Qual è l’impatto potenziale della garanzia pubblica sulle cessioni dei crediti in sofferenza? Difficile fare stime precise, anche perché tutto dipenderà dalle capacità delle banche di selezionare i crediti in portafoglio da cartolarizzare, di costruire le Asset backed securities e di fare quel tranching (ovvero la suddivisione del debito in titoli, senior, mezzanini o junior), in virtù del quale cambierà anche il rating delle emissioni. Un bollino, questo, che determinerà il costo della garanzia statale, e quindi, di fatto, il costo del funding per la banca. E che soprattutto determinerà anche la capacità degli istituti di deconsolidare le sofferenze e liberare capitale da girare a imprese e famiglie.
Da un punto di vista macroeconomico, le prime stime parlano di un beneficio elevato per l’economia italiana. Secondo le stime di Boston ConsultingGroup, qualora la riduzione delle sofferenze fosse pari a 100 miliardi – un livello che visto nella fase pre-crisi, ovvero il 2011 – il miglioramento del Pil italiano sarebbe dell1,5 – 2 per cento. Avere minori sofferenze in bilancio significherebbe ridare slancio all’erogazione di credito, che invece è calato del 14% dal 2010.
A cascata, la ripresa del credito potrebbe favorire una ripresa degli investimenti, crollati del 20% nel corso degli ultimi cinque anni. E questo ridarebbe fiato alla domanda.
Questo, almeno, è la simulazione in un’ottica di medio periodo. Certo è che a vedere l’andamento in Borsa dei titoli delle banche italiane, con cali diffusi (unica eccezioni Mps con +1,14%), la sensazione è che il mercato guardi, almeno in prima battuta, con scetticismo rispetto alla possibile efficacia del provvedimento. «Possibile che il mercato si attendesse di più dalle discussioni in atto tra Roma e Bruxelles, e che oggi si facciano i conti sulle perdite potenziali che le banche dovranno assorbire dovendo svalutare i crediti al loro valore di mercato, visto che questo è il destino finale», spiegano da uno dei principali broker italiani.
Certo è che la perdita che il settore ha accumulato da inizio anno in termini borsistici implica di fatto già violente svalutazioni. Secondo le stime di Mediobanca, alla luce del calo del 18% da inizio anno, è come se il mercato già oggi incorporasse accantonamenti su crediti per 37 miliardi. In pratica, a questi valori è come se il mercato già calcolasse una copertura sui non performing loans pari all’85%, un valore persino superiore a quello applicato nel caso delle quattro banche regionali salvate (pari all’82,5%). Un’ipotesi estrema, che forse, complici i timori da bail-in, ha portato gli investitori ad abbattere oltre modo il valore reale delle sofferenze. Una copertura prudente ma equa, secondo Piazzetta Cuccia, sarebbe pari al 73% (pari agli attuali 59% già accantonato più 14 pb di deficit), un numero in linea con i dati che emergono dai data base utilizzati dagli investitori specializzati. A questi valori, il mercato sarebbe “corto” di capitale non più di 37miliardi, ma di 27 miliardi. Che, ipotizzando di mantenere un buffer di sicurezza di 100 punti base sui requisiti Srep, significherebbe ricapitalizzazioni per 13 miliardi. Questo nell’ipotesi estrema (ma irrealistica) che tutte le sofferenze dovessero essere vendute di colpo. Rimane il tema della distanza tra il prezzo a bilancio delle sofferenze e quello a cui gli acquirenti sono disposti a comprare. Il gap indicativo è pari a un 20-25%. Non poco. Ma chi lavora al dossier fa notare che il divario può essere ridotto anche al 10-15%. Alcuni mettono in evidenza come la garanzia del Governo permetta ad esempio di ridurre il costo del funding: la stima è pari a 200-250 punti base l’anno. Questo si traduce in un risparmio del 10-12,5% per un’emissione tipo di cinque anni. E il minor costo potrebbe essere condiviso tra banche e compratori, riducendo così la distanza tra domanda e offerta.
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Qual è l’impatto potenziale della garanzia pubblica sulle cessioni dei crediti in sofferenza? Difficile fare stime precise, anche perché tutto dipenderà dalle capacità delle banche di selezionare i crediti in portafoglio da cartolarizzare, di costruire le Asset backed securities e di fare quel tranching (ovvero la suddivisione del debito in titoli, senior, mezzanini o junior), in virtù del quale cambierà anche il rating delle emissioni. Un bollino, questo, che determinerà il costo della garanzia statale, e quindi, di fatto, il costo del funding per la banca. E che soprattutto determinerà anche la capacità degli istituti di deconsolidare le sofferenze e liberare capitale da girare a imprese e famiglie.
Da un punto di vista macroeconomico, le prime stime parlano di un beneficio elevato per l’economia italiana. Secondo le stime di Boston ConsultingGroup, qualora la riduzione delle sofferenze fosse pari a 100 miliardi – un livello che visto nella fase pre-crisi, ovvero il 2011 – il miglioramento del Pil italiano sarebbe dell1,5 – 2 per cento. Avere minori sofferenze in bilancio significherebbe ridare slancio all’erogazione di credito, che invece è calato del 14% dal 2010.
A cascata, la ripresa del credito potrebbe favorire una ripresa degli investimenti, crollati del 20% nel corso degli ultimi cinque anni. E questo ridarebbe fiato alla domanda.
Questo, almeno, è la simulazione in un’ottica di medio periodo. Certo è che a vedere l’andamento in Borsa dei titoli delle banche italiane, con cali diffusi (unica eccezioni Mps con +1,14%), la sensazione è che il mercato guardi, almeno in prima battuta, con scetticismo rispetto alla possibile efficacia del provvedimento. «Possibile che il mercato si attendesse di più dalle discussioni in atto tra Roma e Bruxelles, e che oggi si facciano i conti sulle perdite potenziali che le banche dovranno assorbire dovendo svalutare i crediti al loro valore di mercato, visto che questo è il destino finale», spiegano da uno dei principali broker italiani.
Certo è che la perdita che il settore ha accumulato da inizio anno in termini borsistici implica di fatto già violente svalutazioni. Secondo le stime di Mediobanca, alla luce del calo del 18% da inizio anno, è come se il mercato già oggi incorporasse accantonamenti su crediti per 37 miliardi. In pratica, a questi valori è come se il mercato già calcolasse una copertura sui non performing loans pari all’85%, un valore persino superiore a quello applicato nel caso delle quattro banche regionali salvate (pari all’82,5%). Un’ipotesi estrema, che forse, complici i timori da bail-in, ha portato gli investitori ad abbattere oltre modo il valore reale delle sofferenze. Una copertura prudente ma equa, secondo Piazzetta Cuccia, sarebbe pari al 73% (pari agli attuali 59% già accantonato più 14 pb di deficit), un numero in linea con i dati che emergono dai data base utilizzati dagli investitori specializzati. A questi valori, il mercato sarebbe “corto” di capitale non più di 37miliardi, ma di 27 miliardi. Che, ipotizzando di mantenere un buffer di sicurezza di 100 punti base sui requisiti Srep, significherebbe ricapitalizzazioni per 13 miliardi. Questo nell’ipotesi estrema (ma irrealistica) che tutte le sofferenze dovessero essere vendute di colpo. Rimane il tema della distanza tra il prezzo a bilancio delle sofferenze e quello a cui gli acquirenti sono disposti a comprare. Il gap indicativo è pari a un 20-25%. Non poco. Ma chi lavora al dossier fa notare che il divario può essere ridotto anche al 10-15%. Alcuni mettono in evidenza come la garanzia del Governo permetta ad esempio di ridurre il costo del funding: la stima è pari a 200-250 punti base l’anno. Questo si traduce in un risparmio del 10-12,5% per un’emissione tipo di cinque anni. E il minor costo potrebbe essere condiviso tra banche e compratori, riducendo così la distanza tra domanda e offerta.
Autore: Luca Davi
Fonte:
Il Sole 24 Ore