È il momento delle pulizie di Pasqua per le banche italiane. La fine della recessione e la cauta ripresa, le meno penalizzanti norme fiscali su perdite creditizie, il doppio esame delle revisioni Bce e dei test Eba impongono di scuotere una montagna di 300 miliardi di crediti deteriorati. Da cinque anni il monte lievita, così ostacola la trasmissione della politica monetaria espansiva dellEurotower, tiene a stecchetto famiglie e imprese, azzera la redditività e falcidia il patrimonio degli istituti.
La tentazione di chiamarla bad bank allitaliana cè. Ma per sdoganarla va prima contestualizzata con rilievi di contenuto e forma. Di quei 300 miliardi, infatti, solo metà sono effettivamente in mora nelle sofferenze (e ammontano a 76 miliardi nei dati a novembre quelle nette, non coperte da rettifiche, accantonamenti o garanzie). Quanto alla forma, va nettato il senso deteriore che ha assunto la locuzione allitaliana, oltre allo stigma reputazionale che il concetto bad bank reca. Un anno fa, quando gli analisti di Mediobanca Securities primi suggerirono alle istituzioni un fondo di sistema per ripulire dal cattivo credito le banche italiane, Abi e vigilanza rigettarono la proposta: sia perché non volevano accomunarsi alle banche spagnole – costrette a chiedere aiuti comunitari per unesposizione allimmobiliare ormai insostenibile – sia perché richiedeva decine di miliardi di fondi pubblici che lItalia non aveva, né voleva chiedere alle istituzioni sovranazionali.
Oggi quei due vincoli in Italia permangono, e poco importa se la bad bank pubblica di Madrid sia additata da molti come esempio positivo. I direttori di Bankitalia continuano a neanche nominare il termine bad bank nei discorsi ufficiali, e lAbi vola sempre basso.
Ma qualcosa è cambiato. E le banche, ansiose di sgravare i bilanci e ridestarsi in tempo per la ripresa, in ordine semi-sparso si stanno mettendo al lavoro. Da Natale a oggi una mezza dozzina di cessioni creditizie (Npl, deteriorati, al consumo) hanno riguardato Unicredit, Mps, Unipol Banca, le Bcc. Molto di più, per quantità e quantità delle operazioni, si prepara. Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno accreditato le indiscrezioni per cui studierebbero con Kkr la fattibilità di un veicolo per apportare crediti tecnicamente ristrutturati (pari a 10,6 miliardi nei loro bilanci, vedi tabella); basta non chiamarla bad bank.
E neppure gli operativi di Piazzetta Cuccia parlano più di bad bank: ma è certo che siano intenti al varo di alcuni fondi settoriali in cui istituti medi e piccoli – del tipo di Bper e Credito Valtellinese – possano apportare mutui ipotecari, commerciali, chirografari delle Pmi.
Poi ci sono le banche che, pur non uscendo ancora allo scoperto, sondano una platea compratori, cercando il prezzo giusto (rispetto ai valori di mercato, ma soprattutto a quelli di bilancio, che se troppo distanti originano minusvalenze) per liberarsi di Npl e altre zavorre; tra queste sondano il terreno Ubi e Banco Popolare, Cariparma, Veneto Banca.
In fondo, per dimensioni, vengono le 400 Bcc, in cui la maggior foga creditizia nel decennio 2000-2010 rende forse più problematica la gestione delle partite deteriorate, e lesigenza di esternalizzarle pone una sfida in più alla holding dei servizi centrali Iccrea; finora solo 22 Casse rurali del Trentino – tra le più connesse oltre le aree di prossimità – hanno saputo cedere 150 milioni di sofferenze. Tutto questo tramestio crescente forse non darà vita alla bad bank di sistema pubblica, tipo la Sareb spagnola. Ma certo si apparecchia una diffusa bad bank allitaliana, fatta con quel che cè in casa e come si può. «Questo grande dibattito sui crediti incagliati, come gestirli e come ridurli, entra finalmente nel vivo – ha detto Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, tra i protagonisti del dibattito – abbiamo già fatto alcune operazioni di vendita di asset, abbiamo già fatto la nostra segregazione interna, abbiamo 1.100 persone che lavorano ai crediti difficili. Siamo attrezzati, abbiamo obiettivi e parecchie idee, ma non voglio commentare casi specifici». Né vuol essere da meno Intesa Sanpaolo, anche perché insieme le due ex bin valgono due terzi dei crediti deteriorati italiani.
Nel piano strategico al via il 28 marzo lad Carlo Messina prepara annunci rilevanti in materia. Dovrebbe nascere ununità di business dedicata, in cui collocare la Rehoco (Real Estate Home Company, piccola holding dedicata ai mutui e al riacquisto di immobili in asta fallimentare) e la più ambiziosa jv con Piazza Cordusio e Kkr, per estrarre più valore dai finanziamenti già rinegoziati con una decina di medie aziende. Il fondo Usa metterebbe la nuova finanza, Alvarez & Marsal (già consulente nella costituzione della bad bank spagnola) fornirebbe le professionalità di turnaround management. Nella nuova divisione sul credito anomalo potrebbe trovare posto anche Italfondiario, istituto pubblico divenuto nel tempo un servicer conto terzi che oggi fa capo al fondo Fortress, e gestisce crediti anomali di Ca de Sass.
Il meccanismo di ripulire i libri, liberando capitale che può così focalizzarsi su nuovi fidi, è intuitivo sia per gli stock che per i flussi di crediti dubbi. E lagenda bancaria 2014 li acuisce e correda di numeri. Tra i maggiori interrogativi di investitori e analisti settoriali cè, ad esempio, la probabilità di default (Pd) che lEba imporrà alle banche europee negli stress test autunnali. Una misura sintetica dei livelli di accantonamento, normalmente calcolata sulla statistiche di fallimento degli ultimi otto anni. Il rischio è che lautorità guidata da Andrea Enria adotti un approccio più statico, restringendo il periodo considerato fino a un anno. Inutile dire che nellultimo anno i fallimenti di aziende italiane sono da record: e che in tal caso gli accantonamenti decollerebbero. Altro tecnicismo da considerare è la loss given default (Lgd), che misura il rischio di recupero creditizio. Laccantonamento è una ponderazione tra Pd e Lgd, per questo sulle sofferenze (100% di probabilità di default) impatta poco. Ma più scende il tasso di recupero più sale laccantonamento: quindi i crediti già ristrutturati potrebbero essere tra i più penalizzati agli stress test. «Per questo è molto interessante la mossa allo studio di Unicredit e Intesa Sanpaolo sui crediti ristrutturati – dice Enzo Chiesa, partner di Eidos Partners – se si concretizzasse potrebbe avere un forte impatto sulla gestione crediti in Italia: si aprirebbe la rincorsa dei concorrenti più piccoli e potrebbero nascere servicer creditizi territoriali attivi sulle sofferenze».
Altri operatori nostrani guardano alle opportunità derivanti da questo mercato in fieri. Tra loro Fonspa, banca di credito fondiario che lo scorso autunno fu rilevata dal fondo Tages per focalizzarla sulla gestione di portafogli Npl cartolarizzati (e che allo scopo sta arruolando Andrea Munari, per anni dg di Banca Imi). E Prelios Credit Servicing, guidata da Riccardo Serrini che con 8,5 miliardi di masse è il primo gestore italiano indipendente di Npl. Ricapitolando: i cespiti non mancano, anzi. Gli operatori nemmeno. Il recupero dei mercati chiude da mesi lo scarto tra i valori di presunto realizzo dei crediti difficili (dal 5 a oltre il 30%, secondo seniority e garanzie) e quelli di iscrizione a bilancio. E dove lo scarto permane, potranno aiutare sopravvenienze attive da circa 6 miliardi in arrivo per la rivalutazione delle quote Bankitalia (oltre la metà appannaggio di Intesa Sanpaolo e Unicredit). Cosa manca? Soprattutto una reale discontinuità culturale e operativa nel gestire le partite a rischio. La male intesa fratellanza tra prenditori e prestatori nel capitalismo relazionale italiano è stata fonte di molti guai. «Uno dei problemi della gestione di crediti dubbi è che normalmente è curata dai capi dei crediti – racconta un banchiere – e puoi star certo che sarà un fiasco, perché chi ha concesso quei crediti vuole recuperarli in toto, inoltre permane la relazione tra responsabilità e interessi di chi ha dato e chi ha avuto i fidi». Riusciranno i banchieri del paese più bancarizzato al mondo a separarsi dai loro clienti morosi, mettendo le loro pratiche nelle mani di recuperatori specializzati e senza cuore?
Autore: Andrea Greco
Fonte:
Repubblica
È il momento delle pulizie di Pasqua per le banche italiane. La fine della recessione e la cauta ripresa, le meno penalizzanti norme fiscali su perdite creditizie, il doppio esame delle revisioni Bce e dei test Eba impongono di scuotere una montagna di 300 miliardi di crediti deteriorati. Da cinque anni il monte lievita, così ostacola la trasmissione della politica monetaria espansiva dellEurotower, tiene a stecchetto famiglie e imprese, azzera la redditività e falcidia il patrimonio degli istituti.
La tentazione di chiamarla bad bank allitaliana cè. Ma per sdoganarla va prima contestualizzata con rilievi di contenuto e forma. Di quei 300 miliardi, infatti, solo metà sono effettivamente in mora nelle sofferenze (e ammontano a 76 miliardi nei dati a novembre quelle nette, non coperte da rettifiche, accantonamenti o garanzie). Quanto alla forma, va nettato il senso deteriore che ha assunto la locuzione allitaliana, oltre allo stigma reputazionale che il concetto bad bank reca. Un anno fa, quando gli analisti di Mediobanca Securities primi suggerirono alle istituzioni un fondo di sistema per ripulire dal cattivo credito le banche italiane, Abi e vigilanza rigettarono la proposta: sia perché non volevano accomunarsi alle banche spagnole – costrette a chiedere aiuti comunitari per unesposizione allimmobiliare ormai insostenibile – sia perché richiedeva decine di miliardi di fondi pubblici che lItalia non aveva, né voleva chiedere alle istituzioni sovranazionali.
Oggi quei due vincoli in Italia permangono, e poco importa se la bad bank pubblica di Madrid sia additata da molti come esempio positivo. I direttori di Bankitalia continuano a neanche nominare il termine bad bank nei discorsi ufficiali, e lAbi vola sempre basso.
Ma qualcosa è cambiato. E le banche, ansiose di sgravare i bilanci e ridestarsi in tempo per la ripresa, in ordine semi-sparso si stanno mettendo al lavoro. Da Natale a oggi una mezza dozzina di cessioni creditizie (Npl, deteriorati, al consumo) hanno riguardato Unicredit, Mps, Unipol Banca, le Bcc. Molto di più, per quantità e quantità delle operazioni, si prepara. Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno accreditato le indiscrezioni per cui studierebbero con Kkr la fattibilità di un veicolo per apportare crediti tecnicamente ristrutturati (pari a 10,6 miliardi nei loro bilanci, vedi tabella); basta non chiamarla bad bank.
E neppure gli operativi di Piazzetta Cuccia parlano più di bad bank: ma è certo che siano intenti al varo di alcuni fondi settoriali in cui istituti medi e piccoli – del tipo di Bper e Credito Valtellinese – possano apportare mutui ipotecari, commerciali, chirografari delle Pmi.
Poi ci sono le banche che, pur non uscendo ancora allo scoperto, sondano una platea compratori, cercando il prezzo giusto (rispetto ai valori di mercato, ma soprattutto a quelli di bilancio, che se troppo distanti originano minusvalenze) per liberarsi di Npl e altre zavorre; tra queste sondano il terreno Ubi e Banco Popolare, Cariparma, Veneto Banca.
In fondo, per dimensioni, vengono le 400 Bcc, in cui la maggior foga creditizia nel decennio 2000-2010 rende forse più problematica la gestione delle partite deteriorate, e lesigenza di esternalizzarle pone una sfida in più alla holding dei servizi centrali Iccrea; finora solo 22 Casse rurali del Trentino – tra le più connesse oltre le aree di prossimità – hanno saputo cedere 150 milioni di sofferenze. Tutto questo tramestio crescente forse non darà vita alla bad bank di sistema pubblica, tipo la Sareb spagnola. Ma certo si apparecchia una diffusa bad bank allitaliana, fatta con quel che cè in casa e come si può. «Questo grande dibattito sui crediti incagliati, come gestirli e come ridurli, entra finalmente nel vivo – ha detto Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, tra i protagonisti del dibattito – abbiamo già fatto alcune operazioni di vendita di asset, abbiamo già fatto la nostra segregazione interna, abbiamo 1.100 persone che lavorano ai crediti difficili. Siamo attrezzati, abbiamo obiettivi e parecchie idee, ma non voglio commentare casi specifici». Né vuol essere da meno Intesa Sanpaolo, anche perché insieme le due ex bin valgono due terzi dei crediti deteriorati italiani.
Nel piano strategico al via il 28 marzo lad Carlo Messina prepara annunci rilevanti in materia. Dovrebbe nascere ununità di business dedicata, in cui collocare la Rehoco (Real Estate Home Company, piccola holding dedicata ai mutui e al riacquisto di immobili in asta fallimentare) e la più ambiziosa jv con Piazza Cordusio e Kkr, per estrarre più valore dai finanziamenti già rinegoziati con una decina di medie aziende. Il fondo Usa metterebbe la nuova finanza, Alvarez & Marsal (già consulente nella costituzione della bad bank spagnola) fornirebbe le professionalità di turnaround management. Nella nuova divisione sul credito anomalo potrebbe trovare posto anche Italfondiario, istituto pubblico divenuto nel tempo un servicer conto terzi che oggi fa capo al fondo Fortress, e gestisce crediti anomali di Ca de Sass.
Il meccanismo di ripulire i libri, liberando capitale che può così focalizzarsi su nuovi fidi, è intuitivo sia per gli stock che per i flussi di crediti dubbi. E lagenda bancaria 2014 li acuisce e correda di numeri. Tra i maggiori interrogativi di investitori e analisti settoriali cè, ad esempio, la probabilità di default (Pd) che lEba imporrà alle banche europee negli stress test autunnali. Una misura sintetica dei livelli di accantonamento, normalmente calcolata sulla statistiche di fallimento degli ultimi otto anni. Il rischio è che lautorità guidata da Andrea Enria adotti un approccio più statico, restringendo il periodo considerato fino a un anno. Inutile dire che nellultimo anno i fallimenti di aziende italiane sono da record: e che in tal caso gli accantonamenti decollerebbero. Altro tecnicismo da considerare è la loss given default (Lgd), che misura il rischio di recupero creditizio. Laccantonamento è una ponderazione tra Pd e Lgd, per questo sulle sofferenze (100% di probabilità di default) impatta poco. Ma più scende il tasso di recupero più sale laccantonamento: quindi i crediti già ristrutturati potrebbero essere tra i più penalizzati agli stress test. «Per questo è molto interessante la mossa allo studio di Unicredit e Intesa Sanpaolo sui crediti ristrutturati – dice Enzo Chiesa, partner di Eidos Partners – se si concretizzasse potrebbe avere un forte impatto sulla gestione crediti in Italia: si aprirebbe la rincorsa dei concorrenti più piccoli e potrebbero nascere servicer creditizi territoriali attivi sulle sofferenze».
Altri operatori nostrani guardano alle opportunità derivanti da questo mercato in fieri. Tra loro Fonspa, banca di credito fondiario che lo scorso autunno fu rilevata dal fondo Tages per focalizzarla sulla gestione di portafogli Npl cartolarizzati (e che allo scopo sta arruolando Andrea Munari, per anni dg di Banca Imi). E Prelios Credit Servicing, guidata da Riccardo Serrini che con 8,5 miliardi di masse è il primo gestore italiano indipendente di Npl. Ricapitolando: i cespiti non mancano, anzi. Gli operatori nemmeno. Il recupero dei mercati chiude da mesi lo scarto tra i valori di presunto realizzo dei crediti difficili (dal 5 a oltre il 30%, secondo seniority e garanzie) e quelli di iscrizione a bilancio. E dove lo scarto permane, potranno aiutare sopravvenienze attive da circa 6 miliardi in arrivo per la rivalutazione delle quote Bankitalia (oltre la metà appannaggio di Intesa Sanpaolo e Unicredit). Cosa manca? Soprattutto una reale discontinuità culturale e operativa nel gestire le partite a rischio. La male intesa fratellanza tra prenditori e prestatori nel capitalismo relazionale italiano è stata fonte di molti guai. «Uno dei problemi della gestione di crediti dubbi è che normalmente è curata dai capi dei crediti – racconta un banchiere – e puoi star certo che sarà un fiasco, perché chi ha concesso quei crediti vuole recuperarli in toto, inoltre permane la relazione tra responsabilità e interessi di chi ha dato e chi ha avuto i fidi». Riusciranno i banchieri del paese più bancarizzato al mondo a separarsi dai loro clienti morosi, mettendo le loro pratiche nelle mani di recuperatori specializzati e senza cuore?
Autore: Andrea Greco
Fonte:
Repubblica