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Riscossione tributi: crack Seal, debiti per 57 milioni di euro

Un passivo, ad oggi, di 57 milioni di euro a fronte di un patrimonio di 3. È la situazione attuale della Seal spa, società che, per conto del comune di Viterbo, ha riscosso tributi fino al 2003, anno del suo fallimento.

”Una situazione critica che di fatto non si allontana da quella del passato: basti pensare come nel 1998 la società avesse accumulato debiti con la banca Carivit per oltre 30 miliardi di lire. Cifre da capogiro da cui è quasi impossibile rientrare”. A snocciolare in aula, ad uno ad uno gli anni di attività della società di recupero crediti, i primi testimoni del processo per bancarotta a carico del presidente e dei membri del consiglio di amministrazione della Seal: Vincenzo Pieretti, Lorenzo Gasperini, Luciano Messi, Angelo Mascagna, Maria Grazia Innocenzi e Maria Venanzi.

”Attiva dal 1990, per tutti i 13 anni di attività, l’azienda ha avuto una struttura patrimoniale debole – ha spiegato in aula il curatore fallimentare Massimo Cinesi – il suo capitale era estremamente esiguo in relazione alla natura dell’attività svolta. Una società di recupero crediti dovrebbe avere un patrimonio ben più vasto di quello che presentava la Seal”.

Solamente due immobili e un numero spropositato di dipendenti pagati ben al di sopra delle possibilità aziendali: ”In giro per la provincia avevano oltre 60 persone che ricevevano stipendi maggiori rispetto ai colleghi di altre società di recupero crediti – ha proseguito lo stesso curatore – spese, queste, che andavano a gravare una situazione già molto critica”. La situazione di una società in totale dipendenza da una banca, senza la quale non avrebbe mai avuto nella propria disponibilità capitale liquido.

”Sinceramente non so come sia riuscita ad andare avanti e soprattutto come la banca abbia continuato a concedere crediti, fino a superare i 30 miliardi di vecchie lire”.

Per la procura di Viterbo, il consiglio di amministrazione della Seal (oggi costituitasi parte civile) avrebbe emesso fatture false, a fronte di beni e servizi mai ricevuti e avrebbe portato al fallimento per distrazione e per documentazione alterata la società.

Avrebbe, ad esempio, nominato una ditta con sede nel Principato di Monaco per la realizzazione di un software informatico dal valore di un miliardo e mezzo di lire, facendosi emettere fatture gonfiate rispetto al reale pagamento effettuato. Senza annotare in alcun modo la spesa all’interno del bilancio d’azienda.

”Non so se questi servizi servissero davvero alla Seal o se spese così importanti fossero giustificate – ha concluso in aula un ex consigliere sindacale – noi non abbiamo mai avuto riscontri documentali di queste uscite, ecco perché nel dicembre del 2002 abbiamo rassegnato le nostre dimissioni”.

 


Fonte:

Viterbo News 24

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