Diventare uno dei poli aggreganti del sistema bancario italiano. È questo l’obiettivo esplicito che il Banco Popolare ha davanti a sé. A riconoscerlo è lo stesso Cda della banca veronese, che in una lettera del Cda inviata ai soci estratta dal bilancio consolidato 2014, riconosce che, complice il decreto di trasformazione in Spa delle Popolari voluto dal governo Renzi, si è aperta «una delicatissima fase di transizione».
Una fase che potrà concludersi o « con l’approdo» del Banco «in un grande gruppo bancario non italiano» o «aggiungendosi ai due maggiori gruppi nazionali», Unicredit e Intesa Sanpaolo. Per diventare una «grande banca autonoma in forma di Spa», dice il Cda del Banco, non si potrà prescindere quindi da «intelligenti aggregazioni» così da generare «economie di scala e scopo». «Concretizzare questo esito è il compito» del Banco Popolare. Sia chiarori giudizio sul decreto che trasforma le prima dieci banche popolari in società per azioni rimane «negativo» per il «metodo e il merito». Tuttavia, si legge nella lettera, dal momento della sua presentazione «la vita della nostra banca è profondamente e definitivamente mutata». A partire da quel giorno la banca, che fino ad allora era « impossedibile», ora è diventata «suscettibile di take over ostili» e «la sua autonomia» è divenuta «un premio da guadagnare». Per farlo, insomma, bisogna «accelerare» sul piano industriale così da «avvicinare rapidamente la struttura di costi e ricavi» e «i ritorni sul capitale» delle «migliori banche» senza peraltro «ripudiare la propria identità commerciale e localistica» di banca vicina alle famiglie e alle imprese del territorio. Per riuscire nell’impresa serve »uno sforzo corale e condiviso» di tutti coloro che lavorano per il Banco mentre « nessun ulteriore sacrificio» potrà essere chiesto agli azionisti, re duci da due aumenti di capitale negli ultimi anni. Il cda parla di« segnali incoraggianti» derivanti dai “progressi» della gestione ordinaria e dalla possibilità che alcuni asset, come la quota in Icbpi, «possano essere convenientemente valorizzati». Se è dunque «assolutamente necessario» un ritorno alla profittabilità nel 2015 «questo non ci porterebbe comunque lontano» se «il Banco non fosse in grado di muoversi con determinazione e coralità nella direzione strategica sopraindicata», cioè quella di correre per la creazione di un terzo grande polo bancario italiano.
Intanto, sul fronte della riforma, va registrata l’opinione positiva degli analisti rispetto all’intesa parlamentare per l’inserimento di un tetto transitorio al 5% per i diritti di voto dopo la trasformazione in Spa. Gli analisti di Barclays danno una valutazione favorevole alla riforma, dato che «cambiamenti nella governance delle Popolari faciliteranno il consolidamento del settore bancario italiano, allineando questi istituti al modello di governance delle altre banche quotate».
Autore: Luca Davi
Fonte:
Il Sole 24 Ore
Diventare uno dei poli aggreganti del sistema bancario italiano. È questo l’obiettivo esplicito che il Banco Popolare ha davanti a sé. A riconoscerlo è lo stesso Cda della banca veronese, che in una lettera del Cda inviata ai soci estratta dal bilancio consolidato 2014, riconosce che, complice il decreto di trasformazione in Spa delle Popolari voluto dal governo Renzi, si è aperta «una delicatissima fase di transizione».
Una fase che potrà concludersi o « con l’approdo» del Banco «in un grande gruppo bancario non italiano» o «aggiungendosi ai due maggiori gruppi nazionali», Unicredit e Intesa Sanpaolo. Per diventare una «grande banca autonoma in forma di Spa», dice il Cda del Banco, non si potrà prescindere quindi da «intelligenti aggregazioni» così da generare «economie di scala e scopo». «Concretizzare questo esito è il compito» del Banco Popolare. Sia chiarori giudizio sul decreto che trasforma le prima dieci banche popolari in società per azioni rimane «negativo» per il «metodo e il merito». Tuttavia, si legge nella lettera, dal momento della sua presentazione «la vita della nostra banca è profondamente e definitivamente mutata». A partire da quel giorno la banca, che fino ad allora era « impossedibile», ora è diventata «suscettibile di take over ostili» e «la sua autonomia» è divenuta «un premio da guadagnare». Per farlo, insomma, bisogna «accelerare» sul piano industriale così da «avvicinare rapidamente la struttura di costi e ricavi» e «i ritorni sul capitale» delle «migliori banche» senza peraltro «ripudiare la propria identità commerciale e localistica» di banca vicina alle famiglie e alle imprese del territorio. Per riuscire nell’impresa serve »uno sforzo corale e condiviso» di tutti coloro che lavorano per il Banco mentre « nessun ulteriore sacrificio» potrà essere chiesto agli azionisti, re duci da due aumenti di capitale negli ultimi anni. Il cda parla di« segnali incoraggianti» derivanti dai “progressi» della gestione ordinaria e dalla possibilità che alcuni asset, come la quota in Icbpi, «possano essere convenientemente valorizzati». Se è dunque «assolutamente necessario» un ritorno alla profittabilità nel 2015 «questo non ci porterebbe comunque lontano» se «il Banco non fosse in grado di muoversi con determinazione e coralità nella direzione strategica sopraindicata», cioè quella di correre per la creazione di un terzo grande polo bancario italiano.
Intanto, sul fronte della riforma, va registrata l’opinione positiva degli analisti rispetto all’intesa parlamentare per l’inserimento di un tetto transitorio al 5% per i diritti di voto dopo la trasformazione in Spa. Gli analisti di Barclays danno una valutazione favorevole alla riforma, dato che «cambiamenti nella governance delle Popolari faciliteranno il consolidamento del settore bancario italiano, allineando questi istituti al modello di governance delle altre banche quotate».
Autore: Luca Davi
Fonte:
Il Sole 24 Ore