i fondi. Si tratta della stessa logica che è alla base del provvedimento fatto con la rottamazione delle cartelle Equitalia permettendo al cittadino di pagare il debito, ma non gli interessi e le sanzioni che sono quasi il 60% della somma. In questo modo le banche recupererebbero comunque una cifra più alta rispetto a quello che pagano i fondi speculativi. Mentre adesso perdono una parte di capitale e sono costrette a ricapitolarizzare. Purtroppo il Governo non ha voluto portare avanti questi interventi. Dall’altro lato c’è Bankitalia che ha un’impostazione molto più cauta rispetto a quella della BCE e invita le banche a gestire i debiti che hanno in pancia in modo più attento, analizzandoli nel dettaglio. Ad esempio vendendo solo i crediti dei fallimenti che però nessuno vuole comprare. Per questo sarebbe opportuno un provvedimento di natura generalizzata che salva il debitore piuttosto che il debito.
Che fine faranno i famosi Non Performing Loans che le banche si stanno affrettando a cedere, anzi potremmo dire svendere, ai grossi investitori stranieri? E’ la domanda che gli addetti ai lavori si stanno ponendo da tempo e finalmente la preoccupazione è arrivata anche alle orecchie del cosiddetto “cittadino comune”. Il rischio, infatti, si cela dietro le nuove dinamiche che questi fondi stranieri, per lo più americani, potrebbero mettere in atto per recuperare tali crediti cercando di non perdere l’investimento fatto.
A paventare il rischio di speculazioni e potenziali abusi nei confronti di famiglie e imprese è la First Cisl, sindacato del settore finanziario, che ha lanciato di recente un’iniziativa insieme ad Adiconsum per monitorare le conseguenze delle cessioni dei crediti problematici. Prima che arrivino le nuove regole della Banca Centrale Europea, il sindacato e l’associazione dei consumatori si preparano ad assistere le eventuali situazioni critiche. Il progetto prevede la costituzione di una rete capillare di sportelli di ascolto, diffusa su tutto il territorio nazionale, che fornirà sostegno alle famiglie e alle imprese assoggettate a procedure di recupero dei crediti da parte di soggetti diversi dalle banche con cui il debito era stato contratto. Un vero “osservatorio sul credito deteriorato” che farà emergere tutti gli abusi e i comportamenti spregiudicati e fornirà report puntuali sulle irregolarità riscontrate e sull’esito degli interventi a sostegno delle situazioni più disagiate.
Credit Village ha analizzato nel dettaglio i potenziali rischi per il Paese con il Dott. Dino Crivellari dello Studio legale Crivellari & Partners.
Quali sono i segnali preoccupanti che si registrano nel Paese?
Il quadro è chiaro da tempo: le banche sono in difficoltà perché hanno una montagna di crediti difficili da recuperare e questo le rende inefficienti, incidendo sulla loro scarsa capacità di prestare soldi. A pagare il conto di questa situazione è tutto il sistema, per questo una delle soluzioni, sponsorizzate soprattutto dalla Banca Centrale Europea, è la vendita delle sofferenze ai fondi speculativi. Purtroppo questa vendita sta avvenendo a prezzi molto bassi perché trattandosi di un mercato molto piccolo a fare il prezzo sono i compratori e non i venditori. Tale dinamica non fa che caricare sulle banche ulteriori costi di operazioni al ribasso.
Dall’altro lato i fondi speculativi avranno presto l’interesse a realizzare i recuperi dei crediti in tempi brevi e con azioni molto più aggressive rispetto a quelle che metterebbe in campo la banca che, avendo una continuità con il territorio, rispetta delle regole non scritte. Ad esempio si pone il problema di non far fallire un’azienda in difficoltà per evitare di trovarsi come debitori “non performing” anche le persone che in quell’azienda lavorano. Dunque la conseguenza per un milione e 200mila posizioni in sofferenza, in cui sono comprese famiglie e imprese, è quella di vedersi aggredire i propri beni da un momento all’altro. Soprattutto laddove ci sono dei cespiti a garanzia che magari alle banche non interessano mentre al fondo sì. Inoltre, con la nuova normativa sulle procedure fallimentari, mi aspetto un aumento di occasioni di fallimenti. A chi ha un piccolo debito consiglio di controllare che siano stati fatti bene i calcoli degli interessi magari appoggiandosi a professionisti seri.
C’è il rischio che questa dinamica investa anche i crediti UTP-Unlikely to Pay?
Gli UTP sono molto più complicati da vendere perché sono legati ad un contratto, ma se l’impostazione della BCE dovesse essere ancora più spinta rispetto a quanto è stato annunciato, potrebbero essere coinvolti anche questi crediti. E parliamo di una cifra che tocca i 50 miliardi. A quel punto potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione di molte famiglie e imprese che, se accompagnate, avrebbero potuto uscire dalla crisi. Il fondo speculativo, manco a dirlo, avrà anche in questo caso una gestione liquidatoria e non di risoluzione della crisi.
Perché la BCE non si sta ponendo il problema, introducendo delle regole più rigide nella vendita degli NPL?
La BCE fa un ragionamento di questo tipo: dobbiamo fare in modo che le banche si liberino di questo peso che riguarda la crisi precedente, per garantire la tenuta del sistema prima che arrivi la prossima crisi.
Ma il ragionamento della BCE non va a discapito delle banche stesse?
Diciamo che va a discapito degli attuali azionisti delle banche. Gli istituti, quando fanno questo tipo di operazioni le fanno quasi sempre attraverso le cartolarizzazioni che fanno diminuire il valore delle azioni. Quindi ci rimettono i vecchi azionisti così come i risparmiatori. Mentre la banca, se non fallisce, continua a lavorare ripulita. Il rischio è che i nuovi azionisti siano gli stessi fondi che hanno acquistato gli NPL e dispongono di denaro da investire. Già adesso le prime 11 banche italiane hanno la maggior parte del capitale in mano ai fondi stranieri.
Cosa si può fare per evitare che la situazione precipiti?
In Parlamento sono depositati 6 disegni di legge che propongono un “giubileo bancario” ovvero una sorta di operazione di condono per i debitori in maniera da metterli in condizioni di pagare quello che possono, vietando alle banche di rifiutare le proposte superiori alle offerte che fanno i fondi. Si tratta della stessa logica che è alla base del provvedimento fatto con la rottamazione delle cartelle Equitalia permettendo al cittadino di pagare il debito, ma non gli interessi e le sanzioni che sono quasi il 60% della somma. In questo modo le banche recupererebbero comunque una cifra più alta rispetto a quello che pagano i fondi speculativi. Mentre adesso perdono una parte di capitale e sono costrette a ricapitolarizzare. Purtroppo il Governo non ha voluto portare avanti questi interventi. Dall’altro lato c’è Bankitalia che ha un’impostazione molto più cauta rispetto a quella della BCE e invita le banche a gestire i debiti che hanno in pancia in modo più attento, analizzandoli nel dettaglio. Ad esempio vendendo solo i crediti dei fallimenti che però nessuno vuole comprare. Per questo sarebbe opportuno un provvedimento di natura generalizzata che salva il debitore piuttosto che il debito.