I lavoratori dei call center, almeno 7mila, sono scesi in piazza il 4 giugno, giorno dello sciopero unitario della categoria. Il corteo è partito da piazza della Repubblica per portare i lavoratori in mobilitazione a piazza Santi Apostoli.
I lavoratori chiedono dignità per un settore che vede occupati 80 mila addetti, tra cui tantissimi giovani, donne, soprattutto del Mezzogiorno. Chiedono che le tutele previste per il comparto in Europa vengano rispettate anche in Italia. La Slc Cgil parla di migliaia di persone arrivate a Roma per protestare, con oltre 50 pullman partiti da tutta Italia. Il settore occupa circa 80 mila persone in tutta Italia.
«Siamo noi, quelli che vi rispondono italiano siamo noi», è il coro che viene intonato dai manifestanti come protesta alla pratica di delocalizzazione e al dunping verso le società estere. Diffusa è infatti la pratica di molte imprese di appaltare i servizi di call center a società straniere per abbattere i costi. È questo uno dei motivi principali della protesta, come conferma uno degli striscioni dei manifestanti in cui si legge “delocalizzare è tradire”.
«Nessuno da piccolo sceglie di lavorare in un call center», racconta Anna, una lavoratrice di Palermo della società Almaviva (una delle più grandi in Italia) che partecipa al corteo. «Io e molti altri abbiamo cominciato dieci anni fa come ‘lavoretto’ che poi si è trasformato in un lavoro vero e proprio. Adesso abbiamo quasi quarant’anni e rischiamo il posto di lavoro a causa delle delocalizzazioni e del dumping. Ed è difficile trovare un altro lavoro a 40 anni, soprattutto in alcune realtà come quella della Sicilia in cui di lavoro ce n’è già poco».
Michele Azzola, della Slc Cgil, chiede al Governo «politiche industriali e il recepimento di una politica europea che tutela i lavoratori nei cambi di appalto, impedendo che i dipendenti vengano lasciati per strada». Molti degli striscioni alzati in occasione della mobilitazione, che coincide con lo sciopero nazionale unitario, il primo del comparto, riportano lo slogan: “No alla delocalizzazione”. È infatti il pericolo di spostamenti all’estero delle aziende, in paesi come l’Albania, che ha fatto scendere oggi in piazza i lavoratori dei call center.
«È un settore trascurato e vilipeso». Così il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che ha partecipato alla protesta della categoria, ha definito il comparto dei call center che, ha ricordato, conta «80 mila addetti, per un fatturato che supera 1,3 miliardi di euro». Damiano ha sottolineato come «dopo le stabilizzazioni avvenute nel 2007 sotto il Governo Prodi, non ci sono stati altri interventi, che ora bisogna tornare a fare». E ha aggiunto come con “le delocalizzazioni” e “le gare al ribasso” sul posto di lavoro anche “la privacy non è più garantita”.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
I lavoratori dei call center, almeno 7mila, sono scesi in piazza il 4 giugno, giorno dello sciopero unitario della categoria. Il corteo è partito da piazza della Repubblica per portare i lavoratori in mobilitazione a piazza Santi Apostoli.
I lavoratori chiedono dignità per un settore che vede occupati 80 mila addetti, tra cui tantissimi giovani, donne, soprattutto del Mezzogiorno. Chiedono che le tutele previste per il comparto in Europa vengano rispettate anche in Italia. La Slc Cgil parla di migliaia di persone arrivate a Roma per protestare, con oltre 50 pullman partiti da tutta Italia. Il settore occupa circa 80 mila persone in tutta Italia.
«Siamo noi, quelli che vi rispondono italiano siamo noi», è il coro che viene intonato dai manifestanti come protesta alla pratica di delocalizzazione e al dunping verso le società estere. Diffusa è infatti la pratica di molte imprese di appaltare i servizi di call center a società straniere per abbattere i costi. È questo uno dei motivi principali della protesta, come conferma uno degli striscioni dei manifestanti in cui si legge “delocalizzare è tradire”.
«Nessuno da piccolo sceglie di lavorare in un call center», racconta Anna, una lavoratrice di Palermo della società Almaviva (una delle più grandi in Italia) che partecipa al corteo. «Io e molti altri abbiamo cominciato dieci anni fa come ‘lavoretto’ che poi si è trasformato in un lavoro vero e proprio. Adesso abbiamo quasi quarant’anni e rischiamo il posto di lavoro a causa delle delocalizzazioni e del dumping. Ed è difficile trovare un altro lavoro a 40 anni, soprattutto in alcune realtà come quella della Sicilia in cui di lavoro ce n’è già poco».
Michele Azzola, della Slc Cgil, chiede al Governo «politiche industriali e il recepimento di una politica europea che tutela i lavoratori nei cambi di appalto, impedendo che i dipendenti vengano lasciati per strada». Molti degli striscioni alzati in occasione della mobilitazione, che coincide con lo sciopero nazionale unitario, il primo del comparto, riportano lo slogan: “No alla delocalizzazione”. È infatti il pericolo di spostamenti all’estero delle aziende, in paesi come l’Albania, che ha fatto scendere oggi in piazza i lavoratori dei call center.
«È un settore trascurato e vilipeso». Così il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che ha partecipato alla protesta della categoria, ha definito il comparto dei call center che, ha ricordato, conta «80 mila addetti, per un fatturato che supera 1,3 miliardi di euro». Damiano ha sottolineato come «dopo le stabilizzazioni avvenute nel 2007 sotto il Governo Prodi, non ci sono stati altri interventi, che ora bisogna tornare a fare». E ha aggiunto come con “le delocalizzazioni” e “le gare al ribasso” sul posto di lavoro anche “la privacy non è più garantita”.
Fonte:
Il Sole 24 Ore