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Good banks, spunta l’asse tra fondo Atlante e Apollo

Vista la centralità del capitolo Npl, il fondo Atlante è al lavoro anche sul dossier Good Banks. Dove potrebbe intervenire in tandem con Ubi, come noto, ma pure con il fondo Apollo. Questo, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, è uno degli scenari a cui si sta lavorando intorno agli istituti presieduti da Roberto Nicastro, tuttora in cerca di un compratore.

Inedita e interessante la coppia Apollo-Atlante. Per certi aspetti quasi il diavolo e l’acqua santa, considerato il tipo di accoglienza che il fondo aveva ricevuto nella primavera scorsa quando si era fatto avanti su Carige (per rilevarne le sofferenze e poi l’equity) e la logica con cui, poco dopo, era stato costituito Atlante, destinato a intervenire sugli asset bancari a prezzi e condizioni meno brutali. Ora, però, di tempo ne è passato parecchio e – soprattutto – il processo che vede coinvolte le quattro banche nate dai salvataggi di novembre 2015 rappresenta un caso eccezionale; e, di fatto, a rischio di una pericolosa impasse.

Di qui, appunto, i contatti tra la società di gestione Quaestio di Alessandro Penati, l’Autorità di risoluzione e i potenziali acquirenti.

Con la Bce, però, la strada resta tutta in salita, vista l’alzata di sopracciglio del regolatore su alcune condizioni poteste dall’istituto guidato da Massiah su badwill, modelli interni e crediti fiscali. Si rischia il nulla di fatto (e dunque la risoluzione), di qui l’avvio dei colloqui con Apollo, che già in estate si era fatto avanti con un’offerta ai tempi considerata irricevibile. Un’ipotesi di lavoro – ci cui si sarebbe parlato anche in alcuni incontri istituzionali – potrebbe prevedere un intervento coordinato e in coppia da parte dei due soggetti. Secondo lo schema, i 4,4 miliardi di euro di crediti non performing di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti verrebbero cartolarizzati e smobilizzati grazie a un intervento di Atlante, che potrebbe acquistare la tranche più rischiosa (equity) dei crediti, mentre la parte senior, godendo della garanzia statale Gacs, finirebbe sul mercato. L’aspetto interessante è che Atlante potrebbe acquistare i crediti al valore di libro, riducendo così gli impatti delle minusvalenze sul capitale delle 4 banche, e sul loro prezzo di cessione.

E qua si inserirebbe l’eventuale ingresso di Apollo, che entrerebbe invece sul capitale delle quattro banche. Difficile che le banche possano essere acquistate a un valore superiore a quello fino ad oggi prospettato, più probabile invece che l’operazione si concluda per un valore «simbolico». Il progetto, tuttavia, è subordinato al verificarsi di una serie di condizioni, peraltro non banali. La prima delle quali è rappresentata da una nuova iniezione di capitale in Atlante 2. Chi conosce il dossier parla di una necessità teorica per Atlante di circa 3-400 milioni di euro, che però, grazie all’effetto leva, basterebbero a smobilizzare gli oltre 4 miliardi di Npl. Il guaio è che il settore del credito, dalle banche alle assicurazioni, ha già sborsato molto per la messa in sicurezza degli istituti in crisi. Solo per Atlante, il sistema ha già messo sul tavolo oltre 6 miliardi.

È insomma tutt’altro che scontato che le banche “sane” vogliano iniettare nuova liquidità. Così come non è automatico che un operatore come Apollo trovi le porte spalancate nel suo intervento. Ecco perchè quello dell’asse Atlante-Apollo è una delle possibili soluzioni a cui si sta guardando per trovare una sistemazione definitiva al dossier good banks. Sullo sfondo rimane sempre valido lo scenario di un possibile spezzatino. In questo quadro, non è da escludere che in prospettiva vengano richiamate a ragionare sul tema le banche che fino ad oggi sono state coinvolte, da Ubi alla stessa Bper, il cui interesse sul tema nel corso delle ultime settimane si è parecchio raffreddato.Certo è che il comparto sta facendo di tutto per ridurre al minimo gli impatti sui conti economici derivanti dalle cessioni. Come noto, quanto incassato dalla cessione dei quattro istituti servirà, infatti, all’Autorità di risoluzione per rimborsare il prestito da 1,6 miliardi di euro ancora in essere con Intesa, UniCredit e Ubi, somma su cui esiste la garanzia da parte della Cassa depositi e prestiti. E proprio la Cdp, come ha affermato ieri il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, rispondendo a un’interrogazione in commissione Finanze della Camera, conta sui proventi derivanti dalle vendite delle good bank, degli Npl e sui contributi annuali addizionali richiesti al sistema bancario per evitare di contabilizzare perdite. «Sulla base delle valutazioni effettuate – ha detto Casero – la società Cassa depositi e prestiti ritiene che l’operazione non dovrebbe determinare perdite sul proprio bilancio».


Autore: Luca Davi, Marco Ferrando
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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