Scelti per voi

Bad Bank, serve una cura forte per i crediti malati

Nei forzieri delle banche italiane c’è un mostro che ne divora il patrimonio. Si tratta di 350 miliardi di crediti difficilmente esigibili. A dare la stima è stato Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit, in audizione al Senato: «Si tratta di 750 mila miliardi delle vecchie lire: una cifra impressionante che assorbe moltissimo capitale». Una zavorra che in sei anni è stata fronteggiata dai soci mettendo dentro risorse fresche per 53 miliardi. Viste le dimensioni del problema, però non è stato sufficiente: non a caso due banche italiane (Mps e Carige) sono state bocciate agli esami della Bce e altre hanno ottenuto una promozione risicata. Le stime di Nicastro non divergono molto da quelle del Fondo monetario che valuta l’ammontare dei crediti problematici in 330 miliardi. Questa cifra, che corrisponde a circa un quinto del Pil italiano, è triplicata dal 2007. Per circa 180 miliardi si tratta di sofferenze e ciò rappresenta una «zavorra pesantissima» per lo sviluppo e la crescita. Nicastro ha spiegato a Palazzo Madama che l’esplosione degli incagli è frutto certamente della crisi economica ma anche della difficoltà del recupero. Una procedura fallimentare dura in media sette anni e l’incasso di una garan zia tre; al contempo le basse percentuali di rientro rendono estremamente incerta la valorizzazione degli attuali 350 miliardi di crediti problematici. Da qui il percorso a ostacoli che accompagna il progetto del governo a dar vita a una “bad bank” di sistema. Vale a dire del gigantesco serbatoio in cui far confluire i finanzia- investitori chiamati a partecipare al capitale della bad bank sarebbero molto più generosi sapendo che le loro eventuali perdite sarebbero coperte dallo stato. Da qui tre ipotesi. La prima prende le mosse dalla Spagna dove è stato costituito il Frob (Fondo de restructuración ordenado bancaria), dipendente dal ministero dell’Economia. In seguito è stata creata la vera bad bank, la Sareb, che ha affrontato il problema delle sofferenze. La Sareb ha un patrimonio di 4,8 miliardi (1,2 miliardi di capitale più 3,6 miliardi di prestiti subordinati) versata per il 45% dal Frob e per il 55% da 27 soggetti privati. Nell’ambito di questi ultimi, due dei maggiori gruppi bancari spagnoli (Santander e Caixa) detengono quasi il 30% del capitale totale. Viceversa, il Bbva risulta assente. La seconda ipotesi per il salvagente italiano viene dal centro studi Astrid. Prevede la cartolarizzazione delle sofferenze bancarie in pacchetti di titoli che poi potrebbero essere menti dall’incerto recupero. In particolare, ha osservato Nicastro, si pone il problema del pricing gap, per cui il prezzo d’ acquisto proposto dai grandi investitori risulta troppo basso rispetto ai valori di carico iscritti nei bilanci delle banche. Non a caso su 350 miliardi, ne sono stati venduti meno di 10 e a prezzi bassissimi. Proprio Unicredit è stato uno dei protagonisti del mercato cedendo un portafoglio di 2,4 miliardi. Per rendere il mercato più efficiente serve una riforma delle procedure. «Per cui i benefici collegati alla liberazione di capitale, a partire dalla capacità di incrementare i finanziamenti a imprese e famiglie, sarebbero esponenziali», ha dichiarato Nicastro.

TRE IPOTESI

Tuttavia il progetto stenta a decollare. Innanzitutto perché proprio Unicredit e Banca Intesa si sono sfilate annunciando che costruiranno delle “bad bank” interne. Hanno già avviato un programma di vendita costituendo un soggetto a cui hanno preso parte due partner finanziari, la casa d’investimenti Kkr (Kohlberg, Kravis, Roberts) e A&M, ovvero Alvarez & Marsal, la società statunitense che gestì la liquidazione di Lehman Brothers. In questo caso, però, non si è trattato di sofferenze ma di crediti verso un numero limitato di grandi aziende in difficoltà ma che si sarebbero potute risanare attraverso l’afflusso di nuova finanza e di un profondo cambiamento gestionale. Senza i due colossi ben difficilmente il progetto potrà avere respiro nazionale. Inoltre ci sono diversi problemi: per esempio con Bruxelles, che vedrebbe con molto sospetto la copertura dello stato a tutta l’operazione. Eppure secondo molti osservatori non c’è alternativa alla garanzia pubblica per ottenere prezzi migliori. Gli investitori chiamati a partecipare al capitale della bad bank sarebbero molto più generosi sapendo che le loro eventuali perdite sarebbero coperte dallo stato. Da qui tre ipotesi. La prima prende le mosse dalla Spagna dove è stato costituito il Frob (Fondo de restructuración ordenado bancaria), dipendente dal ministero dell’Economia. In seguito è stata creata la vera bad bank, la Sareb, che ha affrontato il problema delle sofferenze. La Sareb ha un patrimonio di 4,8 miliardi (1,2 miliardi di capitale più 3,6 miliardi di prestiti subordinati) versata per il 45% dal Frob e per il 55% da 27 soggetti privati. Nell’ambito di questi ultimi, due dei maggiori gruppi bancari spagnoli (Santander e Caixa) detengono quasi il 30% del capitale totale. Viceversa, il Bbva risulta assente. La seconda ipotesi per il salvagente italiano viene dal centro studi Astrid. Prevede la cartolarizzazione delle sofferenze bancarie in pacchetti di titoli che poi potrebbero essere acquistati dalla Bce nell’ambito del quantitative easing. Ovviamente dovrebbe esistere la garanzia dello stato italiano in caso di perdite. La terza via che fa trapelare il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, quando parla di un accordo da fare con Bruxelles sugli aiuti di stato, è quella di un sistema di sgravi fiscali per facilitare l’uscita delle sofferenze dalle banche.

CONTABILIZZAZIONE DELLE PERDITE

In tutti i casi rimane il problema della contabilizzazione delle eventuali perdite nel bilancio dello stato. Sono investimenti e quindi possono avere margini di tolleranza molto larghi, oppure vanno a incidere sul rapporto deficit/ Pil, che invece non può superare il 3% Se i benefici per le banche sono evidenti (si toglie di mezzo la montagna di soffererenze) c’è da capire che cosa accade a imprese e famiglie: l’accesso al credito sarà più facile dopo che negli ultimi due anni i finanziamenti sono scesi di 60 miliardi? La risposta è generalmente positiva ma non è detto che tutto fili liscio. Spiegano gli esperti: se la bad band offre esclusivamente garanzie, non affluisce liquidità perché le banche ottengono solo la disponibilità del capitale impiegato per la copertura delle sofferenze. Se la bad bank paga i crediti, ci sarà maggior facilità di aprire i rubinetti del credito. Oggi il problema non è la liquidità, che sta arrivando dalla Bce a fiumi, quanto il capitale. Le banche oggi sono paralizzate. La ripresa è stata tante volte annunciata ma non è mai arri vata. Se anche adesso ci fosse una falsa partenza? Ecco perché il quantitative easing potrebbe non servire. Gli stimoli monetari hanno poca attinenza con l’economia reale. Non si riduce il profilo di rischio delle banche, per le quali oggi ogni credito è una minaccia. Lo scenario cambierebbe se le imprese avessero accesso diretto alla liquidità immessa dalla Bce attraverso i bond. Oggi le banche sono avverse al rischio e qualsiasi cosa è vista in negativo, mentre l’imprenditore è ottimista per natura.


Autore: Nino Sunseri
Fonte:
Banca Finanza

Credit Village è oggi il punto di incontro e riferimento - attraverso le sue tre aree, web, editoria, eventi - di professionisti, manager, imprenditori e operatori della gestione del credito. Nasce nel 2002 con l’intento di diffondere anche in Italia, così come avveniva nel mondo anglosassone, la cultura del Credit e Collection Management.