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Crediti deteriorati per oltre 138 miliardi

Alla fine dello scorso settembre sui bilanci dei primi nove gruppi bancari italiani c’erano crediti deteriorati, già al netto delle rettifiche di valore, per oltre 138 miliardi di euro, una cifra che rappresentava cioè l’11, 29% del valore totale dei crediti netti alla clientela( dai 136,4 milardi di fine 2014, pari all’11, 2% del totale dei crediti). Di questi, una quota del valore di 60,6 miliardi (4,95 % del totale dei crediti) era rappresentato da sofferenze, in aumento anch’esse dai 58, 4 miliardi (4,8%) di fine 2014.

Il calcolo, condotto da MF NPL sui rendiconti dei nove mesi dei vari gruppi bancari quotati, porta a immaginare che il totale dei crediti deteriorati netti nei confronti di imprese non finanziarie sui libri dei medesimi gruppi alla fine dello scorso settembre sia nell’intorno dei 110 miliardi di euro ossia l’80% del totale dei crediti deteriorati netti a quella data. Nel 2014, infatti i crediti deteriorati alle imprese non finanziarie hanno rappresentato una quota attorno all’80% del totale dei crediti deteriorati, sebbene il totale dei crediti netti alle imprese abbia rappresentato soltanto circa il 47% del totale dei crediti alla clientela.

Più volte MF NPL ha indicato che sul totale degli Npl sui bilanci delle banche, la parte del leone la fanno proprio le sofferenze verso aziende corporate: PwC nel suo ultimo report aggiornato allo scorso fine marzo indicava che l’82% degli Npl in portafoglio ai primi 20 gruppi bancari italiani era nei confronti di aziende corporate, che il 16% riguardava il retail e il 2% altri tipi di debitori.

Le tabelle in pagina (vedi ALLEGATO 1) riportano la nuova classificazione dei crediti dubbi adottata anche dalle banche italiane a partire dal primo trimestre 2015 a seguito dell’applicazione della nuova nozione di attività deteriorate adottata dalla Banca Italia.

Un anno fa, il 9 gennaio 2015, la Commissione Ue ha infatti omologato gli Implementing Technical Standard pubblicati dall’Eba nel 2013 in materia di esposizioni oggetto di concessioni (crediti “forborne”) con l’obiettivo di pervenire a una classificazione omogenea a livello europeo, ai fini della vigilanza regolamentare.

La Banca d’Italia il 20 gennaio 2015 ha così pubblicato una serie di aggiornamenti alle circolari relative alle segnalazioni statistiche, di vigilanza e alla matrice dei conti, finalizzati ad allineare le definizioni di attività deteriorate alle nuove definizioni di credito non performing  (Non-performing exposure o Npe) e appunto di credito oggetto di concessioni (forbearance), che non forma una categoria di crediti non performing a sé stante, ma rappresenta una qualificazione del credito, sia in bonis sia deteriorato.

Le precedenti quattro categorie di esposizioni deteriorate (sofferenze, incagli, scadute/sconfinanti e ristrutturati) sono state inoltre sostituite dalle nuove tre categorie (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute deteriorate), la cui somma corrisponde all’aggregato Npe.

Visti i dati, il problema torna a botta su come far sì che le banche si liberino di questa mole di sofferenze  da un lato ed evitino, dall’altro, che le inadempienze probabili si trasformino in sofferenze.

I crediti verso le imprese,  infatti, sono molto più complicati da valutare e recuperare rispetto a quelli immobiliari (dotati di garanzie reali che non siano capannoni industriali, che a oggi valgono pochissimo o niente) o rispetto a quelli verso privati (i crediti al consumo sui bilanci vengono svalutati per la gran parte del valore nei primi 90 giorni dalla scadenza).

D’altra parte se un fondo specializzato in crediti distressed compra decine di migliaia di crediti verso aziende difficilmente li può trattare con un approccio da turnaround industriale, perché è troppo dispendioso in termini di tempo da dedicare a ciascuna posizione, con la conseguenza quindi che le aziende debitrici vengono semplicemente dichiarate fallite e gli asset vengono venduti per rimborsare i creditori, con il fondo in prima linea, che immagina evidentemente di incassare da ogni singolo credito più di quanto speso comprando l’intero portafoglio.

Ma nel caso in cui l’azienda non fosse proprio decotta e il problema non fosse quindi il business ma il debito, sarebbe certo più vantaggiosa per tutti un’alternativa che portasse nuovi investitori a mettere denaro fresco in azienda, con la banca che convertisse il credito in strumenti finanziari (magari di un veicolo che acquistasse più crediti).

Da tempo sul tavolo del governo si sta ragionando su un modo per stimolare il mercato ad andare in questa direzione. Sinora però gli sforzi si sono concentrato tutti sulla possibile costituzione di una bad bank di sistema, senza tenere in considerazione le differenze significative che esistono tra i vari tipi di Npl.

 


Autore: Stefania Peveraro
Fonte:

Milano Finanza

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