La nostra situazione è seria. Con poche eccezioni, si conferma una situazione stagnante in Italia e nell’intera Europa. Non poco ha inciso la stretta creditizia. Le priorità dell’Italia sono quindi gli investimenti, il lavoro, l’innovazione, la ripresa delle produzioni industriali e del credito produttivo.
Dal 2007 a oggi la disoccupazione è raddoppiata e rischia di superare la soglia del 13% della forza lavoro. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni è, purtroppo, del 42 %. Dal 2010 la produzione industriale è scesa del 9%. Confrontando la differenza tra le previsioni di crescita e l’andamento reale, dal 2007 ad oggi l’economia italiana ha perso 230 miliardi di euro di ricchezza.
Secondo un recente studio della Banca Centrale Europea, nel 2013 il credito totale delle banche alle imprese e alle attività produttive in Europa è sceso del 3,9% rispetto all’anno precedente, anch’esso con segno negativo. Per analizzare gli andamenti nei vari Paesi dell’eurozona, la Bce ha fissato a 100 il livello dei crediti bancari del 2011. Sulla base di tale parametro risulta che nel 2013 la Germania ha mantenuto costante il livello del suo credito bancario, la Francia è scesa a 98, l’Italia a 89, la Spagna a 72. In altre parole nel nostro Paese i crediti bancari alle imprese e alle famiglie sono diminuiti dell’11% in due anni!
Continua quindi il credit crunch che intacca le capacità di ripresa dell’intera Unione europea. Se è vero come è vero che il 60% di tutte le esportazioni tedesche vanno nel resto dell’Europa, la stessa Germania dovrebbe riconoscere la «insopportabilità» di tale situazione. È indubbio tuttavia che il problema del credito e degli investimenti è diventato da tempo sistemico e globale. Non riguarda solo l’Europa. Secondo quanto emerso in un convegno della Banca dei Regolamenti Internazionali, il tasso di investimento nel mondo, in rapporto al Pil, è del 2-4% inferiore rispetto a quello del 2009. Ciò nonostante che i profitti azionari siano stati ai massimi livelli in parecchie economie avanzate ed emergenti.
La mancanza di crediti alle imprese, in particolare alle Pmi, da parte del sistema bancario e i bassi tassi di investimento purtroppo si combinano anche con una accentuata tendenza delle grandi multinazionali ad accumulare liquidità (cash) in quantità che non ha precedenti. Per esempio, le grandi corporation giapponesi avrebbero in cassa soldi liquidi per 2,8 trilioni di dollari, quelle americane per 1,5 trilioni e quelle europee per 1 trilione di dollari. Le multinazionali britanniche da sole avrebbero soldi liquidi per un valore superiore a quello di tutti i loro impianti e macchinari.
È evidente che l’accumulo di liquidità del settore privato nelle economie avanzate mira ad utilizzare il risparmio esclusivamente per ridurre i debiti purtroppo a scapito degli investimenti. In molti casi nuovi debiti verrebbero addirittura contratti soltanto per ristrutturare o abbattere quelli accesi in passato e spesso per distribuire dividendi.Tali comportamenti ci dicono che la crisi non è finita e che per i «grandi giocatori» l’incertezza del futuro offre loro l’occasione per continuare ad influenzare la finanza e l’economia.
In tale contesto l’Italia può affrontare con efficacia le proprie persistenti difficoltà economiche e sociali se il nuovo governo e il parlamento saranno in grado di imporre lo sblocco del credito e lo snellimento delle procedure amministrative e, nel contempo, in sede europea di intesa con gli altri Paesi del Sud, di ottenere l’esclusione delle spese per gli investimenti e per le infrastrutture dal rigido parametro del 3% del rapporto deficit/Pil.
Se gli investimenti avranno priorità nelle politiche europee di sviluppo essi non saranno secondari nelle scelte di cooperazione e di intesa internazionali che prevedono la realizzazione di grandi reti infrastrutturali come per esempio quella euroasiatica.
Naturalmente diventa più impellente per l’Italia e per l’Europa un vero protagonismo nella definizione di una efficace governance e di nuove regole stringenti del sistema finanziario, tenendo conto dei nuovi segnali di rischio di crisi globale.
Fonte:
Italia Oggi
La nostra situazione è seria. Con poche eccezioni, si conferma una situazione stagnante in Italia e nell’intera Europa. Non poco ha inciso la stretta creditizia. Le priorità dell’Italia sono quindi gli investimenti, il lavoro, l’innovazione, la ripresa delle produzioni industriali e del credito produttivo.
Dal 2007 a oggi la disoccupazione è raddoppiata e rischia di superare la soglia del 13% della forza lavoro. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni è, purtroppo, del 42 %. Dal 2010 la produzione industriale è scesa del 9%. Confrontando la differenza tra le previsioni di crescita e l’andamento reale, dal 2007 ad oggi l’economia italiana ha perso 230 miliardi di euro di ricchezza.
Secondo un recente studio della Banca Centrale Europea, nel 2013 il credito totale delle banche alle imprese e alle attività produttive in Europa è sceso del 3,9% rispetto all’anno precedente, anch’esso con segno negativo. Per analizzare gli andamenti nei vari Paesi dell’eurozona, la Bce ha fissato a 100 il livello dei crediti bancari del 2011. Sulla base di tale parametro risulta che nel 2013 la Germania ha mantenuto costante il livello del suo credito bancario, la Francia è scesa a 98, l’Italia a 89, la Spagna a 72. In altre parole nel nostro Paese i crediti bancari alle imprese e alle famiglie sono diminuiti dell’11% in due anni!
Continua quindi il credit crunch che intacca le capacità di ripresa dell’intera Unione europea. Se è vero come è vero che il 60% di tutte le esportazioni tedesche vanno nel resto dell’Europa, la stessa Germania dovrebbe riconoscere la «insopportabilità» di tale situazione. È indubbio tuttavia che il problema del credito e degli investimenti è diventato da tempo sistemico e globale. Non riguarda solo l’Europa. Secondo quanto emerso in un convegno della Banca dei Regolamenti Internazionali, il tasso di investimento nel mondo, in rapporto al Pil, è del 2-4% inferiore rispetto a quello del 2009. Ciò nonostante che i profitti azionari siano stati ai massimi livelli in parecchie economie avanzate ed emergenti.
La mancanza di crediti alle imprese, in particolare alle Pmi, da parte del sistema bancario e i bassi tassi di investimento purtroppo si combinano anche con una accentuata tendenza delle grandi multinazionali ad accumulare liquidità (cash) in quantità che non ha precedenti. Per esempio, le grandi corporation giapponesi avrebbero in cassa soldi liquidi per 2,8 trilioni di dollari, quelle americane per 1,5 trilioni e quelle europee per 1 trilione di dollari. Le multinazionali britanniche da sole avrebbero soldi liquidi per un valore superiore a quello di tutti i loro impianti e macchinari.
È evidente che l’accumulo di liquidità del settore privato nelle economie avanzate mira ad utilizzare il risparmio esclusivamente per ridurre i debiti purtroppo a scapito degli investimenti. In molti casi nuovi debiti verrebbero addirittura contratti soltanto per ristrutturare o abbattere quelli accesi in passato e spesso per distribuire dividendi.Tali comportamenti ci dicono che la crisi non è finita e che per i «grandi giocatori» l’incertezza del futuro offre loro l’occasione per continuare ad influenzare la finanza e l’economia.
In tale contesto l’Italia può affrontare con efficacia le proprie persistenti difficoltà economiche e sociali se il nuovo governo e il parlamento saranno in grado di imporre lo sblocco del credito e lo snellimento delle procedure amministrative e, nel contempo, in sede europea di intesa con gli altri Paesi del Sud, di ottenere l’esclusione delle spese per gli investimenti e per le infrastrutture dal rigido parametro del 3% del rapporto deficit/Pil.
Se gli investimenti avranno priorità nelle politiche europee di sviluppo essi non saranno secondari nelle scelte di cooperazione e di intesa internazionali che prevedono la realizzazione di grandi reti infrastrutturali come per esempio quella euroasiatica.
Naturalmente diventa più impellente per l’Italia e per l’Europa un vero protagonismo nella definizione di una efficace governance e di nuove regole stringenti del sistema finanziario, tenendo conto dei nuovi segnali di rischio di crisi globale.
Fonte:
Italia Oggi