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«Le banche italiane sono meno rischiose della media Ue»

Nonostante l’elevata consistenza dei crediti deteriorati e l’ancor bassa profittabilità, il complesso delle banche italiane dimostra un livello di rischiosità, misurato con l’indicatore della leva finanziaria che entrerà in vigore nel 2018, inferiore alla media europea. Lo ha affermato il capo della Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, intervenendo ieri a un Forum organizzato da Fisac Cgil.
A giugno di quest’anno il CET1 ratio del sistema era pari al 12,1%, ha ricordato Barbagallo, secondo il quale dal 2007 ad oggi il ricorso al mercato è stato «ragguardevole, con quasi 50 miliardi di risorse finanziarie fresche». Anche se il grado di patrimonializzazione delle banche italiane resta più basso nel confronto internazionale, i nostri istituti si caratterizzano «per un migliore rapporto di leva finanziaria: alla fine dell’anno scorso il leverage ratio calcolato come rapporto tra patrimonio e attività non ponderate delle maggiori banche italiane era pari al 5,4%, a fronte di una media del 5,1% per il complesso dei grandi gruppi europei». In pratica, nonostante il modello di business di tipo tradizionale, l’azione di diversificazione dei ricavi messo in campo negli ultimi anni ha portato a un’incidenza del margine di interesse inferiore, appunto, a quello della media Ue. E ciò ha reso il conto economico della banche italiane «relativamente meno esposto agli effetti dei bassi tassi di interesse» ha spiegato il capo della vigilanza, aggiungendo che anche i rischi operativi e di condotta delle nostre banche sono «meno significativi della media».
In questo contesto restano i punti deboli della della redditività, appunto, e dei crediti deteriorati. Nel primo semestre dell’anno il Roe dei cinque maggiori gruppi si è quasi dimezzato (3,7%) rispetto al medesimo periodo del 2015 (6,3%). E alla flessione del margine di interesse si è accompagnata anche quella dei ricavi da commissioni. È un trend comune all’intero sistema bancario europeo, enfatizzato nel caso italiano da una crescita economica più debole che si traduce in un flusso «ancora comparativamente elevato delle rettifiche sui crediti, ritardi nell’adeguamento strutturale delle banche italiane, con una rete di sportelli ancora troppo ampia e un eccesso di capacità produttiva in relazione a un’economia che si è contratta significativamente rispetto a un decennio fa (di quasi un decimo in termini di Pil e un quarto in termini di produzione industriale)».
Per uscire da questi equlibri al ribasso occorre «ripensare al modo di fare banca»?ha osservato Barbagallo: occorrono nuovi investimenti in tecnologia e capitale umano, bisogna diversificare ulteriormente le fonti di reddito e contenere i costi, anche con un ripensamento della presenza sul territorio. Non possono naturalmente essere esclusi interventi sul personale – ha poi aggiunto il dirigente di via Nazionale – non con semplici interventi di taglio degli organici ma ricorrendo a un attento utilizzo di tutti gli strumento condivisi anche dal fronte sindacale:?dai prepensionamenti al part-time, al ricorso al fondo di solidarietà.
Passando al delicato capitolo dei crediti deteriorati, Barbagallo ha confermato il rallentamento della loro crescita:?nel secondo trimestre il flusso dei nuovi crediti deteriorati per l’intero sistema bancario è sceso al 3% del totale dei prestiti, ovvero sui valori più bassi dal 2008. E nello steso periodo l’incidenza dello stock dei crediti deteriorati nei bilanci dei cinque maggiori gruppi bancari s’è ridotta dal 17,9 al 17,4% (dal 10,4 al 10,1% al netto delle rettifiche), mentre il rapporto di copertura (cioè il rapporto tra lo stock di rettifiche e la consistenza dei crediti deteriorati) è aumentato al 46,8% «un valore in linea con quello osservato in media per i maggiori gruppi europei».
Ad aiutare il recuro dei crediti e lo smaltimento degli Npl contribuiranno i numerosi strumenti normativi introdotti negli ultimi due anni e che spaziano dalle nuove procedure fallimentari alla possibilità per le banche di richiedere l’assegnazione stragiudiziale della garanzie. Anche i fondi privati Atlante e Atlante 2 contribuiranno allo sviluppo del mercato degli attivi deteriorati – è stato infine ricordato – con investimenti nelle tranche più rischiose delle cartolarizzazioni di sofferenze. «Pur con risorse iniziali relativamente contenute – ha concluso Barbagallo – questi fondi posson dimostrare che è possibile conseguire rendimenti soddisfacenti acquistando sofferenze a prezzi più elevati di quelli oggi offerti dagli investitori specializzati».
Una notizia non positiva sul fronte dei crediti deteriorati arriva però dall’Abi: nel rapporto mensile l’Associazione rileva che le sofferenze nette iscritte a bilancio dalle banche italiane sono salite a 84,9 miliardi in luglio dagli 83,7 di giugno. Il rapporto sofferenze nette/impieghi totali è quindi salito al 4,76% dal 4,66% di giugno e dal 4,68% di luglio 2015. Torna intanto a scendere la raccolta delle banche italiane in agosto: l’aggregato è infatti calato dello 0,22% annuo contro il +0,12% di luglio (-2% la variazione annua di agosto 2015), quando era salita per la prima volta dopo otto mesi negativi.


Autore: Davide Colombo
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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