Ripercorrere il customer journey, il percorso cognitivo nella scelta di un prodotto. Automatizzare processi di marketing. Fornire consulenze via smartphone e dare un tono «più umano» alle comunicazioni societarie. Fino a qualche anno fa, in pochi avrebbero capito che non si sta parlando di carriere nell’hi tech. Ma in un settore un po’ più tradizionale: le banche. La digitalizzazione sta trasformando il mondo delle finanza, e il mondo della finanza si adegua con l’aggiornamento dei vecchi profili o la creazione di figure professionale inedite (o quasi) per il sistema creditizio: data scientist, sviluppatori di app per servizi di pagamenti mobile, operatori di contact center capaci di destreggiarsi con chat ed email in sostituzione dei vecchi telefoni.
La base non possono che essere competenze nel settore, ma il curriculum si arricchisce di skills ad alto tasso tecnologico per muoversi tra piattaforme e transazioni online. Qualche numero? Secondo dati forniti dall’Abi, l’associazione bancaria italiana, l’82% degli istituti nazionali ha incrementato o mantenuto quest’anno il proprio budget per gli investimenti Ict. Anche per formare risorse già abituate al «nuovo modo di fare banca».
Dal fast prototyper allo specialista di contenuti
Quali sono le figure che potrebbero registrare la domanda maggiore? Il Cuoa, business school di Altavilla Vicentina (Vicenza), indica almeno sei profili che rispondono al nuovo modello di un lavoro bancario dominato da digitale e multicanalità. Nell’ordine: il fast prototyper, specializzato nella prototipazione dei progetti per ridurre i rischi di fallimento e i costi di sviluppo; i lead specialist e i Crm specialist, impegnati rispettivamente – in individuazione e organizzazione di un portafoglio qualificato di clienti; i professionisti in marketing&distribution automation, reclutati per automatizzare i processi di marketing e renderli fruibili a un bacino sempre più ampio di utenti. Su un altro versante, spazio a customer journey specialist per rintracciare la provenienza dei contatti e content specialist capaci di adattare il linguaggio comunicativo a seconda del target.
Federico Visentin, presidente del Cuoa, ipotizza soprattutto due leve per la creazione di nuove figure professionali. La prima si richiama alle radici del lavoro di consulenza: il rapporto diretto con i clienti. Anche nell’era del digitale e delle transazioni via smartphone, la relazione vis a vi con un esperto è un fattore che può fare la differenza. «Il cliente è sempre più digital-addicted, ma non sempre: se si tratta dei suoi risparmi, è attento soprattutto alla relazione dice Visentin al Sole 24 Ore – Quindi la banca dovrà integrare con efficacia l’esperienza online con quella offline, specie nel rapporto con il consulente». La seconda leva è calata nel presente: l’analisi dei Big Data, l’enorme flusso di informazioni digitale che può fare da bacino per cercare, profilare e attrarre nuovi clienti. Come in una attività porta a porta dove la raccolta diretta di informazioni è sostituita (e semplificata) dall’analisi dei dati. «Diventa fondamentale governare (saper leggere, interpretare, raccogliere e razionalizzare) la vera ricchezza che internet produce: i dati aggiunge Visentin – I dati sono leve strategiche di business, e in particolare lo sono i big data, soprattutto con gli obiettivi di identificare nuove fonti di reddito e fidelizzare la clientela».
Il caso dei contact center: quando il digitale fa da leva per l’occupazione
A proposito del «rapporto umano», suggerito da Visentin come ponte tra le vecchie e le nuove professionalità bancarie. L’ultima analisi dell’Osservatorio sui Contact Center Bancari, condotto da Abi Lab e dall’Ufficio Analisi Gestionali dell’associazione, rileva un boom dell’occupazione tra i consulenti con la cuffia italiana: il totale di professionisti reclutati nel settore è salito del 14,8% tra 2013-2015 e del 61% dal 2008 ad oggi. Un esercito di 3.600 risorse (500 quelle inserite solo l’anno scorso) che ha gestito 69 milioni di contatti telefonici in un anno, divisi tra 58 milioni di chiamate in ingresso e 11 milioni di contatti proattivi. Ma l’exploit più notevole è quello di un mezzo meno tradizionale, le chat: i contatti digitali sono aumentati del 66% tra 2014 e 2015, a margine della crescita più modesta di quelli via email (+10%). E si sta facendo largo, un po’ più a rilento, la presenza sui social network: sono utilizzati dall’86% delle banche che dispongono di un contact center, (il 43% è su Facebook, il 33% su Twitter), anche se solo il 6,8% degli operatori è abilitato a dialogare sul web.
Autore: Alberto Magnani
Fonte:
Il Sole 24 Ore
professioni – banche – fintech
Ripercorrere il customer journey, il percorso cognitivo nella scelta di un prodotto. Automatizzare processi di marketing. Fornire consulenze via smartphone e dare un tono «più umano» alle comunicazioni societarie. Fino a qualche anno fa, in pochi avrebbero capito che non si sta parlando di carriere nell’hi tech. Ma in un settore un po’ più tradizionale: le banche. La digitalizzazione sta trasformando il mondo delle finanza, e il mondo della finanza si adegua con l’aggiornamento dei vecchi profili o la creazione di figure professionale inedite (o quasi) per il sistema creditizio: data scientist, sviluppatori di app per servizi di pagamenti mobile, operatori di contact center capaci di destreggiarsi con chat ed email in sostituzione dei vecchi telefoni.
La base non possono che essere competenze nel settore, ma il curriculum si arricchisce di skills ad alto tasso tecnologico per muoversi tra piattaforme e transazioni online. Qualche numero? Secondo dati forniti dall’Abi, l’associazione bancaria italiana, l’82% degli istituti nazionali ha incrementato o mantenuto quest’anno il proprio budget per gli investimenti Ict. Anche per formare risorse già abituate al «nuovo modo di fare banca».
Dal fast prototyper allo specialista di contenuti
Quali sono le figure che potrebbero registrare la domanda maggiore? Il Cuoa, business school di Altavilla Vicentina (Vicenza), indica almeno sei profili che rispondono al nuovo modello di un lavoro bancario dominato da digitale e multicanalità. Nell’ordine: il fast prototyper, specializzato nella prototipazione dei progetti per ridurre i rischi di fallimento e i costi di sviluppo; i lead specialist e i Crm specialist, impegnati rispettivamente – in individuazione e organizzazione di un portafoglio qualificato di clienti; i professionisti in marketing&distribution automation, reclutati per automatizzare i processi di marketing e renderli fruibili a un bacino sempre più ampio di utenti. Su un altro versante, spazio a customer journey specialist per rintracciare la provenienza dei contatti e content specialist capaci di adattare il linguaggio comunicativo a seconda del target.
Federico Visentin, presidente del Cuoa, ipotizza soprattutto due leve per la creazione di nuove figure professionali. La prima si richiama alle radici del lavoro di consulenza: il rapporto diretto con i clienti. Anche nell’era del digitale e delle transazioni via smartphone, la relazione vis a vi con un esperto è un fattore che può fare la differenza. «Il cliente è sempre più digital-addicted, ma non sempre: se si tratta dei suoi risparmi, è attento soprattutto alla relazione dice Visentin al Sole 24 Ore – Quindi la banca dovrà integrare con efficacia l’esperienza online con quella offline, specie nel rapporto con il consulente». La seconda leva è calata nel presente: l’analisi dei Big Data, l’enorme flusso di informazioni digitale che può fare da bacino per cercare, profilare e attrarre nuovi clienti. Come in una attività porta a porta dove la raccolta diretta di informazioni è sostituita (e semplificata) dall’analisi dei dati. «Diventa fondamentale governare (saper leggere, interpretare, raccogliere e razionalizzare) la vera ricchezza che internet produce: i dati aggiunge Visentin – I dati sono leve strategiche di business, e in particolare lo sono i big data, soprattutto con gli obiettivi di identificare nuove fonti di reddito e fidelizzare la clientela».
Il caso dei contact center: quando il digitale fa da leva per l’occupazione
A proposito del «rapporto umano», suggerito da Visentin come ponte tra le vecchie e le nuove professionalità bancarie. L’ultima analisi dell’Osservatorio sui Contact Center Bancari, condotto da Abi Lab e dall’Ufficio Analisi Gestionali dell’associazione, rileva un boom dell’occupazione tra i consulenti con la cuffia italiana: il totale di professionisti reclutati nel settore è salito del 14,8% tra 2013-2015 e del 61% dal 2008 ad oggi. Un esercito di 3.600 risorse (500 quelle inserite solo l’anno scorso) che ha gestito 69 milioni di contatti telefonici in un anno, divisi tra 58 milioni di chiamate in ingresso e 11 milioni di contatti proattivi. Ma l’exploit più notevole è quello di un mezzo meno tradizionale, le chat: i contatti digitali sono aumentati del 66% tra 2014 e 2015, a margine della crescita più modesta di quelli via email (+10%). E si sta facendo largo, un po’ più a rilento, la presenza sui social network: sono utilizzati dall’86% delle banche che dispongono di un contact center, (il 43% è su Facebook, il 33% su Twitter), anche se solo il 6,8% degli operatori è abilitato a dialogare sul web.
Autore: Alberto Magnani
Fonte:
Il Sole 24 Ore
professioni – banche – fintech