Il livello dei crediti dubbi in Italia rimarrà elevato nei prossimi anni, anche in presenza delle annunciate cessioni di sofferenze, e sarà pari a circa 260 miliardi di euro nel 2018. E’ la previsione dell’agenzia di rating Standard & Poor’s contenuta nell’annuale outlook sul settore bancario presentato oggi a Milano. S&P fa riferimento ai cosiddetti npa (non performing asset), una categoria più ampia rispetto ai npl, le sofferenze, che include anche i crediti incagliati.
“Lo stock dei crediti dubbi si è stabilizzato a oltre 300 miliardi di euro”, ha sottolineato Mirko Sanna, director financial istitutions di S&P Global Ratings, “e se anche si facessero le cessioni da 50 miliardi annunciate in queste settimane, si arriverebbe a 260 miliardi, un importo che rappresenta il 15-16% dei prestiti, un livello comunque elevato che peserebbe nel caso di una nuova recessione. E’ positivo che ci sia una riduzione dei nuovi flussi, è un processo virtuoso, ma lo stock è alto e per smaltirlo ci vorrà del tempo”.
In ogni caso S&P giudica positivamente l’intervento del governo che ha predisposto un fondo di 20 miliardi di euro a sostegno degli istituti in difficoltà. “Il pacchetto approvato dall’esecutivo”, ha osservato Sanna, “è sufficiente per tamponare l’emergenza e per ridurre le pressioni sulle banche migliori. Servirà ad alleviare i problemi di alcune banche deboli, a rassicurare depositanti e obbligazionisti, non a risolvere tutte le criticità del settore, cicliche e strutturali tra cui lo stock di sofferenze e la bassa profittabilità”.
L’agenzia di rating ha comunque previsto un moderato aumento della redditività del sistema bancario nei prossimi due anni e una possibile diminuzione del 20-30% circa delle filiali degli istituti, una dinamica già vista in Spagna e in Portogallo. “In Spagna dall’inizio della crisi si è vista una riduzione del personale del 27% e delle filiali del 30%, un processo atteso anche in Italia, basti vedere il recente annuncio di Unicredit”.
Mentre un’eventuale bocciatura del merito di credito sovrano sull’Italia da parte dell’agenzia di rating canadese Dbrs, che si pronuncia domani, non avrebbe per Standard & Poor’s una necessaria ricaduta sulla valutazione dei singoli istituti di credito. Si tratta di due fenomeni “poco correlati a causa dell’utilizzo relativamente limitato di titoli di Stato come collaterale di fondi Bce da parte delle banche italiane. L’impatto sarebbe un aumento degli haircut sui titoli di Stato portati in Bce: ma bisogna considerare che le banche italiane utilizzano pochi titoli di Stato come collaterale, usano soprattutto altri tipi di titoli”, ha precisato Sanna. “L’impatto di un downgrade non sarebbe chiaramente positivo ma comunque limitato. Non ci dovrebbero quindi essere conseguenze sui nostri rating bancari”.
Il rating A (low) dell’Italia era stato ad agosto messo sotto osservazione dall’agenzia di rating Dbrs per un possibile downgrade. Nello stesso mese, secondo calcoli Reuters, l’impatto di un declassamento del rating italiano per le banche italiane risultava inferiore a 10 miliardi in termini di nuovo collaterale da portare in rifinanziamento. Solo pochi giorni fa l’agenzia ha confermato il rating BBB-/A-3 con outlook stabile sull’Italia anche se, con la fine del governo Renzi e la formazione del nuovo esecutivo, gli analisti dell’agenzia avevano paventato la possibilità di un rallentamento delle politiche economiche e dello sforzo riformista.
Autore: Barbara Pianese
Fonte:
Milano Finanza
s&p – crediti dubbi – banche
Il livello dei crediti dubbi in Italia rimarrà elevato nei prossimi anni, anche in presenza delle annunciate cessioni di sofferenze, e sarà pari a circa 260 miliardi di euro nel 2018. E’ la previsione dell’agenzia di rating Standard & Poor’s contenuta nell’annuale outlook sul settore bancario presentato oggi a Milano. S&P fa riferimento ai cosiddetti npa (non performing asset), una categoria più ampia rispetto ai npl, le sofferenze, che include anche i crediti incagliati.
“Lo stock dei crediti dubbi si è stabilizzato a oltre 300 miliardi di euro”, ha sottolineato Mirko Sanna, director financial istitutions di S&P Global Ratings, “e se anche si facessero le cessioni da 50 miliardi annunciate in queste settimane, si arriverebbe a 260 miliardi, un importo che rappresenta il 15-16% dei prestiti, un livello comunque elevato che peserebbe nel caso di una nuova recessione. E’ positivo che ci sia una riduzione dei nuovi flussi, è un processo virtuoso, ma lo stock è alto e per smaltirlo ci vorrà del tempo”.
In ogni caso S&P giudica positivamente l’intervento del governo che ha predisposto un fondo di 20 miliardi di euro a sostegno degli istituti in difficoltà. “Il pacchetto approvato dall’esecutivo”, ha osservato Sanna, “è sufficiente per tamponare l’emergenza e per ridurre le pressioni sulle banche migliori. Servirà ad alleviare i problemi di alcune banche deboli, a rassicurare depositanti e obbligazionisti, non a risolvere tutte le criticità del settore, cicliche e strutturali tra cui lo stock di sofferenze e la bassa profittabilità”.
L’agenzia di rating ha comunque previsto un moderato aumento della redditività del sistema bancario nei prossimi due anni e una possibile diminuzione del 20-30% circa delle filiali degli istituti, una dinamica già vista in Spagna e in Portogallo. “In Spagna dall’inizio della crisi si è vista una riduzione del personale del 27% e delle filiali del 30%, un processo atteso anche in Italia, basti vedere il recente annuncio di Unicredit”.
Mentre un’eventuale bocciatura del merito di credito sovrano sull’Italia da parte dell’agenzia di rating canadese Dbrs, che si pronuncia domani, non avrebbe per Standard & Poor’s una necessaria ricaduta sulla valutazione dei singoli istituti di credito. Si tratta di due fenomeni “poco correlati a causa dell’utilizzo relativamente limitato di titoli di Stato come collaterale di fondi Bce da parte delle banche italiane. L’impatto sarebbe un aumento degli haircut sui titoli di Stato portati in Bce: ma bisogna considerare che le banche italiane utilizzano pochi titoli di Stato come collaterale, usano soprattutto altri tipi di titoli”, ha precisato Sanna. “L’impatto di un downgrade non sarebbe chiaramente positivo ma comunque limitato. Non ci dovrebbero quindi essere conseguenze sui nostri rating bancari”.
Il rating A (low) dell’Italia era stato ad agosto messo sotto osservazione dall’agenzia di rating Dbrs per un possibile downgrade. Nello stesso mese, secondo calcoli Reuters, l’impatto di un declassamento del rating italiano per le banche italiane risultava inferiore a 10 miliardi in termini di nuovo collaterale da portare in rifinanziamento. Solo pochi giorni fa l’agenzia ha confermato il rating BBB-/A-3 con outlook stabile sull’Italia anche se, con la fine del governo Renzi e la formazione del nuovo esecutivo, gli analisti dell’agenzia avevano paventato la possibilità di un rallentamento delle politiche economiche e dello sforzo riformista.
Autore: Barbara Pianese
Fonte:
Milano Finanza
s&p – crediti dubbi – banche