La Banca centrale europea invierà nelle prossime settimane una lettera alle banche dell’eurozona i cui piani di smaltimento dei crediti deteriorati (Npl) non verranno giudicati soddisfacenti, ma non ha deciso niente sui «vecchi» Npl, un problema che affligge soprattutto le banche italiane, e in ogni caso procederà in una prima fase caso per caso.
Per la prima volta, dopo le aspre polemiche suscitate in Italia dalle sue proposte per i nuovi Npl a partire del 2018 e i timori che lo stesso trattamento possa essere esteso alle consistenze, la Bce replica in modo articolato alle critiche e spiega come intende procedere. In un’intervista al Sole 24 Ore, Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza, nominato dalla Bce, uno degli artefici della vigilanza unica, sostiene che nella situazione del sistema bancario italiano «c’è stato un netto miglioramento negli ultimi mesi» e proprio per questo «è il momento di fare dei passi avanti». E respinge l’obiezione che la vigilanza europea sia andata al di là delle proprie competenze con l’Addendum sugli Npl. Afferma inoltre che la Bce sta dedicando «crescente attenzione ai modelli di rischio» per la valutazione dell’esposizione ai derivati, un problema soprattutto per le banche francesi e tedesche, che la vigilanza è stata accusata di trascurare.
Come vede l’evoluzione del sistema bancario italiano?
C’è stato un netto miglioramento negli ultimi mesi. Non tutte le banche procedono alla stessa velocità, ma la direzione intrapresa è quella giusta. I crediti deteriorati (Npl) si stanno riducendo in misura notevole, sia nell’area euro, sia in Italia, grazie anche all’azione della vigilanza e alla ripresa dell’economia. Ci sono state diverse operazioni di cessione di Npl, alcune di grandi dimensioni. Inoltre, si sta creando un mercato abbastanza competitivo per queste operazioni.
Lei rileva i progressi delle banche italiane. Tuttavia, ora che la situazione è finalmente migliorata, le nuove proposte che avete avanzato ai primi di ottobre – l’Addendum alle regole di marzo – rischiano di aggiungere un nuovo elemento di difficoltà.
E’ una chiave di lettura che non condivido. Innanzitutto devo ribadire che l’Addendum riguarda solo i crediti che diventeranno Npl nel futuro (dal 2018 in avanti), non le consistenze. Lo spirito della proposta è evitare che le banche, l’economia, i cittadini, si trovino a pagare i costi di nuovi accumuli di crediti deteriorati. Sembra ci si stia dimenticando troppo in fretta dei problemi che abbiamo avuto in questi anni a causa della mole di crediti deteriorati nei portafogli delle banche. E poi giova ricordare che i tempi del recupero degli Npl spesso si allungano perché le banche non sono sufficientemente attive fin dall’inizio nell’avviare procedure di recupero e nel valutarne realisticamente le potenzialità. L’indicazione di coprire in modo graduale in 2 anni i crediti non garantiti e in 7 quelli garantiti crea degli incentivi affinché le banche si attivino tempestivamente. Non escludo anche la possibilità che i Paesi più interessati si adoperino per introdurre o facilitare procedure giudiziali ed extra-giudiziali più efficaci e tempestive per la riscossione del credito e la liquidazione delle garanzie. Questa azione esula dalle nostre competenze, ma sarebbe un passo nella giusta direzione.
Da molte parti, e soprattutto dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, con una lettera che Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 10 ottobre scorso, si è obiettato che la vigilanza ha oltrepassato i limiti delle sue competenze e ha avanzato una proposta non in linea con le indicazioni del Parlamento stesso e dell’Ecofin.
Il regolamento del Meccanismo unico di vigilanza, all’articolo 16, prevede che uno degli strumenti a disposizione nell’ambito del secondo pilastro riguardi le politiche di accantonamento a titolo prudenziale. E lo stesso Ecofin, oltre a raccomandare misure legislative vincolanti, ha previsto che la vigilanza possa intervenire con strumenti prudenziali. Secondo la nostra proposta, le banche avranno inoltre la possibilità di spiegare perché ritengono necessario deviare dal calendario che abbiamo suggerito. Non si tratta quindi di requisiti obbligatori, ma si è invertito l’onere della prova. Le nostre proposte rientrano pertanto in pieno nelle nostre prerogative e sono in linea con le iniziative dell’Ecofin, come la presidente del Comitato di vigilanza, Danièle Nouy, ha peraltro ben chiarito in una lettera al Presidente Tajani.
Le polemiche provocate in Italia dall’Addendum sono dovute anche ai timori che quanto proposto per i nuovi Npl venga poi applicato anche alle consistenze, che per le banche italiane sono pesanti. La vostra comunicazione che nel primo trimestre 2018 affronterete il trattamento degli stock è apparso un indizio in questo senso e un’altra fonte di incertezza.
C’è una chiara distinzione fra flussi e consistenze. Sugli stock non abbiamo ancora deciso niente. Entro il primo trimestre faremo una valutazione, che si baserà sull’analisi, non ancora conclusa, dei piani individuali della riduzione degli stock presentati dalle singole banche. È possibile che alcuni di questi piani non siano soddisfacenti. Nelle prossime settimane invieremo lettere alle banche con le nostre valutazioni, e la questione sarà oggetto di dialogo con le banche stesse, caso per caso. Si vedrà solo alla fine di questo processo se, per avere un trattamento omogeneo, sia opportuno chiarire le nostre aspettative anche sullo smaltimento delle consistenze.
Ma non c’è il rischio di far cadere di nuovo le banche in un’emergenza?
Proprio perché questa fase è meno critica e le fragilità si alleviano, è il momento di fare dei passi avanti. C’è da aspettarsi che, nella fase di ripresa, si generino meno crediti deteriorati e che si creino le risorse per coprirli in modo appropriato. Più in generale, vorrei ricordare che l’azione della vigilanza europea in questi anni è stata volta non solo a ridurre gli Npl, ma anche a rafforzare la solidità patrimoniale delle banche. Lo abbiamo fatto per puntare ad avere banche sane, con bilanci puliti e trasparenti, in grado di finanziare imprese sane e promettenti.
Qualcuno in Italia ritiene che gli interessi italiani non siano difesi con sufficiente forza in Europa. Chi difende gli interessi italiani nella Bce?
E’ una questione che ho sentito sollevare recentemente con riguardo alla vigilanza, e mi sorprende il modo a volte errato con cui la viene affrontata. Nella Bce, tutti i componenti degli organi decisionali – il consiglio di vigilanza e il consiglio direttivo – sono tenuti per mandato a perseguire obiettivi e interessi europei. Quindi, se per ipotesi qualcuno difendesse interessi nazionali in quelle sedi, andrebbe contro la legge. Diversa questione è invece assicurare che gli interessi di tutti gli aderenti alla vigilanza unica (Paesi partecipanti, banche) siano tenuti in giusta considerazione, contrastando ogni rischio di parzialità. Questo è un dovere a cui siamo tutti tenuti. Il modo migliore per arrivare a quest’obiettivo è evitare posizioni nazionalistiche o antagonistiche di principio, che fanno perdere credibilità, e insistere invece su decisioni e regole trasparenti ed equilibrate per tutti. Condividere le regole lavorando dall’interno è il modo migliore per avere anche l’opportunità di cambiarle, quando serve.
Il vicepresidente della Bce, Vitor Constâncio, ha detto che, con l’entrata in vigore delle nuove regole contabili Ifrs9 da gennaio, ogni richiesta addizionale in base alle proposte dell’addendum sarà comunque limitata.
Le nuove regole contabili guardano con più rigore alla dinamica futura di erosione della qualità del credito, tenendo conto delle aspettative di deterioramento. Sono più stringenti e più compatibili con l’ottica prudenziale dell’Addendum. Ma una cosa sono i principi contabili, un’altra le richieste della vigilanza. Abbiamo chiesto alle banche di utilizzare al massimo lo spazio consentito dalle norme contabili, e di adottare misure ulteriori sul capitale se necessario. Quello che accadrà dipenderà dai casi specifici. Constâncio ha ribadito che lo spirito della proposta non è avanzare richieste irrealistiche e controproducenti. Ma egli stesso ha sottolineato, in un discorso tenuto a febbraio, che ridurre gli Npl è una priorità sotto il duplice profilo micro- e macro-prudenziale.
In Italia si lamenta che la stessa attenzione riservata agli Npl non viene invece dedicata ai problemi almeno altrettanto gravi nei bilanci di altri sistemi bancari, come i derivati.
Non ci stancheremo mai di ripetere che non guardiamo solo agli Npl. Dedichiamo molta attenzione ai rischi di mercato, fra cui le attività meno trasparenti, e monitoriamo da vicino l’esposizione alle attività cosiddette di livello 2 e 3. Va detto però che se una banca detiene un asset illiquido, o un derivato su di esso, si assume dei rischi che deve saper gestire, senza per questo dover considerare non-performing tali esposizioni. Mi sembra che anche su questo si faccia un po’ di confusione. Equiparare esposizioni non in bonis con altre attività finanziarie che presentano rischi più o meno elevati che vanno comunque gestiti non è corretto. Ci sono regole che consentono di rifarsi a modelli di valutazione del rischio per calcolare le coperture necessarie. Per questo stiamo dedicando crescente attenzione ai modelli di rischio, con il progetto Trim e con le connesse ispezioni. Bisogna ricordare inoltre che alcuni di questi strumenti servono a coprire rischi della clientela, e questo è un servizio che le banche forniscono all’economia.
L’attività della vigilanza è nel mirino anche per una carenza di trasparenza e comunicazione.
Credo che ci siano ancora progressi da fare su questo fronte. Il problema riguarda le prassi di vigilanza a livello globale, non in particolare quelle europee. Le autorità di vigilanza in tutti i Paesi hanno acquisito maggiore indipendenza negli ultimi anni, ed è naturale che questo comporti un grado più elevato di trasparenza e responsabilità democratica. Solo pochi anni fa, la vigilanza si svolgeva in assoluta segretezza, nel rapporto bilaterale esclusivo fra l’autorità e la banca. Oggi il mondo è cambiato; lo scrutinio pubblico è continuo. Per esempio, la vigilanza europea è tenuta a dar conto frequentemente al Parlamento europeo delle proprie attività e decisioni ed è sempre più impegnata a spiegarle al pubblico e al mercato. La trasparenza sarà una delle sfide centrali della vigilanza globale nei prossimi anni; l’unione bancaria europea, creazione recente con assetti regolamentari ancora in formazione, è in posizione favorevole per perseguire efficacemente questa direzione strategica.
Intanto, l’unione bancaria resta priva della sua terza componente, l’assicurazione comune dei depositi.
Trovo deludente l’ultima proposta della Commissione europea, che di fatto rinuncia all’ultima fase, quella dello schema di assicurazione unico. Lo schema rischia di nascere monco, incompleto: la co-assicurazione non è sufficiente. Ma non meno importante è la completezza e la solidità del meccanismo di risoluzione. Il consiglio di risoluzione deve avere a disposizione tutti gli strumenti per intervenire, ivi compreso un finanziamento adeguato, anche per avere la possibilità di allungare, se necessario, la procedura ed estrarre così il massimo valore dalla banca in risoluzione. Negli Usa la risoluzione può durare vari anni, poiché la Fdic dispone di strumenti e finanziamenti adeguati. Purtroppo la discussione in corso, su questi e altri aspetti della riforma della zona euro, si prospetta difficile. Il modo migliore per favorire progressi è accelerare la riduzione dei rischi bancari.
La Bce spinge da tempo per una processo di concentrazione in un settore in cui ci sono troppe banche.
E’ un processo in corso in alcuni Paesi, soprattutto nel segmento delle banche minori. Anche qui, procedure di risoluzione efficienti sono essenziali. In assenza di esse, diviene irrinunciabile la ricerca di un partner, il che magari risolve il problema nell’immediato, ma rischia di appesantire le banche sane. Sarebbe invece auspicabile che esistessero procedure efficienti per farle uscire dal mercato, minimizzando i costi e le ricadute negative per l’economia.
Autore: Alessandro Merli
Fonte:
il sole 24 ore
vitor constâncio – cessioni – ignazio angeloni – crediti deteriorati – bce – npl
La Banca centrale europea invierà nelle prossime settimane una lettera alle banche dell’eurozona i cui piani di smaltimento dei crediti deteriorati (Npl) non verranno giudicati soddisfacenti, ma non ha deciso niente sui «vecchi» Npl, un problema che affligge soprattutto le banche italiane, e in ogni caso procederà in una prima fase caso per caso.
Per la prima volta, dopo le aspre polemiche suscitate in Italia dalle sue proposte per i nuovi Npl a partire del 2018 e i timori che lo stesso trattamento possa essere esteso alle consistenze, la Bce replica in modo articolato alle critiche e spiega come intende procedere. In un’intervista al Sole 24 Ore, Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza, nominato dalla Bce, uno degli artefici della vigilanza unica, sostiene che nella situazione del sistema bancario italiano «c’è stato un netto miglioramento negli ultimi mesi» e proprio per questo «è il momento di fare dei passi avanti». E respinge l’obiezione che la vigilanza europea sia andata al di là delle proprie competenze con l’Addendum sugli Npl. Afferma inoltre che la Bce sta dedicando «crescente attenzione ai modelli di rischio» per la valutazione dell’esposizione ai derivati, un problema soprattutto per le banche francesi e tedesche, che la vigilanza è stata accusata di trascurare.
Come vede l’evoluzione del sistema bancario italiano?
C’è stato un netto miglioramento negli ultimi mesi. Non tutte le banche procedono alla stessa velocità, ma la direzione intrapresa è quella giusta. I crediti deteriorati (Npl) si stanno riducendo in misura notevole, sia nell’area euro, sia in Italia, grazie anche all’azione della vigilanza e alla ripresa dell’economia. Ci sono state diverse operazioni di cessione di Npl, alcune di grandi dimensioni. Inoltre, si sta creando un mercato abbastanza competitivo per queste operazioni.
Lei rileva i progressi delle banche italiane. Tuttavia, ora che la situazione è finalmente migliorata, le nuove proposte che avete avanzato ai primi di ottobre – l’Addendum alle regole di marzo – rischiano di aggiungere un nuovo elemento di difficoltà.
E’ una chiave di lettura che non condivido. Innanzitutto devo ribadire che l’Addendum riguarda solo i crediti che diventeranno Npl nel futuro (dal 2018 in avanti), non le consistenze. Lo spirito della proposta è evitare che le banche, l’economia, i cittadini, si trovino a pagare i costi di nuovi accumuli di crediti deteriorati. Sembra ci si stia dimenticando troppo in fretta dei problemi che abbiamo avuto in questi anni a causa della mole di crediti deteriorati nei portafogli delle banche. E poi giova ricordare che i tempi del recupero degli Npl spesso si allungano perché le banche non sono sufficientemente attive fin dall’inizio nell’avviare procedure di recupero e nel valutarne realisticamente le potenzialità. L’indicazione di coprire in modo graduale in 2 anni i crediti non garantiti e in 7 quelli garantiti crea degli incentivi affinché le banche si attivino tempestivamente. Non escludo anche la possibilità che i Paesi più interessati si adoperino per introdurre o facilitare procedure giudiziali ed extra-giudiziali più efficaci e tempestive per la riscossione del credito e la liquidazione delle garanzie. Questa azione esula dalle nostre competenze, ma sarebbe un passo nella giusta direzione.
Da molte parti, e soprattutto dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, con una lettera che Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 10 ottobre scorso, si è obiettato che la vigilanza ha oltrepassato i limiti delle sue competenze e ha avanzato una proposta non in linea con le indicazioni del Parlamento stesso e dell’Ecofin.
Il regolamento del Meccanismo unico di vigilanza, all’articolo 16, prevede che uno degli strumenti a disposizione nell’ambito del secondo pilastro riguardi le politiche di accantonamento a titolo prudenziale. E lo stesso Ecofin, oltre a raccomandare misure legislative vincolanti, ha previsto che la vigilanza possa intervenire con strumenti prudenziali. Secondo la nostra proposta, le banche avranno inoltre la possibilità di spiegare perché ritengono necessario deviare dal calendario che abbiamo suggerito. Non si tratta quindi di requisiti obbligatori, ma si è invertito l’onere della prova. Le nostre proposte rientrano pertanto in pieno nelle nostre prerogative e sono in linea con le iniziative dell’Ecofin, come la presidente del Comitato di vigilanza, Danièle Nouy, ha peraltro ben chiarito in una lettera al Presidente Tajani.
Le polemiche provocate in Italia dall’Addendum sono dovute anche ai timori che quanto proposto per i nuovi Npl venga poi applicato anche alle consistenze, che per le banche italiane sono pesanti. La vostra comunicazione che nel primo trimestre 2018 affronterete il trattamento degli stock è apparso un indizio in questo senso e un’altra fonte di incertezza.
C’è una chiara distinzione fra flussi e consistenze. Sugli stock non abbiamo ancora deciso niente. Entro il primo trimestre faremo una valutazione, che si baserà sull’analisi, non ancora conclusa, dei piani individuali della riduzione degli stock presentati dalle singole banche. È possibile che alcuni di questi piani non siano soddisfacenti. Nelle prossime settimane invieremo lettere alle banche con le nostre valutazioni, e la questione sarà oggetto di dialogo con le banche stesse, caso per caso. Si vedrà solo alla fine di questo processo se, per avere un trattamento omogeneo, sia opportuno chiarire le nostre aspettative anche sullo smaltimento delle consistenze.
Ma non c’è il rischio di far cadere di nuovo le banche in un’emergenza?
Proprio perché questa fase è meno critica e le fragilità si alleviano, è il momento di fare dei passi avanti. C’è da aspettarsi che, nella fase di ripresa, si generino meno crediti deteriorati e che si creino le risorse per coprirli in modo appropriato. Più in generale, vorrei ricordare che l’azione della vigilanza europea in questi anni è stata volta non solo a ridurre gli Npl, ma anche a rafforzare la solidità patrimoniale delle banche. Lo abbiamo fatto per puntare ad avere banche sane, con bilanci puliti e trasparenti, in grado di finanziare imprese sane e promettenti.
Qualcuno in Italia ritiene che gli interessi italiani non siano difesi con sufficiente forza in Europa. Chi difende gli interessi italiani nella Bce?
E’ una questione che ho sentito sollevare recentemente con riguardo alla vigilanza, e mi sorprende il modo a volte errato con cui la viene affrontata. Nella Bce, tutti i componenti degli organi decisionali – il consiglio di vigilanza e il consiglio direttivo – sono tenuti per mandato a perseguire obiettivi e interessi europei. Quindi, se per ipotesi qualcuno difendesse interessi nazionali in quelle sedi, andrebbe contro la legge. Diversa questione è invece assicurare che gli interessi di tutti gli aderenti alla vigilanza unica (Paesi partecipanti, banche) siano tenuti in giusta considerazione, contrastando ogni rischio di parzialità. Questo è un dovere a cui siamo tutti tenuti. Il modo migliore per arrivare a quest’obiettivo è evitare posizioni nazionalistiche o antagonistiche di principio, che fanno perdere credibilità, e insistere invece su decisioni e regole trasparenti ed equilibrate per tutti. Condividere le regole lavorando dall’interno è il modo migliore per avere anche l’opportunità di cambiarle, quando serve.
Il vicepresidente della Bce, Vitor Constâncio, ha detto che, con l’entrata in vigore delle nuove regole contabili Ifrs9 da gennaio, ogni richiesta addizionale in base alle proposte dell’addendum sarà comunque limitata.
Le nuove regole contabili guardano con più rigore alla dinamica futura di erosione della qualità del credito, tenendo conto delle aspettative di deterioramento. Sono più stringenti e più compatibili con l’ottica prudenziale dell’Addendum. Ma una cosa sono i principi contabili, un’altra le richieste della vigilanza. Abbiamo chiesto alle banche di utilizzare al massimo lo spazio consentito dalle norme contabili, e di adottare misure ulteriori sul capitale se necessario. Quello che accadrà dipenderà dai casi specifici. Constâncio ha ribadito che lo spirito della proposta non è avanzare richieste irrealistiche e controproducenti. Ma egli stesso ha sottolineato, in un discorso tenuto a febbraio, che ridurre gli Npl è una priorità sotto il duplice profilo micro- e macro-prudenziale.
In Italia si lamenta che la stessa attenzione riservata agli Npl non viene invece dedicata ai problemi almeno altrettanto gravi nei bilanci di altri sistemi bancari, come i derivati.
Non ci stancheremo mai di ripetere che non guardiamo solo agli Npl. Dedichiamo molta attenzione ai rischi di mercato, fra cui le attività meno trasparenti, e monitoriamo da vicino l’esposizione alle attività cosiddette di livello 2 e 3. Va detto però che se una banca detiene un asset illiquido, o un derivato su di esso, si assume dei rischi che deve saper gestire, senza per questo dover considerare non-performing tali esposizioni. Mi sembra che anche su questo si faccia un po’ di confusione. Equiparare esposizioni non in bonis con altre attività finanziarie che presentano rischi più o meno elevati che vanno comunque gestiti non è corretto. Ci sono regole che consentono di rifarsi a modelli di valutazione del rischio per calcolare le coperture necessarie. Per questo stiamo dedicando crescente attenzione ai modelli di rischio, con il progetto Trim e con le connesse ispezioni. Bisogna ricordare inoltre che alcuni di questi strumenti servono a coprire rischi della clientela, e questo è un servizio che le banche forniscono all’economia.
L’attività della vigilanza è nel mirino anche per una carenza di trasparenza e comunicazione.
Credo che ci siano ancora progressi da fare su questo fronte. Il problema riguarda le prassi di vigilanza a livello globale, non in particolare quelle europee. Le autorità di vigilanza in tutti i Paesi hanno acquisito maggiore indipendenza negli ultimi anni, ed è naturale che questo comporti un grado più elevato di trasparenza e responsabilità democratica. Solo pochi anni fa, la vigilanza si svolgeva in assoluta segretezza, nel rapporto bilaterale esclusivo fra l’autorità e la banca. Oggi il mondo è cambiato; lo scrutinio pubblico è continuo. Per esempio, la vigilanza europea è tenuta a dar conto frequentemente al Parlamento europeo delle proprie attività e decisioni ed è sempre più impegnata a spiegarle al pubblico e al mercato. La trasparenza sarà una delle sfide centrali della vigilanza globale nei prossimi anni; l’unione bancaria europea, creazione recente con assetti regolamentari ancora in formazione, è in posizione favorevole per perseguire efficacemente questa direzione strategica.
Intanto, l’unione bancaria resta priva della sua terza componente, l’assicurazione comune dei depositi.
Trovo deludente l’ultima proposta della Commissione europea, che di fatto rinuncia all’ultima fase, quella dello schema di assicurazione unico. Lo schema rischia di nascere monco, incompleto: la co-assicurazione non è sufficiente. Ma non meno importante è la completezza e la solidità del meccanismo di risoluzione. Il consiglio di risoluzione deve avere a disposizione tutti gli strumenti per intervenire, ivi compreso un finanziamento adeguato, anche per avere la possibilità di allungare, se necessario, la procedura ed estrarre così il massimo valore dalla banca in risoluzione. Negli Usa la risoluzione può durare vari anni, poiché la Fdic dispone di strumenti e finanziamenti adeguati. Purtroppo la discussione in corso, su questi e altri aspetti della riforma della zona euro, si prospetta difficile. Il modo migliore per favorire progressi è accelerare la riduzione dei rischi bancari.
La Bce spinge da tempo per una processo di concentrazione in un settore in cui ci sono troppe banche.
E’ un processo in corso in alcuni Paesi, soprattutto nel segmento delle banche minori. Anche qui, procedure di risoluzione efficienti sono essenziali. In assenza di esse, diviene irrinunciabile la ricerca di un partner, il che magari risolve il problema nell’immediato, ma rischia di appesantire le banche sane. Sarebbe invece auspicabile che esistessero procedure efficienti per farle uscire dal mercato, minimizzando i costi e le ricadute negative per l’economia.
Autore: Alessandro Merli
Fonte:
il sole 24 ore
vitor constâncio – cessioni – ignazio angeloni – crediti deteriorati – bce – npl