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Portogallo guarda al modello Atlante

Il modello Atlante è un modello esportabile all’estero? Forse è ancora presto per dirlo con certezza. Di sicuro però lo schema di un veicolo finanziato con fondi privati (quelli delle banche) per risolvere problemi privati (le fragilità patrimoniali e le sofferenze delle banche stesse) sembra fare proseliti all’estero. Almeno in un paese come il Portogallo, dove grava un pesante fardello di crediti deteriorati. Una conferma importante è arrivata ieri da una figura di spicco come lo stesso governatore della Banca centrale del Portogallo. Carlos Costa, parlando ieri a Londra davanti a una platea internazionale, non ha esitato a dire che il fondo da 4,25 miliardi varato dalle banche italiane è infatti un «modello» per il proprio paese. Secondo il banchiere centrale, le banche portoghesi e quelle italiane si trovano ad affrontare problemi simili. Per questo , dice Costa, Lisbona dovrebbe imitare l’Italia nelle modalità di intervento relative alla messa in sicurezza del sistema bancario domestico. Contesto finanziario, quello portoghese, che ha bisogno di una «soluzione di sistema».

Resta da capire come le fragili banche portoghesi riescano a trovare le risorse per mettere in piedi un ipotetico fondo Atlante in salsa lusitana. Tra il 2008 e il 2014, gli istituti hanno dovuto varare aumenti di capitale – effettuati anche tramite aiuti di Stato – per circa 26 miliardi di euro. Nello stesso periodo hanno dovuto mettere in conto svalutazioni di crediti per 40 miliardi. Ed è recente il caso del salvataggio di Banif, piccola banca con sede a Madeira, per cui il governo ha dovuto sborsare 2,2 miliardi di euro. Così come è ancora fresco tra gli investitori il ricordo relativo al caso del Novo Banco, la good bank nata più di un anno fa dal fallimento di Banco Espirito Santo.

La vicenda balzò agli onori delle cronache finanziarie nei mesi scorsi perchè, per consentire una nuova iniezione di capitale necessaria per favorire l’arrivo di un compratore, la Banca del Portogallo decise di azzerare, nei fatti, due miliardi di bond senior. A livello di sistema, oggi sulle banche lusitane pesa il macigno di 33,7 miliardi di euro crediti deteriorati netti, pari al 12% dei crediti totali, contro il 10% dell’Italia (che deve far fronte a circa oltre 80 miliardi di bad loans).

A sottolineare come lo schema Atlante possa essere esportato all’estero è stato nelle scorse settimane anche il presidente dell’Acri e della fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, secondo cui il fondo «è un’iniziativa esemplare e importante» che «può essere utilizzata in altri paesi europei».

Atlante, dopo aver chiuso l’aumento di capitale da 1,5 miliardi di Popolare di Vicenza, oggi è la rete di salvataggio per la ricapitalizzazione da un miliardo di Veneto Banca, altro istituto del Nord-Est in difficoltà. L’eventuale capitale che non sarà investito nell’operazione andrà a beneficio dello smobilizzo delle sofferenze delle banche italiane. Sull’ipotesi di un eventuale allargamento della dotazione di capitale del fondo è intervenuto ieri lo stesso Guzzetti. «Intanto vediamo come finisce la vicenda Veneto Banca – ha detto il numero uno dell’Acri – se come dicono in molti ci dovessero essere risposte di mercato, rimarrebbero solo la vicenda vicentina e le sofferenze». Il 30% del fondo è «destinato alle sofferenze» ma se dovessero succedere «cose positive questa quota potrebbe aumentare». Giudizio più scettico invece da parte degli analisti di Rbs. Secondo cui «la potenza di fuoco» di Atlante «non è sufficiente per affrontare il problema delle sofferenze bancarie» in Italia e «deve essere aumentata in modo significativo affinché possa avere un impatto reale sul problema degli Npl».


Autore: Luca Davi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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