Scelti per voi

Cosi’ uccidono il credito

Lehman Brothers non è fallita perché faceva molti prestiti alle imprese. Faceva invece molta finanza strutturata, in particolare quella legata all’immobiliare.Rispetto al 2008 lo scenario si è capovolto.

La crisi finanziaria è diventata una crisi economica e del debito sovrano in Eurozona. Così oggi le banche d’investimento sono tornate a fare utili (e in certi casi a commettere illeciti come la manipolazione del Libor o dei tassi di cambio) , mentre le banche commerciali, la cui attività principale è quella di prestare, hanno redditività minima o sono in perdita.

Si attiva così un circolo vizioso difficile da invertire: le banche commerciali, che hanno sempre più crediti deteriorati nei bilanci, riducono i finanziamenti, mettendo in difficoltà imprese e famiglie.

L’economia va in panne. In questo scenario la mazzata finale può arrivare dalla regolamentazione che, pur con l’intenzione di migliorare la sicurezza del sistema finanziario, introduce normative con effetto prociclico.

Le differenze tra istituti commerciali e di investimento sono state evidenziate dall’Abi nel rapporto sul mercato bancario europeo. La redditività media delle maggiori 140 banche del continente è pari al 2.7% ma per i gruppi di investimento il dato arriva al 4.2%, mentre per quelli tradizionali si ferma allo 0.7%.

Il Roe delle maggiori cinque banche italiane è addirittura negativo (-2.3% con un Roe operativo pari a -1.4%).

Le banche commerciali stanno riducendo i costi, ma questa flessione è di fatto pari al calo dei ricavi. La mazzata è arrivata l’anno scorso dalle rettifiche sul credito che in Italia hanno toccato il picco di 31.4 miliardi, un valore molto elevato se si considera che la media è stata di 7 miliardi nel periodo 1997-2007.

Gli accantonamenti sui prestiti deteriorati hanno assorbito la metà dei ricavi dell’anno scorso (9% del 2007). E’ questo il prezzo pagato per la recessione, che ha ridotto le capacità delle imprese di rimborsare i prestiti.

L’impatto si è fatto sentire sulle banche italiane, che hanno impieghi attorno al 62% dell’attivo, contro il 44% medio in Europa e il 34% delle banche d’investimento. Questi dati spiegano perché il punto di forza degli istituti del Paese durante la crisi dei subprime, ovvero la bassa esposizione alla finanza strutturata, sia diventato oggi uno svantaggio.

Le altre attività finanziarie sono il 26% dell’attivo delle grandi banche italiane (di cui 11% derivati) contro il 43% delle investment bank (di cui 33% derivati).

Le difficoltà legate all’economia sono poi ulteriormente accentuate dalla regolamentazione, che sta avendo un occhio di riguardo per il credito. Sembra un paradosso ma è proprio quello che è già avvenuto con l’asset quality review, che ha fatto le pulci soprattutto ai portafogli creditizi.

Le correzioni imposte dall’esame sui prestiti sono state pari a 43 miliardi per le banche europee, contro i 4.6 miliardi su derivati e titoli illiquidi.

Alle banche tradizionali è stato quindi richiesto, in proporzione, un maggiore sforzo patrimoniale: non è un problema solo per gli istituti ma per tutto il Paese, perché una maggiore richiesta di capitale riduce gli spazi per il finanziamento dell’economia reale.

La penalizzazione per il credito non è finita con asset quality review e stress test. Gli indici di capitale delle banche (come il common equity tier 1) continueranno a essere calcolati con ponderazioni che penalizzano il  modello di business commerciale (in attesa che ci siano revisioni dei criteri, come promesso dal Comitato di Basilea).

L’Abi per esempio ha calcolato che sui mutui occorre alle banche italiane il 27% di capitale in più in valore assoluto per avere gli stessi indici patrimoniali ponderati delle altre banche europee, che spesso beneficiano di più basse ponderazioni (soprattutto in Francia e in Germania).

Inoltre presto ci saranno regole più stringenti per definire un credito deteriorato: ciò potrebbe portare ad un ulteriore aumento dei prestiti dubbi.

L’Abi ha evidenziato due novità in particolare che potranno avere un impatto rilevante. Innanzitutto, secondo il nuovo principio contabile Ifrs 9, varato dallo Iasb, si dovranno considerare non solo le perdite registrate ma anche quelle attese. Inoltre l’Eba ha aperto una consultazione che, se approvata, chiederà alle banche di indicare come “scaduti” i crediti di un debitore che non rimborsi entro 90 giorni una parte una parte contenuta dal debito (500 euro o il 2% dell’esposizione, invece dell’attuale 5%).

Anche il trattamento dei crediti in una moratoria potrebbe essere rivisto, mettendo a rischio la prosecuzione dei programmi finora lanciati per imprese e famiglie.

La stretta sui crediti deteriorati potrebbe quindi vanificare il lieve rallentamento delle sofferenze, mentre anche la ripresa economica fatica a consolidarsi. “E’ importante che gli organi di vigilanza coniughino al meglio l’esigenza di tutelare la solidità del settore con quella di promuovere un adeguato flusso di credito all’economia reale” ha scritto l’Abi nel rapporto. “Il rischio più grande per le banche controllate dal Meccanismo unico di vigilanza (Ssm) è quello della reddittività”, ha detto nei giorni scorsi Daniele Nouy, presidente del Consiglio di supervisione Bce.

Per le banche commerciali questa sfida è più difficile da vincere. Un problema di rilievo per la ripresa economica.


Fonte:

Milano Finanza

Credit Village è oggi il punto di incontro e riferimento - attraverso le sue tre aree, web, editoria, eventi - di professionisti, manager, imprenditori e operatori della gestione del credito. Nasce nel 2002 con l’intento di diffondere anche in Italia, così come avveniva nel mondo anglosassone, la cultura del Credit e Collection Management.