Il contratto di factoring – contratto ancora oggi considerato atipico nonostante l’intervento legislativo effettuato con la legge 21 febbraio 1991, n. 52, che lo ha disciplinato – è definito come l’accordo con cui un imprenditore cede o si impegna a cedere la totalità o parte dei crediti derivanti dall’esercizio della sua attività imprenditoriale ad altro imprenditore (il c.d. factor), il quale, dietro corrispettivo, si impegna a fornire al cedente una serie di servizi accessori (quali, ad esempio, la gestione, la contabilizzazione e l’incasso dei crediti; l’assunzione del rischio di insolvenza del debitore, etc).
Il contratto di factoring per la Cassazione
Al riguardo la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che: «Il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella l. 21 febbraio 1991 n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli art. 1260 ss. del codice civile – attuata mediante la cessione, pro solvendo o “pro soluto”, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario (factor), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto». (Cassazione, sezione terza civile, 08/02/2007, n. 2746).
L’elemento centrale del contratto di factoring, dunque, è costituito dalla cessione dei crediti; cessione che, a seconda dello schema contrattuale adottato dalle parti, potrà avere efficacia immediatamente traslativa ovvero meramente obbligatoria (nell’ipotesi che oggetto di cessione siano crediti futuri).
La cessione dei crediti futuri
Il presente contributo intende soffermarsi sulla problematica della efficacia della cessione di crediti futuri nei confronti del creditore pignorante, tentando, sulla scorta degli arresti della Suprema Corte e della disciplina positiva introdotta dalla legge 52 del 1991, di individuare le condizioni in presenza delle quali la cessione di crediti futuri sia opponibile al creditore pignorante.
L’articolo 1265 cod. civ., come è noto, nel disciplinare la efficacia delle cessione di credito nei confronti di terzi dispone che «se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché sia di data posteriore».
L’articolo 2914, n. 2, cod. civ., a sua volta, dispone che «non hanno effetto nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento
2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento».
In sostanza, a mente delle citate disposizioni del codice sostanziale (storicamente dettate con riferimento alla fattispecie della cessione di crediti già esistenti e, dunque, avente efficacia immediatamente traslativa), il conflitto tra cessionari, ovvero tra il cessionario ed il creditore pignorante (o la curatela fallimentare) trova soluzione sulla base del criterio della prevalenza della cessione notificata al debitore ceduto o da questi accettata prima, ovvero notificata (o accettata) prima del pignoramento.
Il regime antecedente alla legge 52/1991
A tale proposito si osserva come la sezione prima civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 1996, n. 9997, ebbe a pronunciarsi su una fattispecie precedente alla entrata in vigore della legge 52 del 1991, sulla questione se ai fini della opponibilità al fallimento di una cessione di crediti futuri fosse sufficiente la notifica al debitore ceduto del “contratto quadro” di factoring (ad effetto traslativo differito), ovvero fosse necessaria, prima della dichiarazione di fallimento, la notifica o l’accettazione da parte del debitore ceduto di ciascun credito successivamente al suo sorgere.
La suprema Corte, con la sentenza in discorso, aveva statuito che «il problema posto dalla presente controversia . . . è quello di verificare se, in caso di cessione di crediti futuri, per l’opponibilità al fallimento sia sufficiente l’accettazione o la notifica, avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, della cessione o non sia anche necessaria una accettazione o notifica, sempre avente data certa, di ciascun credito, successivamente al suo sorgere.
Il problema impostato non ha ovviamente nulla a che fare con quello della validità della cessione dei crediti futuri tra le parti, ormai ammessa pacificamente nella giurisprudenza di questa Corte (a partire dalle sent. 1277-62, 184-66, 1209-66 alle più recenti 3099-95, 8497-94, 11516-93, 4040-90) e oggetto di esplicita disciplina legislativa (art. 3 legge n. 52 del 1991), nè con quello della individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo, essendo altrettanto pacifico che tale effetto si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza e che pertanto la cessione di cui si discute, a differenza di quella di crediti già esistenti, ha effetti meramente obbligatori.
La questione che si pone è invece quella della opponibilità della cessione di crediti futuri rispetto ai terzi, questione che la sentenza impugnata ha risolto nel senso della insufficienza della notifica e della accettazione del solo contratto di cessione. Tale conclusione deve essere sostanzialmente condivisa, tenendo presente che nella specie, come risulta dal ricorso (pag 3), la cessione dei crediti futuri si inseriva in un’operazione di factoring, perfezionatasi attraverso la sottoscrizione di un “contratto-quadro”, in attuazione del quale la O. aveva proceduto alla “segnalazione” del debitore ceduto e a ulteriori cessioni.
Non è certamente decisiva per la soluzione del problema la lettera dell’art. 1265 c.c., che prevede la notifica o l’accettazione della “cessione”, perché è evidente che il legislatore non ha tenuto presente la fattispecie della cessione di crediti futuri (oggetto di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinarie di epoca successiva alla elaborazione del codice), ad effetti meramente obbligatori, ma la cessione di crediti già esistenti, che ha immediata efficacia traslativa, onde notifica e accettazione della cessione coincide con la trasmissione o l’acquisizione della conoscenza del credito. Occorre piuttosto tenere presente la ratio dell’art. 1265 (e dell’art. 2914, n.2), che nel disciplinare l’opponibilità della cessione, al fine di risolvere i conflitti tra i terzi, richiede il requisito della certezza della data della notifica e dell’accettazione, per contemperare le esigenze di facile circolazione dei crediti con quella di tutela dei terzi. Entrambe le esigenze sarebbero del tutto frustrate se fosse seguita la tesi della ricorrente che difatti è costretta ad ammettere che, per accertare quali crediti siano venuti ad esistenza prima del pignoramento (o del fallimento), occorrerebbe affidarsi alla dichiarazione del debitore ceduto o alle scritture contabili del fallito, e, in caso di contestazione, all’accertamento giudiziario. Deve in conclusione ritenersi che per poter opporre al fallimento la cessione di crediti futuri sia necessario non solo che i crediti, sorti dopo il perfezionamento della cessione, siano comunque anteriori al fallimento, ma che prima di tale data siano divenuti esigibili (sent. 11516-93; il che, per altro verso, richiama l’esigenza di una loro specifica notifica o accettazione ex art. 1264 c.c.) ma anche che siano stati singolarmente notificati o accettati dal debitore con atto avente data certa».
La Suprema Corte, dunque, con la citata sentenza, aveva ritenuto che la opponibilità della cessione di crediti futuri al fallimento, postulasse, non solo che i crediti sorti dopo il perfezionamento della cessione fossero anteriori al fallimento, ma pure che tali crediti fossero divenuti esigibili prima della dichiarazione di fallimento e prima di tale data notificati o accettati dal debitore ceduto con atto di data certa.
L’evoluzione della giurisprudenza di Cassazione
Più di recente, la Suprema Corte di Cassazione, affrontando la medesima questione già affrontata nel succitato arresto ha statuito che «nel caso di crediti futuri ma probabili perché nascenti da un unico rapporto base (come quelli di lavoro), il contratto di cessione, perfetto ab initio pur se con effetto reale differito, possa essere assimilato alla cessione del credito attuale e quindi debba prevalere sul pignoramento se notificato al debitore, già identificato grazie al rapporto base, o da questo accettato prima del pignoramento stesso
Per contro, nel caso di crediti solo eventuali ed aleatori, la maggiore incertezza di essi, ossia l’effetto traslativo della cessione e (almeno di regola) la non attuale identificazione del debitore inducono ad affermare che la cessione possa essere con successo opposta al creditore pignorante solo se essi siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento
In questo senso si è espressa Cass. 14 novembre 1996, n. 9997, che ha ritenuto necessario, per la opponibilità al fallimento, la preventiva notificazione o accettazione non della conclusione del contratto di factoring (ossia di cessione globale di crediti presenti e futuri inerenti ad un’impresa quale corrispettivo di un finanziamento o di altre controprestazioni) bensì del singolo credito venuto successivamente ad esistenza» (Cassazione, sezione lavoro 26 ottobre 2002, n, 15141).
In sostanza, la sezione lavoro della Suprema Corte, proseguendo nel solco tracciato dall’arresto 9997/96 ha ritenuto che la cessione di crediti futuri (ad effetti obbligatori e non immediatamente traslativa), intanto prevarrebbe sul pignoramento, in quanto abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali» e cioè contrassegnati «da un alto grado di probabilità».
Di contro nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto crediti «eventuali ed aleatori» , la «maggiore incertezza
dell’effetto traslativo» fa si che la cessione intanto possa essere opposta al creditore pignorante, in quanto tali crediti «siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento».
In sostanza, la Suprema Corte di Cassazione, ammessa pacificamente la cedibilità con effetto traslativo differito di crediti futuri, ha puntualizzato che la cessione di crediti futuri intanto è opponibile al creditore pignorante in quanto sia stata notificata prima del pignoramento ed abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali»; di contro, nel caso la cessione abbia ad oggetto crediti «astrattamente eventuali», con riferimento ai quali sussista una maggiore incertezza in ordine all’inverarsi dell’effetto traslativo, la opponibilità al creditore pignorante postula che il credito sia esigibile e venuto ad esistenza e che la notificazione o l’accettazione da parte del debitore ceduto sia anteriore alla notifica del pignoramento.
Dunque, nella ipotesi in cui la cessione abbia ad oggetto crediti meramente eventuali e non ancora identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, per predicare la prevalenza della cessione e, dunque, la sua opponibilità al creditore pignorante, occorre che la notificazione o la accettazione della cessione sia, da un lato, anteriore al pignoramento, e, dall’altro, comunque successiva al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza. (ex multis, Cassazione, sezione prima civile, 14 aprile 2010, n. 8961; Cassazione sezione prima civile, 21 dicembre 2005, n. 28300).
In particolare, la sezione prima civile con la sentenza 28300/2005, collocandosi nel solo della citata pronuncia della sezione lavoro 15141/2002, ha statuito che «in materia di efficacia della cessione di crediti maturandi con origine da un unico e già esistente rapporto base, la cessione prevale sul pignoramento stesso, diversamente da quanto accade per i crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi: solo con riguardo a questi ultimi, la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza».
Il regime successivo alla legge 52/1991
Ciò detto, giova peraltro osservare come, la citata sentenza 15141/2002, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, all’esito della ricostruzione operata, abbia sottolineato, come «tutto ciò spiega perché la legge 21 febbraio 1991, n. 52 preveda bensì, in materia di rapporti obbligatori costituiti nell’esercizio dell’impresa, la cessione di crediti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgevano, ma l’efficacia della cessione riguardo ai creditori del cedente non è subordinata alla preventiva notificazione ad (ancora inesistenti) debitori, bensì al previo pagamento del corrispettivo della cessione».
Tale obiter dictum consente di inquadrare la problematica della opponibilità al creditore pignorante delle cessioni di crediti futuri accessive ad un contratto di factoring, collocandola nel quadro della disciplina positiva riveniente dalla legge 52 del 1991.
L’articolo 3 della Legge n. 52/1991 (recante la «disciplina della cessione dei crediti di impresa») ha previsto che possono essere ceduti, anche in massa, i crediti futuri, anche prima che siano stipulati i contratti da cui tali crediti sorgeranno, a condizione che i contratti stessi siano stipulati entro i successivi 24 mesi.
Il quarto comma dello stesso articolo, inoltre dispone che «la cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3».
L’articolo 5 della legge 52/1991 ha attribuito al cessionario che abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione il corrispettivo della cessione, con pagamento avente data certa, la facoltà di opporre la cessione «i) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; ii) al creditore del cedente che abbia pignorato il credito successivamente alla data del pagamento; iii) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento (fermo restando quanto previsto dall’art. 7, comma 1)».
L’opponibilità della cessione al creditore pignorante
La legge 52 del 1991, dunque, nel dettare la disciplina delle cessione dei crediti di impresa, ha risolto la questione consentendo al factor di opporre la cessione di crediti futuri a condizione che abbia corrisposto in tutto in parte il prezzo della stessa con pagamento di data certa anteriore al pignoramento.
In sostanza, acclarato che in caso di cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza, avendo sino a tale momento la cessione effetti meramente obbligatori, nondimeno, ove, venuto ad esistenza il credito, il factor abbia con atto di data certa versato al cedente il corrispettivo della cessione di esso, la cessione sarà opponibile al creditore pignorante, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento.
«In forza della legge n. 52 del 1991, articolo 5, qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dalla stessa Legge n. 52 del 1991, articolo 7, comma 21
. nella prospettiva della Legge n. 52 del 1991, il momento dal quale si fa discendere la sua opponibilità ai terzi non è il perfezionamento dell’atto contrattuale, bensì il pagamento del cessionario al cedente
.», Cassazione, sezione prima civile, 5 luglio 2013, n. 16828.
Autore: Michele Lioi
Fonte:
Il Sole 24 Ore
Il contratto di factoring – contratto ancora oggi considerato atipico nonostante l’intervento legislativo effettuato con la legge 21 febbraio 1991, n. 52, che lo ha disciplinato – è definito come l’accordo con cui un imprenditore cede o si impegna a cedere la totalità o parte dei crediti derivanti dall’esercizio della sua attività imprenditoriale ad altro imprenditore (il c.d. factor), il quale, dietro corrispettivo, si impegna a fornire al cedente una serie di servizi accessori (quali, ad esempio, la gestione, la contabilizzazione e l’incasso dei crediti; l’assunzione del rischio di insolvenza del debitore, etc).
Il contratto di factoring per la Cassazione
Al riguardo la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che: «Il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella l. 21 febbraio 1991 n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli art. 1260 ss. del codice civile – attuata mediante la cessione, pro solvendo o “pro soluto”, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario (factor), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto». (Cassazione, sezione terza civile, 08/02/2007, n. 2746).
L’elemento centrale del contratto di factoring, dunque, è costituito dalla cessione dei crediti; cessione che, a seconda dello schema contrattuale adottato dalle parti, potrà avere efficacia immediatamente traslativa ovvero meramente obbligatoria (nell’ipotesi che oggetto di cessione siano crediti futuri).
La cessione dei crediti futuri
Il presente contributo intende soffermarsi sulla problematica della efficacia della cessione di crediti futuri nei confronti del creditore pignorante, tentando, sulla scorta degli arresti della Suprema Corte e della disciplina positiva introdotta dalla legge 52 del 1991, di individuare le condizioni in presenza delle quali la cessione di crediti futuri sia opponibile al creditore pignorante.
L’articolo 1265 cod. civ., come è noto, nel disciplinare la efficacia delle cessione di credito nei confronti di terzi dispone che «se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché sia di data posteriore».
L’articolo 2914, n. 2, cod. civ., a sua volta, dispone che «non hanno effetto nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento 2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento».
In sostanza, a mente delle citate disposizioni del codice sostanziale (storicamente dettate con riferimento alla fattispecie della cessione di crediti già esistenti e, dunque, avente efficacia immediatamente traslativa), il conflitto tra cessionari, ovvero tra il cessionario ed il creditore pignorante (o la curatela fallimentare) trova soluzione sulla base del criterio della prevalenza della cessione notificata al debitore ceduto o da questi accettata prima, ovvero notificata (o accettata) prima del pignoramento.
Il regime antecedente alla legge 52/1991
A tale proposito si osserva come la sezione prima civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 1996, n. 9997, ebbe a pronunciarsi su una fattispecie precedente alla entrata in vigore della legge 52 del 1991, sulla questione se ai fini della opponibilità al fallimento di una cessione di crediti futuri fosse sufficiente la notifica al debitore ceduto del “contratto quadro” di factoring (ad effetto traslativo differito), ovvero fosse necessaria, prima della dichiarazione di fallimento, la notifica o l’accettazione da parte del debitore ceduto di ciascun credito successivamente al suo sorgere.
La suprema Corte, con la sentenza in discorso, aveva statuito che «il problema posto dalla presente controversia . . . è quello di verificare se, in caso di cessione di crediti futuri, per l’opponibilità al fallimento sia sufficiente l’accettazione o la notifica, avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, della cessione o non sia anche necessaria una accettazione o notifica, sempre avente data certa, di ciascun credito, successivamente al suo sorgere.
Il problema impostato non ha ovviamente nulla a che fare con quello della validità della cessione dei crediti futuri tra le parti, ormai ammessa pacificamente nella giurisprudenza di questa Corte (a partire dalle sent. 1277-62, 184-66, 1209-66 alle più recenti 3099-95, 8497-94, 11516-93, 4040-90) e oggetto di esplicita disciplina legislativa (art. 3 legge n. 52 del 1991), nè con quello della individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo, essendo altrettanto pacifico che tale effetto si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza e che pertanto la cessione di cui si discute, a differenza di quella di crediti già esistenti, ha effetti meramente obbligatori.
La questione che si pone è invece quella della opponibilità della cessione di crediti futuri rispetto ai terzi, questione che la sentenza impugnata ha risolto nel senso della insufficienza della notifica e della accettazione del solo contratto di cessione. Tale conclusione deve essere sostanzialmente condivisa, tenendo presente che nella specie, come risulta dal ricorso (pag 3), la cessione dei crediti futuri si inseriva in un’operazione di factoring, perfezionatasi attraverso la sottoscrizione di un “contratto-quadro”, in attuazione del quale la O. aveva proceduto alla “segnalazione” del debitore ceduto e a ulteriori cessioni.
Non è certamente decisiva per la soluzione del problema la lettera dell’art. 1265 c.c., che prevede la notifica o l’accettazione della “cessione”, perché è evidente che il legislatore non ha tenuto presente la fattispecie della cessione di crediti futuri (oggetto di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinarie di epoca successiva alla elaborazione del codice), ad effetti meramente obbligatori, ma la cessione di crediti già esistenti, che ha immediata efficacia traslativa, onde notifica e accettazione della cessione coincide con la trasmissione o l’acquisizione della conoscenza del credito. Occorre piuttosto tenere presente la ratio dell’art. 1265 (e dell’art. 2914, n.2), che nel disciplinare l’opponibilità della cessione, al fine di risolvere i conflitti tra i terzi, richiede il requisito della certezza della data della notifica e dell’accettazione, per contemperare le esigenze di facile circolazione dei crediti con quella di tutela dei terzi. Entrambe le esigenze sarebbero del tutto frustrate se fosse seguita la tesi della ricorrente che difatti è costretta ad ammettere che, per accertare quali crediti siano venuti ad esistenza prima del pignoramento (o del fallimento), occorrerebbe affidarsi alla dichiarazione del debitore ceduto o alle scritture contabili del fallito, e, in caso di contestazione, all’accertamento giudiziario. Deve in conclusione ritenersi che per poter opporre al fallimento la cessione di crediti futuri sia necessario non solo che i crediti, sorti dopo il perfezionamento della cessione, siano comunque anteriori al fallimento, ma che prima di tale data siano divenuti esigibili (sent. 11516-93; il che, per altro verso, richiama l’esigenza di una loro specifica notifica o accettazione ex art. 1264 c.c.) ma anche che siano stati singolarmente notificati o accettati dal debitore con atto avente data certa».
La Suprema Corte, dunque, con la citata sentenza, aveva ritenuto che la opponibilità della cessione di crediti futuri al fallimento, postulasse, non solo che i crediti sorti dopo il perfezionamento della cessione fossero anteriori al fallimento, ma pure che tali crediti fossero divenuti esigibili prima della dichiarazione di fallimento e prima di tale data notificati o accettati dal debitore ceduto con atto di data certa.
L’evoluzione della giurisprudenza di Cassazione
Più di recente, la Suprema Corte di Cassazione, affrontando la medesima questione già affrontata nel succitato arresto ha statuito che «nel caso di crediti futuri ma probabili perché nascenti da un unico rapporto base (come quelli di lavoro), il contratto di cessione, perfetto ab initio pur se con effetto reale differito, possa essere assimilato alla cessione del credito attuale e quindi debba prevalere sul pignoramento se notificato al debitore, già identificato grazie al rapporto base, o da questo accettato prima del pignoramento stesso Per contro, nel caso di crediti solo eventuali ed aleatori, la maggiore incertezza di essi, ossia l’effetto traslativo della cessione e (almeno di regola) la non attuale identificazione del debitore inducono ad affermare che la cessione possa essere con successo opposta al creditore pignorante solo se essi siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento In questo senso si è espressa Cass. 14 novembre 1996, n. 9997, che ha ritenuto necessario, per la opponibilità al fallimento, la preventiva notificazione o accettazione non della conclusione del contratto di factoring (ossia di cessione globale di crediti presenti e futuri inerenti ad un’impresa quale corrispettivo di un finanziamento o di altre controprestazioni) bensì del singolo credito venuto successivamente ad esistenza» (Cassazione, sezione lavoro 26 ottobre 2002, n, 15141).
In sostanza, la sezione lavoro della Suprema Corte, proseguendo nel solco tracciato dall’arresto 9997/96 ha ritenuto che la cessione di crediti futuri (ad effetti obbligatori e non immediatamente traslativa), intanto prevarrebbe sul pignoramento, in quanto abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali» e cioè contrassegnati «da un alto grado di probabilità».
Di contro nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto crediti «eventuali ed aleatori» , la «maggiore incertezza dell’effetto traslativo» fa si che la cessione intanto possa essere opposta al creditore pignorante, in quanto tali crediti «siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento».
In sostanza, la Suprema Corte di Cassazione, ammessa pacificamente la cedibilità con effetto traslativo differito di crediti futuri, ha puntualizzato che la cessione di crediti futuri intanto è opponibile al creditore pignorante in quanto sia stata notificata prima del pignoramento ed abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali»; di contro, nel caso la cessione abbia ad oggetto crediti «astrattamente eventuali», con riferimento ai quali sussista una maggiore incertezza in ordine all’inverarsi dell’effetto traslativo, la opponibilità al creditore pignorante postula che il credito sia esigibile e venuto ad esistenza e che la notificazione o l’accettazione da parte del debitore ceduto sia anteriore alla notifica del pignoramento.
Dunque, nella ipotesi in cui la cessione abbia ad oggetto crediti meramente eventuali e non ancora identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, per predicare la prevalenza della cessione e, dunque, la sua opponibilità al creditore pignorante, occorre che la notificazione o la accettazione della cessione sia, da un lato, anteriore al pignoramento, e, dall’altro, comunque successiva al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza. (ex multis, Cassazione, sezione prima civile, 14 aprile 2010, n. 8961; Cassazione sezione prima civile, 21 dicembre 2005, n. 28300).
In particolare, la sezione prima civile con la sentenza 28300/2005, collocandosi nel solo della citata pronuncia della sezione lavoro 15141/2002, ha statuito che «in materia di efficacia della cessione di crediti maturandi con origine da un unico e già esistente rapporto base, la cessione prevale sul pignoramento stesso, diversamente da quanto accade per i crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi: solo con riguardo a questi ultimi, la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza».
Il regime successivo alla legge 52/1991
Ciò detto, giova peraltro osservare come, la citata sentenza 15141/2002, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, all’esito della ricostruzione operata, abbia sottolineato, come «tutto ciò spiega perché la legge 21 febbraio 1991, n. 52 preveda bensì, in materia di rapporti obbligatori costituiti nell’esercizio dell’impresa, la cessione di crediti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgevano, ma l’efficacia della cessione riguardo ai creditori del cedente non è subordinata alla preventiva notificazione ad (ancora inesistenti) debitori, bensì al previo pagamento del corrispettivo della cessione».
Tale obiter dictum consente di inquadrare la problematica della opponibilità al creditore pignorante delle cessioni di crediti futuri accessive ad un contratto di factoring, collocandola nel quadro della disciplina positiva riveniente dalla legge 52 del 1991.
L’articolo 3 della Legge n. 52/1991 (recante la «disciplina della cessione dei crediti di impresa») ha previsto che possono essere ceduti, anche in massa, i crediti futuri, anche prima che siano stipulati i contratti da cui tali crediti sorgeranno, a condizione che i contratti stessi siano stipulati entro i successivi 24 mesi.
Il quarto comma dello stesso articolo, inoltre dispone che «la cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3».
L’articolo 5 della legge 52/1991 ha attribuito al cessionario che abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione il corrispettivo della cessione, con pagamento avente data certa, la facoltà di opporre la cessione «i) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; ii) al creditore del cedente che abbia pignorato il credito successivamente alla data del pagamento; iii) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento (fermo restando quanto previsto dall’art. 7, comma 1)».
L’opponibilità della cessione al creditore pignorante
La legge 52 del 1991, dunque, nel dettare la disciplina delle cessione dei crediti di impresa, ha risolto la questione consentendo al factor di opporre la cessione di crediti futuri a condizione che abbia corrisposto in tutto in parte il prezzo della stessa con pagamento di data certa anteriore al pignoramento.
In sostanza, acclarato che in caso di cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza, avendo sino a tale momento la cessione effetti meramente obbligatori, nondimeno, ove, venuto ad esistenza il credito, il factor abbia con atto di data certa versato al cedente il corrispettivo della cessione di esso, la cessione sarà opponibile al creditore pignorante, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento.
«In forza della legge n. 52 del 1991, articolo 5, qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dalla stessa Legge n. 52 del 1991, articolo 7, comma 21 . nella prospettiva della Legge n. 52 del 1991, il momento dal quale si fa discendere la sua opponibilità ai terzi non è il perfezionamento dell’atto contrattuale, bensì il pagamento del cessionario al cedente
.», Cassazione, sezione prima civile, 5 luglio 2013, n. 16828.
Autore: Michele Lioi
Fonte:
Il Sole 24 Ore