Istantanee dalleconomia digitale. Cè il giovane informatico che qualche anno fa ha investito 100 dollari in bitcoin e oggi li converte mettendo a segno un bel guadagno. Cè il pensionato che ha incaricato il nipote, studente universitario, di gestire via internet laffitto della casa al mare nei fine settimana. E cè la start up fondata da un ricercatore per offrire servizi digitali che ottimizzano la pubblicità sul web. Tutti quanti, in un modo o nellaltro, si trovano di fronte a norme incerte e senza saperlo sono finiti nellagenda dei regolatori italiani ed europei. O, almeno, di quelli più attenti.
Che le autorità nazionali ed europee stiano monitorando le diverse manifestazioni delleconomia digitale, dalle criptovalute alla sharing economy, è fuor di dubbio. Ma è altrettanto evidente che al momento il fisco e il diritto si trovano a inseguire fenomeni che restano, da un estremo allaltro, privi di regole (quando ne avrebbero bisogno) o vietati (quando sarebbe necessario disciplinarli). Di certo ci sono alcune difficoltà oggettive che la normativa incontra quando si confronta con nuove forme di attività (servizi digitali e valute virtuali) o con attività economiche tradizionali facilitate dal web (affitti, trasporti, ristorazione).
Una prima complicazione deriva dallenorme allargamento della platea degli attori. Soggetti quasi sempre privi di partita Iva che operano nei vari campi delleconomia condivisa, spesso nei ritagli di tempo o in modo occasionale. E che, se si esclude la norma sugli affitti brevi (Dl 50/2017), in Italia restano privi di discipline fiscali specifiche.
La difficoltà di inquadrare i ricavi nelle categorie già esistenti può produrre due effetti opposti ed entrambi negativi, frenando liniziativa economica o lasciando campo libero allevasione fiscale.
La disintermediazione dei servizi, con lallargamento della platea a operatori non professionali, pone lesigenza di tutelare gli utenti senza cadere in un eccesso di regolazione.
Un altro aspetto delicato deriva dalla struttura stessa di internet, che non si ferma ai confini nazionali dei singoli Stati e spesso rende difficile per le autorità nazionali individuare le basi imponibili da tassare. Tantè che la web tax introdotta dalla legge di Bilancio a partire dal 2019 prevede che sia lo stesso committente a riscuotere il tributo sotto forma di trattenuta dal prezzo pagato alle imprese digitali. Come dire: applichiamo limposta fin che possiamo o poi diventerà impossibile. Ma, anche così, i nodi applicativi sono tuttaltro che risolti (si veda larticolo in pagina).
È in questo scenario che si muovono i tentativi di definire regole certe a livello internazionale, con tutte le difficoltà di fissare un criterio di tassazione condiviso da una parte e dallaltra dellOceano. Più realistico è agire sul coordinamento delle norme antielusive o dettare regole uniformi almeno in ambito europeo. Rientra in questultimo filone, ad esempio, la rivoluzione dellIva annunciata dallUnione europea a partire dal 2021, secondo cui le-commerce sconterà limposta nel Paese del consumatore (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 19 gennaio).
Un altro fronte su cui sta operando lUnione europea è quello dellantiriciclaggio, con lannunciata introduzione della V direttiva. Tema che non riguarda solo leconomia digitale, ma che la intercetta a livello delle criptovalute. Mentre il grado di pericolosità dei bitcoin sotto il profilo del riciclaggio è ancora oggetto di discussione tra gli esperti, lItalia ha anticipato alcuni punti della futura direttiva, inserendo tra i destinatari degli obblighi antiriciclaggio anche gli operatori e le piattaforme che convertono la moneta virtuale in denaro avente corso legale (gli exchanger). Ma, come per la web tax, anche in questo caso lapplicazione è tuttaltro che agevole e attende istruzioni dettagliate.
Autore: Dario Aquaro, Cristiano DellOste
Fonte:
Il Sole 24 Ore
tasse – bitcoin – economia digitale – fintech
Istantanee dalleconomia digitale. Cè il giovane informatico che qualche anno fa ha investito 100 dollari in bitcoin e oggi li converte mettendo a segno un bel guadagno. Cè il pensionato che ha incaricato il nipote, studente universitario, di gestire via internet laffitto della casa al mare nei fine settimana. E cè la start up fondata da un ricercatore per offrire servizi digitali che ottimizzano la pubblicità sul web. Tutti quanti, in un modo o nellaltro, si trovano di fronte a norme incerte e senza saperlo sono finiti nellagenda dei regolatori italiani ed europei. O, almeno, di quelli più attenti.
Che le autorità nazionali ed europee stiano monitorando le diverse manifestazioni delleconomia digitale, dalle criptovalute alla sharing economy, è fuor di dubbio. Ma è altrettanto evidente che al momento il fisco e il diritto si trovano a inseguire fenomeni che restano, da un estremo allaltro, privi di regole (quando ne avrebbero bisogno) o vietati (quando sarebbe necessario disciplinarli). Di certo ci sono alcune difficoltà oggettive che la normativa incontra quando si confronta con nuove forme di attività (servizi digitali e valute virtuali) o con attività economiche tradizionali facilitate dal web (affitti, trasporti, ristorazione).
Una prima complicazione deriva dallenorme allargamento della platea degli attori. Soggetti quasi sempre privi di partita Iva che operano nei vari campi delleconomia condivisa, spesso nei ritagli di tempo o in modo occasionale. E che, se si esclude la norma sugli affitti brevi (Dl 50/2017), in Italia restano privi di discipline fiscali specifiche.
La difficoltà di inquadrare i ricavi nelle categorie già esistenti può produrre due effetti opposti ed entrambi negativi, frenando liniziativa economica o lasciando campo libero allevasione fiscale.
La disintermediazione dei servizi, con lallargamento della platea a operatori non professionali, pone lesigenza di tutelare gli utenti senza cadere in un eccesso di regolazione.
Un altro aspetto delicato deriva dalla struttura stessa di internet, che non si ferma ai confini nazionali dei singoli Stati e spesso rende difficile per le autorità nazionali individuare le basi imponibili da tassare. Tantè che la web tax introdotta dalla legge di Bilancio a partire dal 2019 prevede che sia lo stesso committente a riscuotere il tributo sotto forma di trattenuta dal prezzo pagato alle imprese digitali. Come dire: applichiamo limposta fin che possiamo o poi diventerà impossibile. Ma, anche così, i nodi applicativi sono tuttaltro che risolti (si veda larticolo in pagina).
È in questo scenario che si muovono i tentativi di definire regole certe a livello internazionale, con tutte le difficoltà di fissare un criterio di tassazione condiviso da una parte e dallaltra dellOceano. Più realistico è agire sul coordinamento delle norme antielusive o dettare regole uniformi almeno in ambito europeo. Rientra in questultimo filone, ad esempio, la rivoluzione dellIva annunciata dallUnione europea a partire dal 2021, secondo cui le-commerce sconterà limposta nel Paese del consumatore (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 19 gennaio).
Un altro fronte su cui sta operando lUnione europea è quello dellantiriciclaggio, con lannunciata introduzione della V direttiva. Tema che non riguarda solo leconomia digitale, ma che la intercetta a livello delle criptovalute. Mentre il grado di pericolosità dei bitcoin sotto il profilo del riciclaggio è ancora oggetto di discussione tra gli esperti, lItalia ha anticipato alcuni punti della futura direttiva, inserendo tra i destinatari degli obblighi antiriciclaggio anche gli operatori e le piattaforme che convertono la moneta virtuale in denaro avente corso legale (gli exchanger). Ma, come per la web tax, anche in questo caso lapplicazione è tuttaltro che agevole e attende istruzioni dettagliate.
Autore: Dario Aquaro, Cristiano DellOste
Fonte:
Il Sole 24 Ore
tasse – bitcoin – economia digitale – fintech