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Mercato fermo per le sofferenze bancarie in Italia

Mai come ora le banche italiane, schiacciate da 177 miliardi di sofferenze, ne avrebbero un gran bisogno. Poterli vendere, liberandosi del pesante fardello. Ma il mercato di compravendite dei crediti malati di fatto non c’è. Certo qualcosa si muove come l’iniziativa di ieri del fondo da 500 milioni di 5 Popolari italiane, ma è una goccia nel mare.

I dati di PricewaterhouseCooper’s sono impietosi: in Europa nel primo semestre del 2014 sono state realizzate transazioni per 87 miliardi. Ebbene l’Italia ha contribuito per soli 3 miliardi, distante anni luce dai mercati di Irlanda (27 miliardi di operazioni); ma anche di Spagna e Germania, paese quest’ultimo le cui banche non sono certo afflitte dalla mole di sofferenze del sistema italiano. Che non conta solo i 177 miliardi di sofferenze lorde, ma assomma ben 300 miliardi di crediti deteriorati. Un quinto dei prestiti del sistema bancario italiano a imprese e famiglie rischia di non essere recuperabile.

In parte è stato svalutato, in parte ancora dovrà esserlo. Ne sa qualcosa Dino Crivellari, ad di Uccmb, la banca specializzata nel settore di UniCredit che è in procinto di essere venduta: «I crediti deteriorati non smettono di crescere è un tema molto complesso e ci vorranno oltre io anni per risanarli». Anche per Fabio Balbinot, ad di Italfondiario altro operatore specializzato nel mercato degli Npl, «Il mercato resta bloccato anche dopo gli esami della Bce, impedendo alle banche di scaricare a valle il fardello di 177 miliardi di sofferenze lorde che pesa sui bilanci e frena la capacità di erogare nuovo credito».

Sulla stessa lunghezza d’onda Riccardo Serrini, l’ad di Prelios Credit servicing che qualche tempo fa ha ricordato che «il mercato dovrebbe crescere più velocemente, dovrebbe raggiungere almeno i 15 miliardi l’anno come volumi, mentre il 2014 si chiuderà con al massimo 6 miliardi». A tenere bloccato il mercato è il gap tra domanda e offerta e di fatto il prezzo. Gli operatori specializzati non vanno in media oltre il 10% del valore delle sofferenze, mentre ovviamente le banche vorrebbero vendere a prezzi più elevati, almeno il 20%, spiega un altro operatore. Una distanza che rimane per ora incolmabile.

Del resto per le banche il problema non è di poco conto. Tutte sono state costrette ad alzare il tasso di copertura dei crediti deteriorati. Oggi gli accantonamenti coprono tra il 40 e il 50% del monte sofferenze e incagli. Ma è ovvio che se vendi a 10 o anche a 20 un credito malato finisce che devi iscrivere a bilancio nuove rettifiche oltre a quelle già previste. E dato che le svalutazioni sui crediti si mangiano già oggi mediamente il 50% dei ricavi, produrre nuove rettifiche porterebbe a risultati netti sempre più poveri. D’altro canto anche i possibili compratori hanno tutto l’interesse ad acquisire la spazzatura dei crediti bancari al prezzo più basso possibile. Spesso vanno a debito e inoltre i tempi di recupero dei crediti in Italia sono biblici. Dice Serrini: «Nel Regno Unito la vita media di un portafoglio Npl è di 18 mesi, in Italia si viaggia sui 4 anni se non di più». Troppo tempo per recuperare, fa sì che il prezzo d’acquisto debba essere necessariamente più basso in Italia che non nel resto d’Europa. Ecco perché quel gap di prezzo così ampio tra domanda e offerta rischia di non essere passeggero. E di tenere bloccato il mercato ancora per lungo tempo.


Autore: Fabio Pavesi
Fonte:

Il Sole 24 Ore

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