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Chi è incagliato e chi no

II problema delle sofferenze bancarie, per le dimensioni, la dinamica e le caratteristiche settoriali che ha assunto, richiede un’attenzione profonda che va al di là del loro congelamento in una sorta di bad bank. La bad bank, sia in versione pesante sia nella versione light indicata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che peraltro non ne ha tracciato i confini, sarebbe comunque una soluzione ponte, volta a isolare il credito ammalorato da quello sano, al fine di liberare capitale e risorse. Nel frattempo, attraverso la bad bank, si procederebbe alla liquidazione dei crediti, ovvero alla loro rimessa in bonis. Ma perché la bad bank non può bastare? Perché ci troviamo di fronte a un fenomeno eccezionale, determinato da una crisi economica praticamente ininterrotta dal 2008. In valore assoluto, le sofferenze lorde sono passate dai 107 miliardi di euro del 2011 ai 185 miliardi di gennaio scorso, con un incremento del 73%. Rispetto al gennaio 2014, l’incremento è stato di 25 miliardi, pari all’1,6% del pil. Il fenomeno tende a stabilizzarsi, visto che le sofferenze erano cresciute di 17 miliardi nel corso del 2012 e poi di 31 miliardi nel corso del 2013. Rispetto al 2011, sono passate da 10 a 15 miliardi di euro per la famiglie consumatori (+50%), da 24 a 35 miliardi per le famiglie produttori (+37%) e da 70 a 132 miliardi per le società non finanziarie (+89%).

Le maggiori criticità sono cresciute prevalentemente nel settore produttivo, mentre le famiglie hanno mostrato maggiore resilienza, e soprattutto sono concentrate nelle aziende appartenenti a tre branche di attività economica. A dicembre 2014, su un totale di 146 miliardi di sofferenze di pertinenza del settore produttivo, l’intera industria manifatturiera presentava sofferenze lorde per 36 miliardi rispetto ai 210 miliardi di prestiti erogati ( 17%). Invece, il comparto delle costruzioni presentava sofferenze per 39 miliardi rispetto ai 154 miliardi di prestiti erogati (25%), quello immobiliare sofferenze per 18 miliardi rispetto ai 119 miliardi di prestiti erogati (15%). Infine, il comparto del commercio e della riparazione di autoveicoli aveva sofferenze per 25 miliardi rispetto ai 142 miliardi di prestiti erogati (16%). La somma delle sofferenze nei comparti legati ai settori della casa e dell’auto è stato di 82 miliardi di euro, mentre tutto il resto del sistema produttivo nazionale ne ha accumulate per 64 miliardi. Se andiamo a controllare il valore della produzione ai prezzi base di ciascuna delle predette branche di attività, vediamo che nel 2012 (l’ultimo anno disponibile) quello delle costruzioni è stato di 230 miliardi di euro, cifra che va rapportata ai 39 miliardi di sofferenze (incidenza del 17%). L’immobiliare ha registrato un valore del prodotto di 227 miliardi, da comparare con i 18 miliardi di sofferenze (incidenza dell’8%), mentre nel comparto del commercio e riparazione degli auto e motoveicoli la produzione di 37 miliardi di euro va compara con sofferenze pari a ben 25 miliardi (incidenza pari al 68%). In questo caso ci si trova di fronte a un collasso sistemico.

I tre settori considerati hanno cumulato quindi un valore della produzione di 494 miliardi di euro rispetto ad un valore per il complesso dell’intera economia pari a 3.132 miliardi: pur rappresentando appena il 15,7% del fatturato nazionale, hanno accumulato ben il 55% del totale delle sofferenze bancarie. C’è quindi una prima correlazione che va fatta: si sono fortemente deteriorati i crediti nei settori legati alla produzione di beni capitali e di consumo durevole, casa ed auto, per via della minore propensione delle famiglie ad acquistarli e ad indebitarsi a tal fine. Nel settore dell’auto, le immatricolazioni sono infatti calate di un milione di unità, passando da 2.490 mila vetture del 2007 a 1.360 mila del 2014: il mercato è crollato del 40%. Nel settore delle costruzioni, gli investimenti fissi lordi a prezzi costanti sono passati dai 169 miliardi di euro del 2010 ai 131 miliardi dell’anno scorso: ipotizzando una stazionarietà degli investimenti, la perdita accumulata è stata di circa 96 miliardi di euro. Anche tenendo conto della recente crescita dei mutui per surroga, il volume dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è passato dai 366 miliardi del 2011 ai 357 miliardi di fine 2014. Il credito al consumo è passato nello stesso periodo da 64 a 60 miliardi, mentre gli altri prestiti sono calati da 186 a 180 miliardi. La contrazione totale del credito alle famiglie è stata di 20 miliardi di euro, dinamica che ha inciso sia sull’acquisto di abitazioni sia di beni di consumo durevole. Rispetto all’universo delle sofferenze bancarie, siamo innanzitutto di fronte a un livello di concentrazione settoriale molto rilevante, che giustifica interventi peculiari, finanziari e di politica economica. Occorre rimpiazzare i driver economici consunti con altri più sostenibili ed attenti alle esigenze della collettività, migliorando il trasporto collettivo e intervenendo a favore del riuso dei volumi già edificati e della tutela del suolo.

Servono politiche attive: una bad bank purchessia, non è di per sé una soluzione. Occorrono politiche di consolidamento e di riconversione e interventi altrettanto mirati. Rimedi sbrigativi, come l’accelerazione delle procedure fallimentari, o peggio ancora soluzioni extragiudiziali, possono produrre guasti immensi, sotto il profilo della stabilità sociale e della sicurezza nazionale. Siamo di fronte a sofferenze lorde di importo superiore al 10% del pil, somma che non considera i crediti ristrutturati. Una loro cessione in blocco, seguita da procedure liquidatorie, assesterebbe un pesantissimo colpo alla ripresa economica, determinerebbe la spoliazione irreversibile di centinaia di migliaia di imprenditori e di proprietari, aprirebbero occasioni imperdibili al ricucio di denaro sporco e alla espansione della criminalità organizzata. Ci sono poi altri quattro aspetti da tenere presenti. In primo luogo, il saldo primario della Pa, pari all’1,6% del pil quest’anno e all’1,7% nel 2016, determinerà nel biennio un esborso netto da pagamento di interessi pari a 54 miliardi di euro, di cui ü 66% di pertinenza di istituzioni e di famiglie residenti in Italia. Il Qe, che dovrebbe durare fino a settembre del 2016, immetterà circa 140 miliardi di risorse con l’acquisto di titoli del debito pubblico o di istituzioni di interesse pubblico, in grado di bilanciare l’incremento del deficit pubblico nel medesimo biennio, evitando che il risparmio privato sia distratto a questo fine. In terzo luogo, il flusso di nuovo risparmio delle famiglie ha ripreso a crescere: dopo otto anni di diminuzioni, nel 2013 è stato pari a 46 miliardi di euro contro i 34 dell’anno precedente. Infine, è in atto una riallocazione del risparmio nazionale, che sta trascurando il sistema bancario per allocarsi nel sistema dei Fondi: nel 2014, la raccolta netta di questi ultimi è stata di 140 miliardi di euro, mentre quella bancaria a medio e lungo termine è diminuita di 68,5 miliardi, pari al -13,5% rispetto al febbraio del 2014. Non c’è carenza di nuovo risparmio, né questo è drenato dal finanziamento del deficit pubblico, ma il settore bancario rischia di rimanere schiacciato tra il peso delle sofferenze e la contrazione della raccolta a medio lungo termine. Occorre intervenire, anche fiscalmente, per attribuire un vantaggio consistente all’investimento nell’economia reale, quello che crea reddito e occupazione, sia che venga effettuato dalle imprese sia che venga mediato dal credito bancario, rispetto agli impieghi finanziari sui mercati. Constatiamo, invece, che molte banche, talune fra le più grandi, sembra non avere nessuna voglia di tornare a svolgere prevalentemente attività creditizia. Occorre reindirizzare il risparmio verso nuovi investimenti produttivi: i capitali stranieri si limitano a comprare ciò che è già stato realizzato, mentre c’è bisogno di creare nuova base produttiva diffusa nell’ambito di nuove strategie di crescita. Il governo non ha molto tempo: con il Def di fine aprile deve essere tutto pronto.


Autore: Guido Salerno Aletta
Fonte:

Milano Finanza

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