Unicredit e Intesa Sanpaolo starebbero studiando la creazione di una joint venture comune insieme al fondo Usa Kkr nella quale conferire i crediti dubbi. Si tratterebbe di circa 11 miliardi di euro di crediti ristrutturati e riguardanti clienti large corporate verso i quali entrambi gli istituti di credito sarebbero esposti.
Da alcuni mesi Piazza Cordusio sta studiando la possibilità di coinvolgere un partner nel servicing dei crediti problematici, mentre Intesa Sanpaolo starebbe accentrando in un’unica entità il portafoglio dei crediti non performanti del gruppo. Si tratta quindi di mosse che vanno nella direzione indicata dal rumour in questione. L’obiettivo della joint venture e dell’accordo con Kkr sarebbe quello di deconsolidare gli asset e, nel medio periodo, permettere l’accelerazione del recupero dei crediti con un impatto positivo sulle rettifiche di valore.
“L’ipotesi di bad bank per Intesa Sanpaolo e Unicredit sarebbe positiva, in quanto le due banche, avendo una quota di minoranza nel veicolo, potrebbero deconsolidare gli asset ponderati per il rischio e avere più capitale e liquidità per finanziare la crescita degli impieghi”, hanno commentato in una nota di oggi gli analisti di Intermonte, secondo i quali tutto dipenderà dal livello di coperture dei crediti dubbi a fine anno: “ci aspettiamo che Unicredit sia maggiormente impattata da necessità di innalzamento delle coperture”.
Comunque, gli analisti di Equita in termini relativi vedono più avvantaggiata Unicredit che parte da una qualità del credito inferiore e da un costo del rischio più alto, ovvero 125bps per Intesa Sanpaolo, oltre 200bps per Unicredit in Italia. Equita mantiene un rating hold su Intesa Sanpaolo con un target price a 1,9 euro, mentre proprio oggi ha abbassato il prezzo obiettivo di Unicredit da 6,3 a 6 euro dopo aver limato le stime di utile per azione 2014-2016 del 10% in vista dei risultati 2013 del gruppo (11 marzo). Il rating resta comunque buy (in borsa il titolo Unicredit oggi recupera l’1,01% a 5,475 euro).
Il quarto trimestre 2013 di Unicredit sarà infatti penalizzato dall’effetto cambi per l’esposizione ai mercati emergenti e dagli accantonamenti pre-asset quality review. Il primo elemento è specifico della società e, a detta di Equita, già largamente nei prezzi, il secondo è invece tipico del settore e non giustifica l’allargamento dello sconto rispetto a Intesa Sanpaolo (44%).
Ora, Turchia e Russia rappresentano il 40% circa dell’utile operativo di Unicredit nel 2013. In base ai calcoli degli analisti della sim, la svalutazione della lira turca ha avuto a oggi un impatto negativo di 670 milioni di euro sul tangible equity di Piazza Cordusio (11 centesimi per azione), in pratica il 2% della capitalizzazione di mercato della banca e 15bps di Core Tier 1. In particolare, gli esperti stimano una sensibilità di 3bps sul Core Tier 1 per ogni 5% di svalutazione della lira turca.
Quindi per tener conto dell’effetto valuta, hanno ridotto del 10% la stima di utile netto prima delle tasse della divisione CEE, con un impatto di -10% sugli utili 2014-2015 del gruppo. L’impatto dell’asset quality review dovrebbe, invece, essere pari a 4,6 miliardi di euro e gli analisti hanno ipotizzato che il 50% di questo costo (2,3 miliardi) sia registrato nel quarto trimestre, con un run-rate del costo del rischio di 112 bps come nei primi 9 mesi (1,4 miliardi).
Proprio a causa della revisione della qualità degli attivi gli analisti di Equita stimano anche rettifiche per 8,2 miliardi di euro per l’intero esercizio 2013 sopra la guidance della società di 7,5 miliardi. Parte del one-off legato alla revisione della qualità degli attivi sarà però compensato dalla rivalutazione della quota in Banca d’Italia (+1,6 miliardi) ma solo nel primo semestre. Il 2013 dovrebbe chiudere quindi in perdita per 800 milioni di euro e di conseguenza gli esperti della sim hanno azzerato il dividendo da una stima precedente di 9 centesimi
Autore: Francesca Gerosa
Fonte:
MILANO FINANZA
Unicredit e Intesa Sanpaolo starebbero studiando la creazione di una joint venture comune insieme al fondo Usa Kkr nella quale conferire i crediti dubbi. Si tratterebbe di circa 11 miliardi di euro di crediti ristrutturati e riguardanti clienti large corporate verso i quali entrambi gli istituti di credito sarebbero esposti.
Da alcuni mesi Piazza Cordusio sta studiando la possibilità di coinvolgere un partner nel servicing dei crediti problematici, mentre Intesa Sanpaolo starebbe accentrando in un’unica entità il portafoglio dei crediti non performanti del gruppo. Si tratta quindi di mosse che vanno nella direzione indicata dal rumour in questione. L’obiettivo della joint venture e dell’accordo con Kkr sarebbe quello di deconsolidare gli asset e, nel medio periodo, permettere l’accelerazione del recupero dei crediti con un impatto positivo sulle rettifiche di valore.
“L’ipotesi di bad bank per Intesa Sanpaolo e Unicredit sarebbe positiva, in quanto le due banche, avendo una quota di minoranza nel veicolo, potrebbero deconsolidare gli asset ponderati per il rischio e avere più capitale e liquidità per finanziare la crescita degli impieghi”, hanno commentato in una nota di oggi gli analisti di Intermonte, secondo i quali tutto dipenderà dal livello di coperture dei crediti dubbi a fine anno: “ci aspettiamo che Unicredit sia maggiormente impattata da necessità di innalzamento delle coperture”.
Comunque, gli analisti di Equita in termini relativi vedono più avvantaggiata Unicredit che parte da una qualità del credito inferiore e da un costo del rischio più alto, ovvero 125bps per Intesa Sanpaolo, oltre 200bps per Unicredit in Italia. Equita mantiene un rating hold su Intesa Sanpaolo con un target price a 1,9 euro, mentre proprio oggi ha abbassato il prezzo obiettivo di Unicredit da 6,3 a 6 euro dopo aver limato le stime di utile per azione 2014-2016 del 10% in vista dei risultati 2013 del gruppo (11 marzo). Il rating resta comunque buy (in borsa il titolo Unicredit oggi recupera l’1,01% a 5,475 euro).
Il quarto trimestre 2013 di Unicredit sarà infatti penalizzato dall’effetto cambi per l’esposizione ai mercati emergenti e dagli accantonamenti pre-asset quality review. Il primo elemento è specifico della società e, a detta di Equita, già largamente nei prezzi, il secondo è invece tipico del settore e non giustifica l’allargamento dello sconto rispetto a Intesa Sanpaolo (44%).
Ora, Turchia e Russia rappresentano il 40% circa dell’utile operativo di Unicredit nel 2013. In base ai calcoli degli analisti della sim, la svalutazione della lira turca ha avuto a oggi un impatto negativo di 670 milioni di euro sul tangible equity di Piazza Cordusio (11 centesimi per azione), in pratica il 2% della capitalizzazione di mercato della banca e 15bps di Core Tier 1. In particolare, gli esperti stimano una sensibilità di 3bps sul Core Tier 1 per ogni 5% di svalutazione della lira turca.
Quindi per tener conto dell’effetto valuta, hanno ridotto del 10% la stima di utile netto prima delle tasse della divisione CEE, con un impatto di -10% sugli utili 2014-2015 del gruppo. L’impatto dell’asset quality review dovrebbe, invece, essere pari a 4,6 miliardi di euro e gli analisti hanno ipotizzato che il 50% di questo costo (2,3 miliardi) sia registrato nel quarto trimestre, con un run-rate del costo del rischio di 112 bps come nei primi 9 mesi (1,4 miliardi).
Proprio a causa della revisione della qualità degli attivi gli analisti di Equita stimano anche rettifiche per 8,2 miliardi di euro per l’intero esercizio 2013 sopra la guidance della società di 7,5 miliardi. Parte del one-off legato alla revisione della qualità degli attivi sarà però compensato dalla rivalutazione della quota in Banca d’Italia (+1,6 miliardi) ma solo nel primo semestre. Il 2013 dovrebbe chiudere quindi in perdita per 800 milioni di euro e di conseguenza gli esperti della sim hanno azzerato il dividendo da una stima precedente di 9 centesimi
Autore: Francesca Gerosa
Fonte:
MILANO FINANZA