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Il FinTech conquista il 16% degli italiani e un Millennial su tre

Il pagamento tramite cellulare. Poi: i trasferimenti di denaro tra utenti privati, sfruttando siti d’imprese o enti di “social lending”. Ancora: la raccolta fondi, sempre via Internet, basata su migliaia di piccoli contributi per, ad esempio, sostenere un progetto comune. Sono alcuni dei servizi FinTech che anche in Italia prendono via via più piede. Un mondo di nuove soluzioni tecnofinanziarie che ormai fa breccia nella clientela retail del Belpaese.

I dati sul retail
Per rendersene conto basta sfogliare l’Osservatorio Fintech & Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano (in collaborazione con Nielsen). Tra i grafici e le molteplici tabelle della ricerca salta fuori che negli ultimi 12 mesi il 16% degli italiani ha utilizzato servizi FinTech. Una percentuale che raddoppia (34%) se si considerano solo i Millennials. Utenti Internet i quali hanno in primis sfruttato il “mobile payment” (15%). E, poi, via via altri servizi: dalla “strong authentication” (8%) ai trasferimenti di denaro “peer to peer” (7%) fino alla consulenza robotizzata (1%). Insomma una voglia d’innovazione che, peraltro, è confermata dal comportamento sui canali digitali delle stesse banche italiane. Qui, in media, il 38% dei clienti risulta utente attivo attraverso l’utilizzo del personal computer (+5% rispetto al 2016). La percentuale, a ben vedere, diminuisce con il mobile. Negli smartphone e tablet la media è del 15%. Seppure, da una parte il dato sia comuqnue in crescita (era il 9% un anno fa); e, dall’altra, la ricerca del Politecnico di Milano (Polimi) sottolinei che il mobile sia destinato a diventare il canale privilegiato nell’interazione con il cliente.

Cosa chiede l’utente
Già, il cliente. Ma quali le caratteristiche che dovranno avere in futuro gli istituti di credito italiani? Gli esperti del Polimi hanno rilevato che forte è la domanda di servizi di base gratuiti. Inoltre le banche, da qui a 5 anni, dovrebbero garantire velocità, disponibilità 24 ore su 24 sette giorni su sette, trasparenza e, per le operazione più complesse, incontri con il personale in filiale. In particolare, poi, i Millenials sembrano meno “preoccupati” riguardo al tema dei costi. Una condizione che, da un lato, può forse spiegarsi con il dare per scontato la gratuità dei servizi bancari di base. E che, dall’altro, non coinvolge i meno giovani i quali, evidentemente, ricordano i costi significativi caricati sul semplice bonifico.

L’offerta degli istituti
A fronte di un simile contesto il signor Rossi domanda: quale l’offerta in arrivo dalle banche? La riposta è articolata. Dapprima gli stessi dati sull’utilizzo da parte dei clienti di Pc, tablet e smartphone implicitamente dimostrano che simili canali sono ormai pilastri portanti della strategia retail degli istituti. «Ciò detto, però – spiega Marco Giorgino, responsabile scientifico dell’Osservatorio Fintech & Digital Finance del Polimi – , rispetto al più stretto tema del FinTech il rischio è di avere una realtà a macchia di “leopardo”». Vale a dire? «Diverse banche, sia attraverso la collaborazione con le startup sia con l’innovazione interna, investono. Hanno capito che il fenomeno è un’opportunità. Altre, invece, paiono ferme». Certo: il cliente non è uguale in tutta Italia e, quindi, c’è ancora un po’ di tempo. «Tuttavia, il pericolo di perdere il treno esiste».

I rapporti con le Pmi
Quel treno che, riguardo l’innovazione digitale sui servizi alle piccole e medie imprese, è invece chiaramente in ritardo. La ricerca del Polimi sottolinea che l’offerta tradizionale bancaria alle pmi è ampia e differenziata. I primi 21 istituti italiani (in termini di asset) offrono ciascuno mediamente poco meno di 30 servizi specifici. Tra questi quelli più diffusi sono i finanziamenti a lungo termine (150 prodotti). Orbene: uno solo è accessibile via Internet e, comunque, il richiedente deve passare in filiale per la firma finale. La situazione, quindi, appare quantomai desolante. Anche perchè all’estero, da una parte, esistono già delle soluzioni di finanziamento a lungo periodo accessibili interamente online. E, dall’altra, sono maggiormente diffusi i prestiti cosiddetti veloci. È vero: può obiettarsi che diverse iniziative, basate sulla tecnologia blockchain, hanno visto (nel passato e più di recente) coinvolti proprio su queste tematiche diversi istituti italiani. E tuttavia non può negarsi che l’Italia sconti un ritardo.

La sfida delle nuove realtà
Fin qui alcune indicazioni, e suggestioni, rispetto al rapporto tra Fintech, retail e banche. C’è, però, un altro fronte che lo studio del Polimi analizza: l’espansione di attori non finanziari (ne sono stati censiti 51 a livello internazionale) che vogliono crescere nel mondo bancario. Di questi il 78% (40 aziende) sono coloro che rappresentano la maggiore minaccia per gli istituti tradizionali. Si tratta delle grandi corporation (ad esempio Walmart), dei big digitali (da Facebook ad Amazon), dei provider tecnologici (Apple o Samsung) e delle società di Tlc (ad esempio Orange). Ebbene: al di là delle solite indicazioni rispetto al guanto di sfida di simili soggetti, la novità dell’analisi è che sono state passate ai raggi X le soluzioni finanziarie da loro offerte. Uno screening che ha portato ad un risultato che, al lettore, pare inequivocabile. Oltre la metà (56%) sono servizi e prodotti dedicati sia ai clienti già esistenti che a potenziali nuovi utenti. E non solo: si tratta di soluzioni non correlate al core business dell’azienda. Vale a dire: la volontà di proporsi quale canale alternativo al tradizionale sistema bancario è negli stessi numeri.

Certo: in simili casi c’è sempre la barriera d’ingresso della regolamentazione bancaria. Inoltre: si tratta non di rado di attività verticalizzate. Ciò detto, deve sottolinearsi, la sfida non arriva dalle startup del FinTech che, al contrario, sono un’opportunità per chi la saprà cogliere. «Il rischio vero – sottolinea Giorgino- è rappresentato da quelle realtà, in particolare i big digitali, che da un lato hanno milioni (se non miliardi) di utenti; e, dall’altro, sfruttano i big data legati anche, e soprattutto, alla loro clientela». Le banche devono rendersi conto di questo e darsi una “mossa”. In Italia alcuni lo fanno altri meno.


Autore: Vittorio Carlini
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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