Nato come criptomoneta, anche se programmato per arrivare ad un massimo di 21 milioni di unità, il bitcoin ha mostrato forti limiti come strumento di pagamento, dai costi elevati alla lentezza operativa. Presto, infatti, si è trasformato in un mezzo di investimento per profili adatti a rischi elevati. In poco più di un anno il suo valore finanziario è passato da 1.000 dollari a 20mila per la felicità di chi ha avuto l’ardire di investire su uno strumento più che avvenieristico. Ma a metà dicembre, subito dopo aver toccato il valore più alto, il bitcoin è sceso drasticamente di oltre il 50%, dopo gli annunci di misure restrittive arrivate dalla Corea del Sud e dalla Cina. Da allora tutti si chiedono se ci troviamo di fronte ad una bolla speculativa o se è “semplicemente” la nuova criptofinanza. Quello che è certo è che c’è un problema di regolamentazione che andrà gestito a livello globale. Ma si pone una questione anche normativa e fiscale. E mentre i Governi si interrogano su come e quale aliquota Iva imporre, su quale definizione giuridica attribuire alle criptomonete e su come applicare le norme antiriciclaggio, i consumatori si chiedono se bitcoin riuscirà a trasformarsi davvero in una riserva di valore simile all’oro (essendo anch’esso limitato), acquisendo un ruolo strutturale nel panorama finanziario mondiale.
A questo punto gli esperti tirano in ballo la tecnologia che è alla base di tutto questo mondo, ovvero la blockchain, un registro pubblico digitale distribuito che, attraverso regole e algoritmi, assicura che gli scambi effettuati tramite esso siano più affidabili di quelle di qualsiasi altro ente certificatore.
Mentre il ruolo delle criptovalute dipenderà comunque da un intervento delle banche centrali che, come accade per l’oro, dovranno agganciarne il valore ad un ecosistema di strumenti di pagamento digitali tale da giustificarne l’esistenza, la blockchain rivoluzionerà le nostre vite come ha fatto Internet.
Il caso di Ethereum, che ha compreso che in questo pubblico registro potevano risiedere cose più complesse che semplici registrazioni contabili, ha aperto scenari infiniti. Avere una piattaforma distribuita, sicura, affidabile e terza, sulla quale far funzionare dei software che rappresentano, certificano e fanno funzionare degli accordi contrattuali costituisce una innovazione potentissima applicabile praticamente a tutti gli ambiti economici. Ma oltre a far girare “contratti intelligenti”, Ethereum ha alimentato un’enorme spirale di criptomonete. Gli inventori di Ethereum, infatti, si sono inventati anche una seconda moneta digitale, chiamata “ether”, che hanno iniziato a scambiare con i bitcoin. Questo ha dato il via ad una serie di piattaforme di lancio di centinaia e centinaia di nuove criptovalute. La maggioranza di queste non ha, però, nessun progetto credibile alle spalle. Eppure il complesso della capitalizzazione di tutte queste criptovalute ha superato, circa un mesetto fa, gli 800 miliardi. Salvo poi crollare sotto i 500 miliardi qualche giorno fa. Dunque siamo ancora lontani dall’avere anche le minime garanzie per un investimento serio e le Associazioni dei consumatori avvertono: acquistando una criptomoneta non si è titolari di alcun diritto giuridicamente spendibile, quindi scambiamo i nostri soldi in cambio di promesse. Inoltre il progetto di criptomoneta può cambiare e prendere una direzione qualsiasi, magari con enormi vantaggi per gli sviluppatori del sistema stesso e svantaggi per i possessori della criptomoneta. Anche agli inizi di Internet c’erano tantissimi progetti che partivano e chiedevano soldi al mercato attraverso le famose “IPO”. Molti di questi progetti erano inconsistenti e le aziende hanno chiuso facendo perdere tutti i soldi agli azionisti. Ma c’è anche chi ha investito in Amazon ed ha avuto guadagni importanti. E comunque, nel caso di Internet, i consumatori diventavano azionisti di società, mentre con le criptovalute sono solo possessori di monete virtuali. A questo bisogna aggiungere che le piattaforme di exchange non sono regolamentate e può accadere di tutto: possono decidere di sospendere gli scambi a loro insindacabile giudizio o essere esposte ad attacchi informatici. Siamo quindi in una sorta di far-west proto-finanziario.
Nato come criptomoneta, anche se programmato per arrivare ad un massimo di 21 milioni di unità, il bitcoin ha mostrato forti limiti come strumento di pagamento, dai costi elevati alla lentezza operativa. Presto, infatti, si è trasformato in un mezzo di investimento per profili adatti a rischi elevati. In poco più di un anno il suo valore finanziario è passato da 1.000 dollari a 20mila per la felicità di chi ha avuto l’ardire di investire su uno strumento più che avvenieristico. Ma a metà dicembre, subito dopo aver toccato il valore più alto, il bitcoin è sceso drasticamente di oltre il 50%, dopo gli annunci di misure restrittive arrivate dalla Corea del Sud e dalla Cina. Da allora tutti si chiedono se ci troviamo di fronte ad una bolla speculativa o se è “semplicemente” la nuova criptofinanza. Quello che è certo è che c’è un problema di regolamentazione che andrà gestito a livello globale. Ma si pone una questione anche normativa e fiscale. E mentre i Governi si interrogano su come e quale aliquota Iva imporre, su quale definizione giuridica attribuire alle criptomonete e su come applicare le norme antiriciclaggio, i consumatori si chiedono se bitcoin riuscirà a trasformarsi davvero in una riserva di valore simile all’oro (essendo anch’esso limitato), acquisendo un ruolo strutturale nel panorama finanziario mondiale.
A questo punto gli esperti tirano in ballo la tecnologia che è alla base di tutto questo mondo, ovvero la blockchain, un registro pubblico digitale distribuito che, attraverso regole e algoritmi, assicura che gli scambi effettuati tramite esso siano più affidabili di quelle di qualsiasi altro ente certificatore.
Mentre il ruolo delle criptovalute dipenderà comunque da un intervento delle banche centrali che, come accade per l’oro, dovranno agganciarne il valore ad un ecosistema di strumenti di pagamento digitali tale da giustificarne l’esistenza, la blockchain rivoluzionerà le nostre vite come ha fatto Internet.
Il caso di Ethereum, che ha compreso che in questo pubblico registro potevano risiedere cose più complesse che semplici registrazioni contabili, ha aperto scenari infiniti. Avere una piattaforma distribuita, sicura, affidabile e terza, sulla quale far funzionare dei software che rappresentano, certificano e fanno funzionare degli accordi contrattuali costituisce una innovazione potentissima applicabile praticamente a tutti gli ambiti economici. Ma oltre a far girare “contratti intelligenti”, Ethereum ha alimentato un’enorme spirale di criptomonete. Gli inventori di Ethereum, infatti, si sono inventati anche una seconda moneta digitale, chiamata “ether”, che hanno iniziato a scambiare con i bitcoin. Questo ha dato il via ad una serie di piattaforme di lancio di centinaia e centinaia di nuove criptovalute. La maggioranza di queste non ha, però, nessun progetto credibile alle spalle. Eppure il complesso della capitalizzazione di tutte queste criptovalute ha superato, circa un mesetto fa, gli 800 miliardi. Salvo poi crollare sotto i 500 miliardi qualche giorno fa. Dunque siamo ancora lontani dall’avere anche le minime garanzie per un investimento serio e le Associazioni dei consumatori avvertono: acquistando una criptomoneta non si è titolari di alcun diritto giuridicamente spendibile, quindi scambiamo i nostri soldi in cambio di promesse. Inoltre il progetto di criptomoneta può cambiare e prendere una direzione qualsiasi, magari con enormi vantaggi per gli sviluppatori del sistema stesso e svantaggi per i possessori della criptomoneta. Anche agli inizi di Internet c’erano tantissimi progetti che partivano e chiedevano soldi al mercato attraverso le famose “IPO”. Molti di questi progetti erano inconsistenti e le aziende hanno chiuso facendo perdere tutti i soldi agli azionisti. Ma c’è anche chi ha investito in Amazon ed ha avuto guadagni importanti. E comunque, nel caso di Internet, i consumatori diventavano azionisti di società, mentre con le criptovalute sono solo possessori di monete virtuali. A questo bisogna aggiungere che le piattaforme di exchange non sono regolamentate e può accadere di tutto: possono decidere di sospendere gli scambi a loro insindacabile giudizio o essere esposte ad attacchi informatici. Siamo quindi in una sorta di far-west proto-finanziario.