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Senza crescita non accelera lo smaltimento degli Npl

Con le soluzioni emerse dal confronto serrato tra il governo italiano e la Commissione europea per affrontare il problema della enorme massa di non performing loans (Npl) accumulata dal sistema bancario italiano, derivano e si rafforzano alcune chiare consequenzialità che prescindono dalla efficacia che l’applicazione degli interventi, faticosamente estrapolati, potrà evidenziare in concreto.
 
La prima spicca chiaramente su tutte: il problema dello smaltimento dei crediti deteriorati e della loro incidenza sull’efficienza del sistema non potrà essere risolto in uno spazio di tempo breve; sarà infatti necessario un approccio di gradualità che data l’entità dei numeri in campo, proietta il raggiungimento di un ritrovato equilibrio su un arco periodale medio-lungo.
La seconda concerne le modalità di misurazione della vulnerabilità di un sistema creditizio: essa non può essere correlata prevalentemente ai soli ratios patrimoniali ma trova una delle sue principali ragioni nella capacità prospettica di generare profitti; una capacità di cui il nostro sistema da troppo tempo appare essere assai poco dotato.
La terza riguarda l’esigenza di interrompere il dibattito sulle recriminazioni sul passato: il nostro paese nel 2011/2012 non aveva bolle immobiliari mastodontiche come la Spagna che lasciavano presagire devastazioni di pari entità, ed in ogni caso il peso del nostro debito pubblico, in una fase di crisi acuta dei debiti sovrani, con l’ansia dello spread che saliva vertiginosamente, rendeva molto problematica se non controproducente il ricorso ai fondi salva Stati; sarebbe quindi più utile concentrarsi su come affrontare il futuro.
La quarta attiene al volume dei titoli di Stato presente nei bilanci delle banche italiane (400 miliardi circa): questo è un dato (paragonabile in termini percentuali solo alla Grecia) che ora più che mai va ridimensionato progressivamente perché prima o poi tali assets non potranno più essere considerati risk-free, contribuendo così ad appesantire i problemi di capitale che ogni banca deve via via gestire in modo sempre più vincolante.
La quinta riguarda il tema delle responsabilità in relazione ai recenti salvataggi di alcune banche dissestate: aprire il fuoco sulla ricerca dei colpevoli, sparando nel mucchio, anziché sulle modalità con cui ripristinare un pieno clima di fiducia tra risparmiatori ed industria bancaria contribuisce solo ad alimentare quella carica di autolesionismo che ha pervaso il paese durante l’intero ciclo della crisi.
La sesta è attinente ad una valutazione deterministica: le banche sono lo specchio del paese e se quest’ultimo continuerà ad essere vulnerabile e a registrare bassi tassi di crescita, non potrà esserci in ogni caso un ritorno a quella solidità di equilibri preesistenti al 2007 della nostra finanza privata.
La settima è relativa agli stravolgimenti di prospettive che ormai il mondo con sempre maggiore delineazione lascia affiorare: un lungo periodo di inflazione molto bassa che è destinata ad accentuare le difficoltà di alleggerire sia i debiti pubblici che quelli privati e conseguentemente di risanare le finanze pubbliche e quelle delle imprese più deboli; criticità che si riflettono inevitabilmente sugli equilibri delle banche.
La traduzione di queste consapevolezze sul piano terapeutico ha nitide implicazioni di micro e di macroeconomia.
L’obiettivo irrinunciabile di tornare ad avere un sistema bancario inequivocabilmente forte e pienamente risanato potrà essere realizzato agendo con priorità sugli aiuti necessari a fare ritrovare alle banche una adeguata capacità di generare profitti.
Solo così il processo di smaltimento dei crediti deteriorati potrà trovare gli spazi per essere accelerato.
Per perseguire questo risultato non basteranno le politiche di aggregazione e di concentrazione ma sarà indispensabile cominciare ad alleggerire l’eccesso di regolamentazione che ha appesantito ed avvinghiato l’attività bancaria in forma ultronea negli ultimi anni.
Contestualmente, inoltre, sul piano dei micro interventi non potrà essere tralasciata l’attivazione di potenti strumenti che abilitino una crescita robusta degli impieghi alle Pmi attraverso l’abbassamento delle percezioni del rischio che la scia della crisi ha lasciato sul campo condizionando le scelte di banche ed imprese sul futuro (es. estensione importante delle garanzie pubbliche e consortili sui prestiti e ulteriori interventi di agevolazione sui rafforzamenti patrimoniali).
Sul piano macroeconomico appare sempre più lampante che senza una crescita trainata da potenti fattori interni, come i consumi privati e gli investimenti pubblici / privati, spinti da un recupero convinto di fiducia nel futuro, non riusciremo a riportarci in un area di accettabile tranquillità e di vero cambiamento di prospettive.
E per fare tutto questo, nel contesto dato, non basteranno politiche riformatrici e fiscali convenzionali ma sarà necessario progettare qualcosa di più coraggioso e positivamente dirompente: la riduzione del debito pubblico come presupposto per liberare risorse per la crescita.

 


Autore: Giuseppe Maria Pignataro
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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