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Censis: ripartono i consumi, ma 5 milioni di famiglie in difficoltà

I consumi ripartono, ma la forbice sociale si riapre. E’ questa l’analisi tracciata dal Censis, diretto da Giuseppe De Rita, nel 49esimo rapporto sulla situazione sociale del paese. Se infatti per la prima volta dall’inizio della crisi, la quota di famiglie che nell’ultimo anno hanno aumentato la propria capacità di spesa, risulta superiore a quella delle famiglie che l’hanno invece ridotta (il 25,% contro il 21,3%), d’altro lato pero’ continua a crescere, sfiorando ormai il 20% del totale, il numero di famiglie che non riescono a coprire tutte le spese con il proprio reddito. Sono circa 5 milioni le famiglie che hanno difficoltà a far tornare i conti e tra quelle di livello socio-economico basso la percentuale sale al 37,3%. Secondo il rapporto il clima generale “sembra virare in positivo”, anche se la grande maggioranza delle famiglie prevede di attestarsi sui livelli di reddito, spesa e risparmi dell’anno precedente.

Export motore potente, ma da revisionare   

Il Censis nel 49esimo rapporto sulla situazione sociale del paese dice anche che l’export italiano è un motore potente, ma da revisionare. E sottolinea come l’export italiano complessivo (beni e servizi) rappresenta oggi il 29,6% del Pil (era il 25,6% nel 2000, ma era sceso fino al 22,5% nel 2009). Le imprese esportatrici di beni sono attualmente circa 212.000, in crescita negli ultimi anni e in grado di veicolare all’estero un’idea dell’Italia legata ai prodotti di alta qualità, a politiche di marchio efficaci, a prodotti collocati nel top di gamma. Va però segnalata -sottolinea il rapporto- la scarsa incidenza, in termini di valore esportato, della pur massiccia partecipazione delle microimprese. La maggior parte degli operatori (il 64,2% del totale) si addensa nella classe più bassa di valore esportato (sotto i 75.000 euro).
Circa 136.000 esportatori determinano un valore dell’export inferiore a 2,4 miliardi di euro: un’inezia rispetto al valore totale delle esportazioni italiane (lo 0,6%). In media, si tratta di poco meno di 17.000 euro ad esportatore. I grandi esportatori, quelli che esportano merci per un valore che eccede i 50 milioni di euro, sono solamente lo 0,5% del totale (961 soggetti), ma realizzano da soli quasi la meta’ dell’export italiano (circa 191 miliardi di euro).
Se poi si guarda al numero di Paesi dove l’Italia esporta, vanno segnalati più di 91.000 soggetti che hanno come riferimento un solo paese. Per contro, sono poco più di 4.300 le aziende che vendono i loro prodotti e servizi in più di 40 Paesi esteri, realizzando però il 43% circa del fatturato italiano all’estero.

Manca visione futuro del paese, crescono diseguaglianze

La fotografia scattata dal Censis descrive anche un’Italia dove c’è una “pericolosa povertà” di interpretazione sistemica, di progettazione per il futuro e di disegni programmatici di medio periodo. Un Paese in cui prevalgono un “letargo esistenziale collettivo” e la dinamica del “giorno per giorno”. Questo fa emergere e vincere “l’interesse particolare” a scapito dell’unità di interessi. La conseguenza è la crescita delle “diseguaglianze” con una “caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l’hanno nel tempo garantita”. Individui, famiglie e imprese restano in un “recinto securizzante, ma inerziale”, dice il Censis. “Ne deriva una società a bassa consistenza e con scarsa autopropulsione – sottolinea – una sorta di limbo italico fatto di mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone”. Eppure, nel 2015 c’è stato però un “generoso impegno” per “ridare slancio” alla dinamica economica e sociale “attraverso il rilancio del primato della politica, con un folto insieme di riforme di quadro e di settore, e la messa in campo di interventi tesi a incentivare propensione imprenditoriale e coinvolgimento collettivo rispetto al consolidamento della ripresa”.
Secondo il Censis “c’è stata la ricerca del consenso d’opinione sulle politiche avviate per innescare nella collettività una mobilitante tensione al cambiamento, una riscoperta di ottimismo e un recupero reputazionale. Ma questo impegno fatica a fomentare nel corpo sociale una reazione chimica, un investimento collettivo, la necessaria osmosi tra politica e mondi vitali sociali”. L’elemento più in crisi, rileva il rapporto, è la dialettica socio-politica, che “non riesce a pensare un progetto generale di sviluppo del Paese”. Così, “nell’indifferenza del dibattito socio-politico, si va costruendo uno sviluppo fatto di basi storiche, capacità inventiva e naturalezza dei processi oggi vincenti. Esempio ne sono i giovani che vanno a lavorare all’estero o tentano la strada delle start up, le famiglie che accrescono il proprio patrimonio e lo mettono a reddito (con l’enorme incremento, per esempio, dei bed & breakfast), le imprese che investono in innovazione continuata e green economy, i territori che diventano hub di relazionalità (la Milano dell’Expo come le città e i borghi turistici)”. A ciò si accompagna anche “un’evoluzione più strutturata, con il nuovo made in Italy che si va formando nell’intreccio tra successo gastronomico e filiera agroalimentare, nell’integrazione crescente tra agricoltura e turismo”.
Il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, si chiede cosa resti oggi del grande processo di globalizzazione vista come occidentalizzazione del mondo: “Il policentrismo di tanti diversi sviluppi e la crescita faticosa di una poliarchia. Nella nostra storia, il resto del mito della grande industria e dei settori avanzati è stata l’economia sommersa e lo sviluppo del lavoro autonomo. Il resto del mito dell’organizzazione complessa e del fordismo è stata la piccola impresa e la professionalizzazione molecolare. Il resto della lotta di classe nella grande fabbrica è stata la lunga deriva della cetomedizzazione. Il resto dell’attenzione all’egemonia della classe dirigente è stata la fungaia dei soggetti intermedi e la cultura dell’accompagnamento. Il resto del primato della metropoli è stato il localismo dei distretti e dei borghi. Il resto della spensierata stagione del consumismo (del consumo come status e della ricercatezza dei consumi) è la medietà del consumatore sobrio. Il resto della lunga stagione del primato delle ideologie è oggi l’empirismo continuato della società che evolve. E i processi di sviluppo reale del Paese qui descritti sono il resto delle tante discussioni sulla guerra degli ultimi giorni”.

E’ l’Italia dello zero virgola

Ma è anche una società a “bassa autopropulsione”, che “non ritrova il gusto del rischio”. Nell'”Italia dello zero virgola”, in cui le variazioni congiunturali degli indicatori economici sono ancora minime, “continua a gonfiarsi la bolla del risparmio cautelativo” e “non si riaccende la propensione al rischio”, rileva il 49esimo rapporto del Censis. Ma c’è una piattaforma di ripartenza, sottolinea il report, una geografia dei vincenti che gioca sul driver dell’ibridazione di settori e competenze tradizionali, che così si trasformano. E questo è il nuovo Italian style.

Un italiano su 4 ha fiducia nel futuro

Il rapporto del Censis rileva che che tra coloro che in famiglia assumono la responsabilità degli acquisti principali, la quota di chi dichiara di avere fiducia nel futuro (39,8%) supera quella di chi non vede segnali positivi (22,4%). La parte restante (il 37,8%) è ancora incerta. . Questa ritrovata fiducia si riflette sulle intenzioni di acquisto: il 5,7% delle famiglie (più del doppio rispetto all’anno scorso) ha intenzione di comprare un’auto nuova (se andrà così si avranno nel 2016 circa 1,5 milioni di immatricolazioni, come non si vedeva dal 2008), il 5,7% nuovi mobili per la casa, l’11,2% nuovi elettrodomestici (quasi 3 milioni di famiglie), il 9,2% ha intenzione di ristrutturare l’immobile.

Il risparmio delle famiglie ammonta a oltre 4mila miliardi, in 4 anni +6,2%

Ammonta a più di 4mila miliardi di euro il valore del patrimonio finanziario degli italiani. In quattro anni (giugno 2011-giugno 2015) ha registrato un incremento di 401,5 miliardi: +6,2% in termini reali. E’ quanto evidenzia il rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese. Negli anni della crisi la composizione del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie ha sancito il passaggio a un’opzione “fortemente difensiva”: il contante e i depositi bancari sono saliti da una quota pari al 23,6% del totale nel 2007 al 30,9% nel 2014, mentre sono crollate le azioni (dal 31,8% al 23,7%) e le obbligazioni (dal 17,6% al 10,8%). Negli ultimi dodici mesi (giugno 2014-giugno 2015) si conferma l’opzione cautelativa degli italiani, con un incremento di 45 miliardi di euro della liquidità (+6,3%) e di 73 miliardi in assicurazioni e fondi pensione (+9,4%), e con la rinnovata contrazione di azioni e partecipazioni (10 miliardi in meno, pari a una riduzione dell’1,2%).
La diversità sta però nell’impennata delle quote di fondi comuni, segno di un allentamento della morsa dell’ansia: 108 miliardi in più in un anno (+32,8%). “Non si torna però alla fiduciosa assunzione del rischio individuale, consapevoli che l’azzardo lascerebbe impresse cicatrici profonde sulle proprie solitarie biografie personali”, sottolinea il Censis.
D’altro canto, il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano, visto che nell’anno trascorso 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto mettere mano ai risparmi per fronteggiare gap di reddito rispetto alle spese mensili.

Metà degli italiani vuole il taglio delle tasse

In questa fase, l’esigenza delle famiglia di utilizzare il risparmio, cresciuto negli anni della crisi, in modo più funzionale all’economia reale si lega strettamente alla richiesta di scongelare quote del proprio reddito aspirate dalla fiscalità. Il 55,3% degli italiani vuole infatti il taglio delle tasse, anche a costo di una riduzione dei servizi pubblici.

Mattone in ripresa, boom di richieste di mutui

Il mattone ha ricominciato ad attrarre risorse. Lo segnala il boom delle richieste di mutui (+94,3% nel periodo gennaio-ottobre 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014) e l’andamento delle transazioni immobiliari (+6,6% di compravendite di abitazioni nel secondo trimestre del 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Si diffonde la propensione a mettere a reddito il patrimonio immobiliare: 560.000 italiani dichiarano di aver gestito una struttura ricettiva per turisti, come case vacanza o bed & breakfast, generando un fatturato stimabile in circa 6 miliardi di euro, in gran parte sommerso.

Rimbalzo dell’occupazione

Dopo la “lunga crisi” dell’economia il 2015 ha segnato un “rimbalzo occupazionale selettivo”. Dall’entrata in vigore del Jobs act, il mercato del lavoro ha visto rimbalzare l’occupazione di 204.000 unità. “Siamo ancora lontani dal recuperare la situazione pre-crisi – dice il Censis – dato che nel terzo trimestre dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, mancano all’appello 551.000 posti di lavoro. La disoccupazione si riduce all’11,9%: una cifra molto lontana però dal 6,7% del 2008”. Per quanto riguarda i giovani (15-24 anni) si registra un crollo dell’occupazione, proseguito anche nel 2015, con un recupero ora di appena 9.000 unità rispetto al primo trimestre. Il loro tasso di disoccupazione è praticamente raddoppiato in sei anni, con un picco del 42,7% nel 2014 e poi un calo di 1,4 punti tra il primo e il terzo trimestre di quest’anno. L’occupazione femminile, invece, ha guadagnato 64.000 posti di lavoro in sei anni e si registra ancora un incremento di 35.000 occupate tra il primo e il terzo trimestre del 2015. E se nel 2008 i lavoratori più anziani (55-64 anni) erano poco meno di 2,5 milioni, nel 2014 erano diventati 3,5 milioni e continuano a crescere, con un aumento di 91.000 unità nei primi sei mesi dell’anno.
Si consolida la presenza nel mercato del lavoro della componente straniera, che ha superato i 2,3 milioni di occupati, con un incremento di 604.000 unità tra il 2008 e il 2014 e di 77.000 nella prima metà dell’anno. Intanto, permangono criticità che rischiano di cronicizzarsi: i giovani che non studiano e non lavorano (i Neet) sono 2,2 milioni, la sottoccupazione riguarda 783.000 addetti, il part time involontario 2,7 milioni di occupati e la cassa integrazione ha superato nel 2014 la soglia del miliardo di ore concesse, corrispondenti a circa 250.000 occupati equivalenti. E poi ci sono i workaholic loro malgrado: negli ultimi dodici mesi 11,3 milioni di italiani hanno lavorato regolarmente o di tanto in tanto durante il weekend, 10,3 milioni oltre l’orario formale senza il pagamento degli straordinari, 7,3 milioni a distanza (da casa o in viaggio), 4,1 milioni hanno lavorato di notte, 4 milioni hanno fatto piccoli lavoretti saltuari.

Ma 4 italiani su 10 non hanno idea su futuro previdenziale

Quattro italiani su dieci (39,6%) non hanno un’idea precisa della propria posizione previdenziale. Non sanno quanti contributi hanno versato e a quanto ammonterà l’assegno pensionistico. Il 21,5% ha un’idea piuttosto vaga e il 18,1% non ha alcune idea sulla propria posizione previdenziale. Questa situazione contribuisce a spiegare il persistente successo degli intermediari, in particolare i patronati, nel rapporto tra cittadini ed enti di previdenza. Infatti è il 73,7% degli italiani che dichiara di conoscere i patronati, il 56,1% di essersi rivolto a uno di essi e, di questi, il 92,2% esprime un giudizio positivo sulle loro attività. C’è inoltre una generica convinzione sociale che le pensioni future saranno più basse di quelle attuali. “Non sarà certo la previdenza complementare a cambiare questa dinamica discendente delle pensioni attese – dice il Censis – visto che non riesce proprio a decollare come secondo pilastro in grado di compensare la riduzione del valore delle pensioni fondate sul primo pilastro. Né è ipotizzabile l’introduzione dell’obbligatorietà della previdenza complementare, alla quale si dichiara contrario il 78% dei cittadini”

Aumentano gli imprenditori stranieri, +31,5% in 6 anni

Tra il 2008 e il 2014 in Italia i titolari d’impresa stranieri sono aumentati del 31,5% (soprattutto nel commercio, che pesa per circa il 40% di tutte le imprese straniere, e nelle costruzioni, per il 26%), mentre le aziende guidate da italiani sono diminuite del 10,6%. Gli stranieri in Italia “inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano le banlieue parigine o le innercities londinesi, dove l’Islam radicale diventa il veicolo del rancore delle seconde e terze generazioni per una promessa tradita di ascesa sociale”.

Ma le insicurezze mettono a rischio il rapporto con gli immigrati

La crescita delle insicurezze mette a rischio il rapporto con gli immigrati. La discriminazione etnica è in crescita in tutta Europa: il 64% dei cittadini dell’Ue ritiene che la discriminazione sia diffusa nel proprio Paese e il dato sale al 73% tra gli italiani. Sono dati in crescita rispetto a quelli del 2012, quando erano il 56% degli europei a percepire la presenza di forme di discriminazione etnica nel proprio Paese e il 61% degli italiani. E’ quanto emerge dal rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del paese. Quando però si passa a esempi concreti, i pregiudizi sembrano in parte cadere. La maggior parte dei cittadini europei (71%) e italiani (69%) dichiara che si sentirebbe a suo agio se una persona di origine etnica diversa da quella della maggior parte della popolazione ricoprisse la carica politica più alta nel proprio Paese. E solo una minoranza di italiani dichiara che si sentirebbe a disagio se avesse un collega di lavoro appartenente a un altro gruppo etnico, di colore (14%) o di origini asiatiche (14%). Barriere e muri, invece, non cadono quando si propone una persona di etnia rom. Su questo gli italiani dichiarano nel 43% dei casi che non si sentirebbero a proprio agio se avessero come collega una persona rom.

Per il 42,7% degli italiani la sanità italiana sta peggiorando. I più delusi al Sud

Il 42,7% dei cittadini italiani pensa che la sanità stia peggiorando, quota che sale al 64% al Sud. Inoltre, il 55,5% considera inadeguato il Servizio sanitario regionale, quota che sale all’82,8% nel Mezzogiorno. Impietoso il quadro che emerge dall’annuale rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese. Per capire il ricorso al privato, va considerato il trade off tra costo e tempi di attesa che, con la capacità del privato di offrire prestazioni a prezzi sostenibili e la lunghezza delle liste di attesa nel pubblico, si risolve spesso nella scelta dei cittadini di pagare per intero di tasca propria le prestazioni. Ad esempio, per una colonscopia nel privato si spendono 224 euro e si attendono 8 giorni, nel pubblico con il ticket si spendono 56 euro e si attendono 87 giorni; per una risonanza magnetica nel privato si spendono 142 euro e si attendono 5 giorni, con il ticket si pagano 63 euro e si attendono 74 giorni. Costi e tempi di attesa hanno andamenti inversi nel passaggio dal pubblico al privato, poiché all’aumentare dei costi delle prestazioni nel privato corrisponde una diminuzione dei tempi di attesa e viceversa. Una colonscopia nel privato richiede circa 169 euro in più rispetto al pubblico e riduce i tempi di attesa di 74 giorni; per una risonanza magnetica nel privato la spesa è di 79 euro in più con una riduzione dei tempi di attesa di 69 giorni. Ancora, gli italiani ribadiscono l’importanza del ruolo svolto dal medico di famiglia: il 57,3% afferma che dovrebbe essere sua la responsabilità di dare informazioni circostanziate ai pazienti e guidarli verso le strutture più adatte. Il 42,6% ritiene che gli Uffici relazioni con il pubblico e gli sportelli delle Asl dovrebbero offrire informazioni più precise e articolate. Un italiano su 5 vorrebbe anche disporre di graduatorie sui servizi e la loro qualità basate sui giudizi dei pazienti. Accanto a quelle di tipo informativo, le difficoltà che i cittadini sperimentano nel rapportarsi al Servizio sanitario nazionale sono anche di carattere pratico, legate ai tempi di attesa prima di accedere ai servizi richiesti. Tra le persone che hanno effettuato visite specialistiche e accertamenti diagnostici, rispettivamente il 22,6% e il 19,4% ha dovuto attendere perché privo di alternative. E quando l’attesa c’è stata, è stata consistente: in media, 55,1 giorni prima di effettuare una visita specialistica e 46,1 giorni per un accertamento.
Ma c’è un’altra domanda alla quale il Censis risponde: come e perché sta cambiando la cultura della vaccinazione in Italia? Secondo alcune ricerche, realizzate dal Censis nel 2014 e nel 2015 interpellando direttamente i genitori italiani fino a 55 anni con figli da 0 a 15 anni (arco temporale a cui fanno riferimento i principali calendari di vaccinazione) il livello di informazione sulle vaccinazioni dei genitori è solo apparentemente elevato. Si tratta di una informazione superficiale e incerta che gli stessi genitori non sempre giudicano soddisfacente: il 30,4% avrebbe voluto saperne di più e la quota sfiora il 40% al Sud. Nonostante i genitori siano in gran parte informati sulle vaccinazioni dai loro pediatri (54,8%), l’accesso alle informazioni attraverso le potenzialità infinite della rete rappresenta uno degli elementi in grado di impattare in modo più dirompente sui nuovi atteggiamenti culturali nei confronti della vaccinazione, dal momento che i genitori tendono a cercare informazioni sul web per decidere se vaccinare o meno i figli (lo fa il 42,8% dei genitori internauti) e in quasi la metà dei casi si trovano a leggere sui social network articoli sulla vaccinazione. Quasi l’80% ammette di aver trovato informazioni di tipo negativo navigando in internet. Anche il livello di fiducia dei genitori nelle vaccinazioni appare abbastanza articolato: a fronte della quota più elevata (35,7%) che ha una posizione apertamente favorevole alle vaccinazioni (pensa che siano utili e sicure), un terzo (32,3%) si esprime a favore solo di quelle obbligatorie e gratuite, dando un peso importante alla garanzia fornita dal Ssn

Papa Francesco è il feneomeno mediatico globale dell’anno 

Per il Censis è Papa Francesco il fenomeno mediatico globale dell’anno.  Interrogati su quali siano i punti di forza del cattolicesimo, i residenti di Roma hanno indicato proprio il carisma di Bergoglio al primo posto (con il 77,9% delle risposte), prima ancora del messaggio d’amore e di speranza della religione. Anche la rilevazione del Pew Research Center e’ inequivocabile: nel corso del suo primo anno di pontificato, Papa Francesco precede in graduatoria, per numero di citazioni nelle news digitali statunitensi, la candidata alla presidenza Usa Hillary Clinton e leader di fama mondiale del calibro di Putin e Merkel.

Più della metà degli italiani è su Facebook

Oltre il 50% degli italiani è su Facebook, la televisione e la radio continuano a spopolare mentre non si ferma l’emorragia di lettori per la carta stampata. E’ il quadro dei consumi mediatici degli italiani secondo quanto emerge dal rapporto annuale del Censis. Nel 2015 la televisione ha una quota di telespettatori vicina alla totalità della popolazione (il 96,7%). Ma aumenta l’abitudine a guardare la tv attraverso i nuovi device: +1,6% di utenza rispetto al 2013 per la web tv, +4,8% per la mobile tv, mentre le tv satellitari si attestano a una utenza complessiva del 42,4% e il 10% degli italiani usa la smart tv che si può connettere alla rete. Anche per la radio si conferma una larghissima diffusione di massa (l’utenza complessiva corrisponde all’83,9% degli italiani), con l’ascolto per mezzo dei telefoni cellulari (+2%) e via internet (+2%) ancora in ascesa. In effetti, gli utenti di internet continuano ad aumentare (+7,4%), raggiungendo una penetrazione del 70,9% della popolazione italiana. Le connessioni mobili mostrano una grande vitalità, con gli smartphone forti di una crescita a doppia cifra (+12,9%) che li porta oggi a essere impiegati regolarmente da oltre la metà degli italiani (il 52,8%), e i tablet praticamente raddoppiano la loro diffusione e diventano di uso comune per un italiano su quattro (26,6%). Aumenta ancora la presenza degli italiani sui social network, che vedono primeggiare Facebook, frequentato dal 50,3% dell’intera popolazione e addirittura dal 77,4% dei giovani under 30, mentre Youtube raggiunge il 42% di utenti (il 72,5% tra i giovani) e il 10,1% degli italiani usa Twitter.
Al tempo stesso, non si inverte il ciclo negativo per la carta stampata, che non riesce ad arginare le perdite di lettori: -1,6% per i quotidiani, -11,4% per la free press, stabili i settimanali e i mensili, mentre sono in crescita i contatti dei quotidiani online (+2,6%) e degli altri portali web di informazione (+4,9%). Non è favorevole l’andamento della lettura dei libri (-0,7%): gli italiani che ne hanno letto almeno uno nell’ultimo anno sono solo il 51,4% del totale, e gli e-book contano su una utenza ancora limitata all’8,9% (per quanto in crescita: +3,7%). Abissali le distanze tra giovani e
anziani. Tra i giovani la quota di utenti della rete arriva al 91,9%, mentre è ferma al 27,8% tra gli anziani. L’85,7% dei primi usa telefoni smartphone, ma lo fa solo il 13,2% dei secondi. Il 77,4% degli under 30 è iscritto a Facebook, contro appena il 14,3% degli over 65. Il 72,5% dei giovani usa Youtube, come fa solo il 6,6% degli ultrasessantacinquenni. I giovani che guardano la web tv (il 40,7%) sono un multiplo significativo degli anziani che fanno altrettanto (il 7,1%). Il 40,3% dei primi ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, dieci volte di più dei secondi (4,1%). E mentre un giovane su tre (il 36,6%) ha già un tablet, solo il 6% degli anziani lo usa. Vola la spesa per i consumi tecnologici: la disintermediazione digitale riscrive le regole dell’economia reale.
Tra il 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi, e il 2014, la voce “telefonia” ha più che raddoppiato il suo peso nelle spese degli italiani (+145,8%), superando i 26,8 miliardi di euro nell’ultimo anno, mentre nello stesso arco di tempo i consumi complessivi flettevano del 7,5%, la spesa per l’acquisto dei libri crollava del 25,3%, le vendite giornaliere di quotidiani passavano da 5,4 a 3,7 milioni di copie (-31%). Gli italiani hanno evitato di spendere su tutto, ma non sui media connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere di disintermediazione, che ha significato un risparmio netto finale nel loro bilancio personale e familiare. Usare internet per informarsi, per prenotare viaggi e vacanze, per acquistare beni e servizi, per guardare film o seguire partite di calcio, per svolgere operazioni bancarie o entrare in contatto con le amministrazioni pubbliche, ha significato spendere meno soldi, o anche solo sprecare meno tempo: in ogni caso, guadagnare qualcosa. Gli utenti di internet si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che consentono loro di superare le mediazioni di soggetti tradizionali. Si sta così sviluppando una economia della disintermediazione digitale che sposta la creazione di valore da filiere produttive e occupazionali consolidate in nuovi ambiti. La ricerca in rete di informazioni su aziende, prodotti, servizi coinvolge il 56% degli utenti del web. Segue l’home banking (46,2%) e un’attività ludica come l’ascolto della musica (43,9%, percentuale che sale al 69,9% nel caso dei più giovani). Fa acquisti su internet ormai il 43,5% degli utenti del web, ovvero 15 milioni di italiani. Guardare film (25,9%, percentuale che sale al 46% tra i più giovani), cercare lavoro (18,4%), telefonare tramite Skype o altri servizi voip (16,2%) sono altre attività diffuse tra gli utenti di internet.

Successo per acquisti online e sharing economy

Il Censis stima in 15 milioni gli italiani che fanno acquisti su Internet: 2,7 milioni hanno comprato prodotti alimentari in rete negli ultimi dodici mesi e l’home banking è praticato dal 46,2% degli utenti del web. E il successo della sharing economy rende ancora più evidente i nuovi stili di consumo. Nell’ultimo anno il 4% degli italiani (circa 2 milioni) ha utilizzato il car sharing, ma tra i giovani la percentuale sale all’8,4%.

Boom del turismo, aumentano i turisti cinesi e coreani

Il rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese registra un costante incremento dei flussi anche negli anni della crisi. Dal 2000 il numero complessivo di arrivi nel territorio italiano è aumentato del 33,3% raggiungendo nel 2014 la cifra record di 106,7 milioni. L’incremento maggiore riguarda gli arrivi di stranieri: sono stati 51,7 milioni nell’ultimo anno (+47,2% tra il 2000 e il 2014) e pesano ormai per il 48,4% del totale. Ma anche i turisti italiani sono aumentati del 22,4% nel periodo: sono stati 55 milioni nell’ultimo anno. La platea degli estimatori del nostro Paese è sempre più globalizzata. Dal 2010 a oggi sono i cinesi (+137,9%), i coreani (+70,8%), i russi (+56,6%) e i brasiliani (+31,4%) gli stranieri per i quali si registrano le più forti variazioni positive.
In questo quadro emerge il “caso Roma”: il Colosseo nel 2014 ha avuto 6,2 milioni di visitatori (erano 2,5 milioni nel 2000: +148%), i Musei Vaticani 5,8 milioni di visitatori (3 milioni nel 2000, +93%), Castel Sant’Angelo un milione di visitatori (590.000 nel 2000, +69%).


Fonte:

Italia Oggi

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