Se i genitori vengono informati dalla società di recupero crediti dell’esistenza di un piccolo debito del figlio, non è configurabile alcuna violazione della privacy del debitore. Difatti, il reato di trattamento illecito di dati personali non è integrato, anche in caso di diffusione di notizie riservate, se la condotta illecita sia consistita in una irregolarità tale da non produrre un danno apprezzabile all’identità personale del soggetto ed alla sua privacy. Ciò si desume dalla sentenza 1912/2016 del Tribunale di Cagliari.
Il caso – Protagonista della vicenda è un’operatrice telefonica di una società di recupero crediti, imputata per il delitto di trattamento illecito di dati personali, di cui all’articolo 167 del Codice della privacy (D.lgs. 196/2003). In particolare, l’impiegata era accusata di aver comunicato telefonicamente alla madre del debitore, senza il consenso di quest’ultimo, l’esistenza del debito di circa 800 euro che il figlio aveva nei confronti di un istituto di credito, avvertendola che in assenza del pagamento ci sarebbe stata una segnalazione alla Banca d’Italia. Il debitore, in qualità di persona offesa, aveva poi in giudizio attaccato i metodi sin troppo aggressivi degli operatori della società di recupero crediti, spiegando che la telefonata non autorizzata presso l’abitazione dei genitori lo avrebbe fatto passare per truffatore agli occhi dei genitori, destabilizzando ancor di più il già difficile rapporto tra familiari.
La decisione – Il Tribunale non ritiene però che il reato sia stato commesso. La norma di cui all’articolo 167 del Codice della privacy, infatti, sanziona solo le violazioni che determinano un danno direttamente ed immediatamente collegabile nei confronti del soggetto cui i dati raccolti sono riferiti. E non anche le semplici violazioni formali o irregolarità procedimentali, ovvero quelle inosservanze che producono un «vulnus minimo all’identità personale del soggetto ed alla sua privacy». E nel caso di specie, anche se la telefonata può aver causato una reazione negativa della madre nei confronti del figlio, «la vicenda precisa il giudice – non è tale da potersi dire abbia determinalo alcun un danno patrimoniale e può, comunque, ricondursi in quel vulnus minimo della identità personale del soggetto privo di rilevanza penale».
Fonte:
Il quotidiano del diritto
debitore – debito – società di recupero – privacy
Se i genitori vengono informati dalla società di recupero crediti dell’esistenza di un piccolo debito del figlio, non è configurabile alcuna violazione della privacy del debitore. Difatti, il reato di trattamento illecito di dati personali non è integrato, anche in caso di diffusione di notizie riservate, se la condotta illecita sia consistita in una irregolarità tale da non produrre un danno apprezzabile all’identità personale del soggetto ed alla sua privacy. Ciò si desume dalla sentenza 1912/2016 del Tribunale di Cagliari.
Il caso – Protagonista della vicenda è un’operatrice telefonica di una società di recupero crediti, imputata per il delitto di trattamento illecito di dati personali, di cui all’articolo 167 del Codice della privacy (D.lgs. 196/2003). In particolare, l’impiegata era accusata di aver comunicato telefonicamente alla madre del debitore, senza il consenso di quest’ultimo, l’esistenza del debito di circa 800 euro che il figlio aveva nei confronti di un istituto di credito, avvertendola che in assenza del pagamento ci sarebbe stata una segnalazione alla Banca d’Italia. Il debitore, in qualità di persona offesa, aveva poi in giudizio attaccato i metodi sin troppo aggressivi degli operatori della società di recupero crediti, spiegando che la telefonata non autorizzata presso l’abitazione dei genitori lo avrebbe fatto passare per truffatore agli occhi dei genitori, destabilizzando ancor di più il già difficile rapporto tra familiari.
La decisione – Il Tribunale non ritiene però che il reato sia stato commesso. La norma di cui all’articolo 167 del Codice della privacy, infatti, sanziona solo le violazioni che determinano un danno direttamente ed immediatamente collegabile nei confronti del soggetto cui i dati raccolti sono riferiti. E non anche le semplici violazioni formali o irregolarità procedimentali, ovvero quelle inosservanze che producono un «vulnus minimo all’identità personale del soggetto ed alla sua privacy». E nel caso di specie, anche se la telefonata può aver causato una reazione negativa della madre nei confronti del figlio, «la vicenda precisa il giudice – non è tale da potersi dire abbia determinalo alcun un danno patrimoniale e può, comunque, ricondursi in quel vulnus minimo della identità personale del soggetto privo di rilevanza penale».
Fonte:
Il quotidiano del diritto
debitore – debito – società di recupero – privacy