La Banca d’Italia conferma i timori di un rallentamento della crescita dell’Italia dopo l’esito del voto sulla Brexit del 23 giugno scorso. Secondo quanto ha riportato l’istituto nel suo bollettino economico, infatti, nonostante i reali effetti del referendum britannico non possano essere ancora quantificati, questo potrebbe portare le stime di espansione del Pil poco sotto l’1% per quest’anno e intorno al punto percentuale nel il 2017.
L’impatto della Brexit sul quadro macroeconomico permane ancora difficile da valutare, ma “sono aumentati notevolmente i rischi”, ha proseguito la banca centrale che ha sottolineato come tali effetti “dipendano dal verificarsi di conseguenze ancora ampiamente ipotetiche”. “Le ricadute sulle proiezioni dei movimenti nei mercati finanziari, valutari e delle materie prime osservati dopo il referendum britannico sono minime”, ha precisato Via Nazionale, spiegando che “conseguenze più significative sull’attività economica potrebbero materializzarsi nei prossimi mesi in caso di un forte calo dell’attività nel Regno Unito, che potrebbe trasmettersi al nostro Paese attraverso l’interscambio commerciale o una revisione dei piani di investimento delle imprese attive sul mercato britannico. Tali canali potrebbero implicare un effetto non trascurabile ma limitato sul prodotto”.
In tale contesto, il bollettino ha ribadito come i rischi sulla ripresa economica potrebbero aumentare in modo rapido e considerevole, con effetti rilevanti sull’economia europea e su quella italiana, se si diffondessero tensioni sui mercati finanziari non contrastate da un utilizzo deciso degli strumenti di politica economica disponibili o se emergessero difficoltà del sistema bancario e non si reagisse tempestivamente per tutelare la stabilità finanziaria.
Il timore principale è riferito a un calo nella fiducia delle imprese e delle famiglie, ottimismo fondamentale per il rispetto delle previsioni, diramate lo scorso 6 giugno, secondo le quali l’economia italiana, nel triennio 2016-18, avrebbe visto un aumento del Pil, che al momento si prevede in rallentamento nel secondo trimestre dell’anno, trainato dalla domanda interna e una risalita molto graduale del tasso di inflazione, livello dei prezzi che si sta mantenendo in negativo dallo scorso febbraio. Nel frattempo, la produzione industriale di giugno dovrebbe rivelarsi stagnante, anche se le imprese, ante Brexit, avevano segnalato la volontà di aumentare la spesa per investimenti, a seguito anche del miglioramento delle condizioni di accesso al credito e dagli incentivi fiscali approvati lo scorso dicembre.
Un buon deterrente al verificarsi di dinamiche recessive può essere “una decisa risposta delle politiche monetarie, macroprudenziali e di bilancio e dal successo delle autorità europee nel dissolvere i timori sulla coesione dell’Unione”. Per ora, a dirsi pronta ad agire per garantire la stabilità finanziaria è stata la Banca centrale europea, le cui misure sono attese rilasciare i loro effetti sulla crescita e sulla stabilità dei prezzi. Un ulteriore contributo potrà, inoltre, derivare dall’impatto sull’offerta di credito delle nuove operazioni mirate di rifinanziamento avviate lo scorso giugno, alle quali le banche italiane hanno finora partecipato per circa 139 miliardi (29 al netto dei rimborsi dei fondi ottenuti nella prima serie di operazioni mirate).
Il ricorso alla nuova liquidità fornita dalla Bce potrebbe avere una conseguenza diretta: con le nuove aste gli istituti italiani hanno potuto sostituire parte delle obbligazioni in scadenza tra metà 2016 e fine 2017, ipotesi che lascia spazio a una stima su una riduzione del costo medio della provvista bancaria di circa 20 punti base allo 0,3% per le banche. I risparmi così ottenuti, ha proseguito Bankitalia, “si potrebbero riflettere in una diminuzione di circa 20 punti base dei tassi di interesse applicati dalle banche ai nuovi prestiti al settore privato”.
A catalizzare l’attenzione, rimane tuttavia la situazione del comparto creditizio dello Stivale, con l’Italia che sta valutando la possibilità per lo Stato di intervenire nel settore con ricapitalizzazioni, “temporaneamente e a scopo precauzionale”, o attraverso una garazia dello Stato a passività bancarie di nuova emissione, garanzia remunerata a condizioni di mercato e nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato. La legislazione euopea, infatti, permette esplicitamente l’iniezione di capitale pubblico con riferimento ai risultati delle prove di stress, quando questa risponde all’obiettivo di “evitare gravi perturbazioni dell’economia e di preservare la stabilità finanziaria”.
“Il calo dei corsi azionari delle banche”, ha continuato il bollettino, “è stato accentuato dall’elevato livello di crediti deteriorati e dal timore che le attuali condizioni dei mercati possano rendere più difficile la cessione di queste esposizioni o la raccolta di capitale”. La situazione, ad ogni modo, appare in miglioramento, con il livello dei Npl (Non performing loans) che rimane elevato a fronte dello stock accumulato ereditato dalla recessione, ma con un flusso di nuovi crediti sul totale dei finanziamenti che, nel primo trimestre, si è attestato al 2,9%, il livello più basso dall’inizio della crisi. Inoltre, per i gruppi bancari, la quota di crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti si è dimostrata in contrazione rispetto al trimestre precedente, questo sia al lordo, sia al netto delle rettifiche.
La flessione, ha spiegato l’istituto di Via Nazionale, “ha riguardato sia le imprese (dal 4,9% nel trimestre precedente al 4,4%) sia le famiglie (dal 2,4% all’1,9%). Hanno cominciato a ridursi anche le consistenze: per i gruppi bancari la quota di crediti deteriorati lordi sul totale dei finanziamenti si è lievemente contratta nel confronto con il trimestre precedente (dal 18% al 17,8%), così come la loro quota al netto delle rettifiche (dal 10,7% al 10,5%)”. In tutto ciò, cresce a tassi moderati il credito al settore privato non finanziario, tassi più sostenuti nei comparti dove la ripresa dell’attività economica si è avviata più stabilmente: “i prestiti al complesso delle imprese ristagnano, ma sono in deciso aumento quelli alle società manifatturiere”, ha specificato la Banca d’Italia.
In un quadro generale, il bollettino economico ha evidenziato un aumento del numero degli occupati unito a un calo nel numero dei giovani disoccupati: “nonostante un rallentamento rispetto all’anno precedente, quando erano applicati in misura piena gli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni, la tendenza all’aumento del numero di occupati è continuata nel primo trimestre dell’anno, con il tasso di disoccupazione complessivo che è rimasto stabile per effetto della maggiore partecipazione al mercato del lavoro”.
Autore: Elena Filippi
Fonte:
Milano Finanza
congiuntura economica – famiglie – imprese – crescita – brexit – bankitalia
La Banca d’Italia conferma i timori di un rallentamento della crescita dell’Italia dopo l’esito del voto sulla Brexit del 23 giugno scorso. Secondo quanto ha riportato l’istituto nel suo bollettino economico, infatti, nonostante i reali effetti del referendum britannico non possano essere ancora quantificati, questo potrebbe portare le stime di espansione del Pil poco sotto l’1% per quest’anno e intorno al punto percentuale nel il 2017.
L’impatto della Brexit sul quadro macroeconomico permane ancora difficile da valutare, ma “sono aumentati notevolmente i rischi”, ha proseguito la banca centrale che ha sottolineato come tali effetti “dipendano dal verificarsi di conseguenze ancora ampiamente ipotetiche”. “Le ricadute sulle proiezioni dei movimenti nei mercati finanziari, valutari e delle materie prime osservati dopo il referendum britannico sono minime”, ha precisato Via Nazionale, spiegando che “conseguenze più significative sull’attività economica potrebbero materializzarsi nei prossimi mesi in caso di un forte calo dell’attività nel Regno Unito, che potrebbe trasmettersi al nostro Paese attraverso l’interscambio commerciale o una revisione dei piani di investimento delle imprese attive sul mercato britannico. Tali canali potrebbero implicare un effetto non trascurabile ma limitato sul prodotto”.
In tale contesto, il bollettino ha ribadito come i rischi sulla ripresa economica potrebbero aumentare in modo rapido e considerevole, con effetti rilevanti sull’economia europea e su quella italiana, se si diffondessero tensioni sui mercati finanziari non contrastate da un utilizzo deciso degli strumenti di politica economica disponibili o se emergessero difficoltà del sistema bancario e non si reagisse tempestivamente per tutelare la stabilità finanziaria.
Il timore principale è riferito a un calo nella fiducia delle imprese e delle famiglie, ottimismo fondamentale per il rispetto delle previsioni, diramate lo scorso 6 giugno, secondo le quali l’economia italiana, nel triennio 2016-18, avrebbe visto un aumento del Pil, che al momento si prevede in rallentamento nel secondo trimestre dell’anno, trainato dalla domanda interna e una risalita molto graduale del tasso di inflazione, livello dei prezzi che si sta mantenendo in negativo dallo scorso febbraio. Nel frattempo, la produzione industriale di giugno dovrebbe rivelarsi stagnante, anche se le imprese, ante Brexit, avevano segnalato la volontà di aumentare la spesa per investimenti, a seguito anche del miglioramento delle condizioni di accesso al credito e dagli incentivi fiscali approvati lo scorso dicembre.
Un buon deterrente al verificarsi di dinamiche recessive può essere “una decisa risposta delle politiche monetarie, macroprudenziali e di bilancio e dal successo delle autorità europee nel dissolvere i timori sulla coesione dell’Unione”. Per ora, a dirsi pronta ad agire per garantire la stabilità finanziaria è stata la Banca centrale europea, le cui misure sono attese rilasciare i loro effetti sulla crescita e sulla stabilità dei prezzi. Un ulteriore contributo potrà, inoltre, derivare dall’impatto sull’offerta di credito delle nuove operazioni mirate di rifinanziamento avviate lo scorso giugno, alle quali le banche italiane hanno finora partecipato per circa 139 miliardi (29 al netto dei rimborsi dei fondi ottenuti nella prima serie di operazioni mirate).
Il ricorso alla nuova liquidità fornita dalla Bce potrebbe avere una conseguenza diretta: con le nuove aste gli istituti italiani hanno potuto sostituire parte delle obbligazioni in scadenza tra metà 2016 e fine 2017, ipotesi che lascia spazio a una stima su una riduzione del costo medio della provvista bancaria di circa 20 punti base allo 0,3% per le banche. I risparmi così ottenuti, ha proseguito Bankitalia, “si potrebbero riflettere in una diminuzione di circa 20 punti base dei tassi di interesse applicati dalle banche ai nuovi prestiti al settore privato”.
A catalizzare l’attenzione, rimane tuttavia la situazione del comparto creditizio dello Stivale, con l’Italia che sta valutando la possibilità per lo Stato di intervenire nel settore con ricapitalizzazioni, “temporaneamente e a scopo precauzionale”, o attraverso una garazia dello Stato a passività bancarie di nuova emissione, garanzia remunerata a condizioni di mercato e nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato. La legislazione euopea, infatti, permette esplicitamente l’iniezione di capitale pubblico con riferimento ai risultati delle prove di stress, quando questa risponde all’obiettivo di “evitare gravi perturbazioni dell’economia e di preservare la stabilità finanziaria”.
“Il calo dei corsi azionari delle banche”, ha continuato il bollettino, “è stato accentuato dall’elevato livello di crediti deteriorati e dal timore che le attuali condizioni dei mercati possano rendere più difficile la cessione di queste esposizioni o la raccolta di capitale”. La situazione, ad ogni modo, appare in miglioramento, con il livello dei Npl (Non performing loans) che rimane elevato a fronte dello stock accumulato ereditato dalla recessione, ma con un flusso di nuovi crediti sul totale dei finanziamenti che, nel primo trimestre, si è attestato al 2,9%, il livello più basso dall’inizio della crisi. Inoltre, per i gruppi bancari, la quota di crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti si è dimostrata in contrazione rispetto al trimestre precedente, questo sia al lordo, sia al netto delle rettifiche.
La flessione, ha spiegato l’istituto di Via Nazionale, “ha riguardato sia le imprese (dal 4,9% nel trimestre precedente al 4,4%) sia le famiglie (dal 2,4% all’1,9%). Hanno cominciato a ridursi anche le consistenze: per i gruppi bancari la quota di crediti deteriorati lordi sul totale dei finanziamenti si è lievemente contratta nel confronto con il trimestre precedente (dal 18% al 17,8%), così come la loro quota al netto delle rettifiche (dal 10,7% al 10,5%)”. In tutto ciò, cresce a tassi moderati il credito al settore privato non finanziario, tassi più sostenuti nei comparti dove la ripresa dell’attività economica si è avviata più stabilmente: “i prestiti al complesso delle imprese ristagnano, ma sono in deciso aumento quelli alle società manifatturiere”, ha specificato la Banca d’Italia.
In un quadro generale, il bollettino economico ha evidenziato un aumento del numero degli occupati unito a un calo nel numero dei giovani disoccupati: “nonostante un rallentamento rispetto all’anno precedente, quando erano applicati in misura piena gli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni, la tendenza all’aumento del numero di occupati è continuata nel primo trimestre dell’anno, con il tasso di disoccupazione complessivo che è rimasto stabile per effetto della maggiore partecipazione al mercato del lavoro”.
Autore: Elena Filippi
Fonte:
Milano Finanza
congiuntura economica – famiglie – imprese – crescita – brexit – bankitalia