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L’ansia del debitore e il processo (farsa) per danno esistenziale

Se sono ossessionato da un creditore posso trascinarlo in tribunale e chiedere un risarcimento per danno esistenziale?

È la domanda che si pone un utente, il classico signor Rossi, di fronte alle continue sollecitazioni della società fornitrice di energia elettrica per il pagamento di una bolletta da 90 euro. Con l’incubo per giunta di restare da un momento all’altro al buio. «Tu non paghi? — potrebbe dire il fornitore – E io ti stacco la corrente». Una tale insistenza, ragiona il sig. Rossi, rappresenta una lesione del diritto alla qualità della vita nonché all’estrinsecazione della mia personalità. Sono vittima di una sindrome ansiosa depressiva. E si rivolge al giudice di pace. Il quale risponde dando ragione al consumatore e condannando la società fornitrice al versamento di mille euro, a titolo di riparazione dell’ansia causata al sig. Rossi. Be’, una sorprendente vittoria, non vi pare? Macché. La società elettrica ricorre, arriva fino in Cassazione. Fermi tutti: la Suprema Corte osserva che il danno esistenziale non è riconoscibile perché non risulta provato. Insomma il nesso fra la sindrome del sig. Rossi e il comportamento della società fornitrice di luce è indimostrabile (sentenza 1362/2014). Niente indennizzo. Conclusione: che siano della luce, del gas o del telefono, è meglio pagare le bollette alla data di scadenza. Sono sconsigliati i percorsi psicologici per giustificare un eventuale ritardo.

 


Autore: Antonio Lubrano
Fonte:

Il Corriere della Sera

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