Centomila imprese in meno in un anno. Con l’industria che precipita di nuovo (fallimenti in aumento del 12,9%) mentre aveva rallentato la caduta nel 2012. Per evitare che questa flessione prolungata della capacità produttiva diventi irreversibile, la “terapia shock” del nuovo governo è un primo passo importante e fin troppo atteso.
Le tre operazioni delle quali sappiamo di più, sebbene ancora non se ne conoscano molti dettagli, il piano di edilizia scolastica, il rimborso totale dei debiti della Pa verso le imprese, e il taglio del cuneo fiscale, cercano di coniugare in proporzioni variabili due caratteristiche. L’efficacia in termini di rilancio della domanda e dell’occupazione (qui il piano per l’edilizia prevale), e la modesta invasività della burocrazia e della politica anche locali (qui vince il taglio del cuneo). Sarà importante che questi due cardini restino saldi anche quando partirà la fase due della politica economica del governo.
Il ministro dell’Economia è per ora alle prese con la complessa partita delle coperture per le misure della “terapia shock”, ma ben presto il tema del credit crunch e del rafforzamento della struttura produttiva del Paese saranno tra le sue priorità. Quando lavorava all’Ocse, nel 2010, Padoan scriveva che “le Pmi sono cruciali proprio perché portano nuove idee sul mercato” e che gli ostacoli principali che incontrano sono “l’accesso ai finanziamenti e la scarsità di personale qualificato”.
Nel secondo Rapporto sulla competitività delle imprese, presentato qualche giorno fa, l’Istat descrive tutti i danni che la stagnazione, il credit crunch e lo spaesamento strategico stanno arrecando a molte delle nostre Pmi. Si tratta di quota rilevantissima dell’industria italiana, per occupazione ancor più che per fatturato. Le strategie vincenti nel medio termine per queste imprese sono chiare, soprattutto sui mercati esteri: più “connettività”, ovvero più rapporti con altre imprese nelle catene globali del valore; più innovazione; più investimenti in formazione e competenze. Ma la gran parte delle imprese non può realizzarle per scarsità di risorse finanziarie, mentre per molte il problema è anche precedente, quello di definire i business plan e gli strumenti adeguati con cui perseguirli.
Efficacia e rapidità in termini di rilancio e consolidamento del patrimonio produttivo, e bassa invasività della burocrazia e della politica dovrebbero essere le coordinate sui cui muoversi anche nella fase due, per esempio affrontando il tema del credit crunch.
Vi sono almeno tre proposte in campo. Le bad bank nelle loro diverse versioni (si veda Il Sole del 18 febbraio). Un rinnovato ruolo pubblico nel finanziamento a medio termine. Una maggior apertura e stimolo per la finanza d’investimento privata. Il rafforzamento e l’ampliamento della gamma dei fondi di garanzia, uno dei punti programmatici del nuovo governo, sembra indicare che la strada prescelta è la seconda. Ma senza un coinvolgimento importante della finanza privata, questo percorso potrebbe incontrare almeno tre limiti. Il primo riguarda – appunto – il rischio di una maggior invadenza della politica e della burocrazia che però gli automatismi previsti per i fondi potrebbero ridurre. Il secondo è quello di un potenziale aumento dei problemi di moral hazard che la garanzia pubblica (fino all’80%) potrebbe generare. Il Fondo di garanzia è stato ed è forse lo strumento più efficace che la politica economica ha messo in campo per il credito alle Pmi durante la crisi, ma con un miglioramento della congiuntura nei prossimi anni crescerebbe la tentazione di monitorare meno e peggio i debitori. Se i privati rischiassero di più in proprio la tentazione si ridurrebbe. Il terzo limite di un mancato coinvolgimento della finanza privata riguarda invece proprio le carenze strategiche di una parte consistente del sistema delle Pmi. Come ricordato sopra, molte di queste non soffrono solo un credit crunch ma anche di uno skill crunch, mancano spesso di competenze e visioni strategiche che un innesto ben calibrato di nuova finanza privata potrebbe apportare.
Autore: Stefano Manzocchi
Fonte:
Il Sole 24 ore
Centomila imprese in meno in un anno. Con l’industria che precipita di nuovo (fallimenti in aumento del 12,9%) mentre aveva rallentato la caduta nel 2012. Per evitare che questa flessione prolungata della capacità produttiva diventi irreversibile, la “terapia shock” del nuovo governo è un primo passo importante e fin troppo atteso.
Le tre operazioni delle quali sappiamo di più, sebbene ancora non se ne conoscano molti dettagli, il piano di edilizia scolastica, il rimborso totale dei debiti della Pa verso le imprese, e il taglio del cuneo fiscale, cercano di coniugare in proporzioni variabili due caratteristiche. L’efficacia in termini di rilancio della domanda e dell’occupazione (qui il piano per l’edilizia prevale), e la modesta invasività della burocrazia e della politica anche locali (qui vince il taglio del cuneo). Sarà importante che questi due cardini restino saldi anche quando partirà la fase due della politica economica del governo.
Il ministro dell’Economia è per ora alle prese con la complessa partita delle coperture per le misure della “terapia shock”, ma ben presto il tema del credit crunch e del rafforzamento della struttura produttiva del Paese saranno tra le sue priorità. Quando lavorava all’Ocse, nel 2010, Padoan scriveva che “le Pmi sono cruciali proprio perché portano nuove idee sul mercato” e che gli ostacoli principali che incontrano sono “l’accesso ai finanziamenti e la scarsità di personale qualificato”.
Nel secondo Rapporto sulla competitività delle imprese, presentato qualche giorno fa, l’Istat descrive tutti i danni che la stagnazione, il credit crunch e lo spaesamento strategico stanno arrecando a molte delle nostre Pmi. Si tratta di quota rilevantissima dell’industria italiana, per occupazione ancor più che per fatturato. Le strategie vincenti nel medio termine per queste imprese sono chiare, soprattutto sui mercati esteri: più “connettività”, ovvero più rapporti con altre imprese nelle catene globali del valore; più innovazione; più investimenti in formazione e competenze. Ma la gran parte delle imprese non può realizzarle per scarsità di risorse finanziarie, mentre per molte il problema è anche precedente, quello di definire i business plan e gli strumenti adeguati con cui perseguirli.
Efficacia e rapidità in termini di rilancio e consolidamento del patrimonio produttivo, e bassa invasività della burocrazia e della politica dovrebbero essere le coordinate sui cui muoversi anche nella fase due, per esempio affrontando il tema del credit crunch.
Vi sono almeno tre proposte in campo. Le bad bank nelle loro diverse versioni (si veda Il Sole del 18 febbraio). Un rinnovato ruolo pubblico nel finanziamento a medio termine. Una maggior apertura e stimolo per la finanza d’investimento privata. Il rafforzamento e l’ampliamento della gamma dei fondi di garanzia, uno dei punti programmatici del nuovo governo, sembra indicare che la strada prescelta è la seconda. Ma senza un coinvolgimento importante della finanza privata, questo percorso potrebbe incontrare almeno tre limiti. Il primo riguarda – appunto – il rischio di una maggior invadenza della politica e della burocrazia che però gli automatismi previsti per i fondi potrebbero ridurre. Il secondo è quello di un potenziale aumento dei problemi di moral hazard che la garanzia pubblica (fino all’80%) potrebbe generare. Il Fondo di garanzia è stato ed è forse lo strumento più efficace che la politica economica ha messo in campo per il credito alle Pmi durante la crisi, ma con un miglioramento della congiuntura nei prossimi anni crescerebbe la tentazione di monitorare meno e peggio i debitori. Se i privati rischiassero di più in proprio la tentazione si ridurrebbe. Il terzo limite di un mancato coinvolgimento della finanza privata riguarda invece proprio le carenze strategiche di una parte consistente del sistema delle Pmi. Come ricordato sopra, molte di queste non soffrono solo un credit crunch ma anche di uno skill crunch, mancano spesso di competenze e visioni strategiche che un innesto ben calibrato di nuova finanza privata potrebbe apportare.
Autore: Stefano Manzocchi
Fonte:
Il Sole 24 ore