Martedì 11 settembre a Reggio Calabria si sono chiusi i festeggiamenti per la Madonna della Consolazione, patrona della città. Erano incominciati sabato 8, con la discesa dalla collina dell’Eremo fino al Duomo. In mezzo al percorso, la fermata di fronte a Palazzo San Giorgio, sede del Comune, con i portatori che gridavano “Forza Reggio”, oltre al tradizionale “Viva Maria”. Alla Madonna si chiedono i miracoli. Il primo è atteso a giorni, se non a ore, quando il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri deciderà sul commissariamento di Reggio per infiltrazioni mafiose durante le giunte del sindaco Giuseppe Scopelliti (2002-2010), oggi governatore della Regione.
Solo un miracolo può salvare dallo scioglimento il Comune della più grande città calabrese. Poi bisogna vedere da che parte sta la Madonna. I suoi rappresentanti in terra di Calabria sembrano orientati in modo contrapposto. Domenica 2 settembre 2012 dal santuario di Polsi, sancta sanctorum per i summit delle ‘ndrine, il vescovo di Locri Giuseppe Fiorini Morosini ha annunciato il perdono della Chiesa per i mafiosi e, testualmente, la volontà di «non farsi intimorire dalla stampa che aspetta da noi sacerdoti parole di disprezzo» (applausi vivissimi degli astanti).
La replica è arrivata due giorni dopo da monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza, che ha bollato i mafiosi come «cuori di Caino» e li ha accusati di devastare l’economia locale con le violenze e le estorsioni.
Nunnari avrebbe potuto citare anche l’altro fattore di devastazione: la politica locale. ‘Ndrine e assessori sono spesso insieme quando si deve decidere della vita e della morte delle attività produttive. I clan, a colpi di bombe. La politica in modo più sottile, creando un albo informale di fornitori-amici con accesso preferenziale alle casse pubbliche per appalti, consulenze e altre distribuzioni di fondi.
È bastato verniciare tutto con una patina di notti bianche, tronisti e leoni del pop in concerto come Elton John e battezzare il risultato finale “modello Reggio”. È durato dieci anni questo modello creato dai figli dei “boia chi molla”, criticato da 400 pagine di relazione prefettizia e celebrato con decine di inchieste della magistratura.
L’elenco è sterminato. Si può citare la Multiservizi spa, una joint-venture tra il Comune e la cosca Tegano. Ci sono le parentele pericolose di Massimo Pascale, ex segretario particolare di Scopelliti e ora capostruttura in Regione, e dell’ex assessore Luigi Tuccio, figlio di un presidente di Cassazione. Pascale e Tuccio sono cognati di Pasquale Condello, cugino omonimo del “Supremo”, catturato nel 2008.
Ci sono gli incarichi ad hoc per Alessandra Sarlo, moglie del giudice Vincenzo Giglio arrestato dalla Procura di Milano per i suoi rapporti con il clan Lampada. C’è l’arresto a fine luglio dell’ex consigliere pro-Scopelliti, Dominique Suraci, punto di riferimento dei clan cittadini per la grande distribuzione.
La pagina delle infiltrazioni mafiose potrebbe bastare a sbriciolare il “modello Reggio”. Ma Reggio è anche a forte rischio di dissesto finanziario. Anni di spendi e spandi per creare una realtà mitologica a base di feste in differita Rai e dirette radio quotidiane su Rtl 102,5 con il sindaco Scopelliti (nome d’arte Peppe Dj) hanno creato un buco che il primo cittadino attuale Demetrio Arena stima in 118 milioni di euro. Gli ispettori delle Finanze lo quantificano prudenzialmente in 170 milioni, di cui 70 di puro saccheggio dalle pubbliche casse.
Come capro espiatorio per tutti si è immolata Orsola Fallara, responsabile del settore Finanze e Tributi del Comune. Ufficiale pagatore di Scopelliti e custode dei segreti finanziari della giunta, Fallara è morta suicida il 17 dicembre 2010 dopo quasi due giorni di coma e due mesi di attacchi dell’opposizione, che l’accusava documenti alla mano di essersi liquidata quasi 1,5 milioni di euro dal 2008 al 2010. Come dirigente del Comune pagava se stessa in quanto consulente del Comune. E così faceva con altri sodali di Scopelliti.
Dopo gli attacchi dei “nemici di Reggio”, i consiglieri dell’opposizione Demetrio Naccari Carlizzi, Sebi Romeo e Massimo Canale, anche Scopelliti ha scaricato la manager che, poche ore dopo una conferenza stampa, ha inghiottito una dose mortale di acido muriatico. La Procura, diretta dall’attuale procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e dal suo vice Michele Prestipino, ha chiuso l’indagine senza autopsia e senza verificare i tabulati telefonici della dirigente inquisita. Eppure sono fondamentali per capire se la difesa di Scopelliti, inquisito a sua volta per la gestione delle finanze municipali, è fondata.
Il governatore ha dichiarato che lui poteva non sapere. Firmava decine di carte al giorno. Non si poteva pretendere che le leggesse. Si fidava dei suoi e, in particolare, dell’amica di infanzia Orsola. Quando le autoliquidazioni sono state portate alla luce dall’opposizione, lei gli avrebbe scritto per sms “mi vergogno”. E lui: “Ti dovevi vergognare prima”. Un dialogo da film che, senza verifica sui tabulati, diventa inconfutabile.
È altrettanto inconfutabile che gli altri beneficati dalla Fallara, quelli vivi, non sono stati affatto abbandonati da Peppe Dj. Il city manager Franco Zoccali o il dirigente dell’Urbanistica Saverio Putortì, entrambi indagati, sono stati promossi a più alto incarico in Regione. La patata bollente dei conti è stata girata all’epigono di Scopelliti, il sindaco in carica Arena. Dottore commercialista, Arena sa che la salvezza contabile è legata a qualche fondo straordinario, magari dalla legge sulle dieci aree metropolitane d’Italia di cui Reggio fa parte, e al mantenimento di poste di bilancio come quella sui residui attivi, un presunto tesoro da 626 milioni di euro fatto di crediti in larga parte inesigibili.
n proporzione, il “modello Reggio” spazza via la concorrenza. La Sicilia ha 5,3 miliardi di euro di residui attivi e 5 milioni di abitanti (circa mille euro di crediti pro capite). I reggini sono poco meno di 200 mila con il triplo di crediti. In compenso, alla fine del 2010 Reggio aveva fondi di cassa per soli 2 milioni di euro, secondo il bilancio consuntivo approvato a luglio del 2012 con un anno di ritardo. Al solito, ci vanno di mezzo i fornitori, come l’impresa Siclari che si è vista sospendere 400 mila euro di pagamenti da Scopelliti per il restauro del Castello Aragonese.
Le incrinature del sistema e l’austerity nella spesa pubblica si fanno sentire anche sulle cosche cittadine. Le inchieste Assenzio e Sistema della Dda le mostrano unite per gestire il mercato alimentare in una città dove le catene della grande distribuzione non fanno certo la fila per entrare.
Con l’arresto a fine luglio dell’ex eletto scopellitiano Suraci, gestore di sei supermercati con marchio Sma, i magistrati hanno elencato con minuzia la pax mafiosa sullo scaffale. I De Stefano-Tegano provvedevano a latte, formaggi, uova, ortofrutta e gelati. La cosca Caridi vendeva il pane. I Lo Giudice e i Rosmini fornivano gli imballaggi di plastica e cartone. I Condello la pasta fresca e i Labate il bestiame.
A ciascuno il suo, con una bella pietra sopra a una guerra da ottocento morti in nome dei soldi e del controllo del territorio. Ma tanto controllo del territorio e pochi soldi, quanto meno in confronto ai clan della Piana. Loro possono godersi quella miniera d’oro a getto continuo che è il porto di Gioia Tauro.
Dall’inizio del 2012 i sequestri di cocaina nascosta nei container sfiorano le 2 tonnellate per un controvalore di mercato di 450 milioni di euro. Se, ad essere ottimisti, la droga intercettata è pari a qualche punto percentuale sul totale della merce in arrivo, si sta parlando di alcune decine di miliardi di euro all’anno di giro d’affari. È dura fare i margini della coca con il pecorino e la soppressata.
Le cosche urbane, compensate dai clan più ricchi con le alleanze d’affari al Nord, riequilibrano il gap finanziario con un esercito di colletti bianchi per riciclare e con l’influenza politica. Cioè con l’influenza sui politici attraverso figure imprenditoriali come Pasquale Rappoccio, che spaziava dalla Calabria alla Lombardia e dal turistico-alberghiero alla sanità, due settori tenuti in piedi con fondi pubblici.
Quando l’hanno arrestato come partner d’affari dei Condello, un anno fa, Rappoccio custodiva in casa i simboli che meglio sintetizzano il “modello Reggio”. C’erano le immagini della Madonna della Consolazione e della Madonna della Montagna. E c’era il bric-à-brac di grembiuli e medaglioni della Gran Loggia Regolare d’Italia, presente in città con cinque logge dichiarate (Bereshit, Odigitria, Alchimia, San Giorgio, Tommaso Campanella) e diretta dal romano Fabio Venzi, studioso di rapporti tra massoneria e fascismo. La stanza di compensazione del potere, a Reggio, è sempre la loggia. Ma forse sta volta non basterà a salvare il “modello Scopelliti”.
E UN APPALTO MILIONARIO ALLA PREDILETTA DI BERLUSCONI…
Dal punto di vista della finanza pubblica, il “modello Reggio” è tutto nell’appalto per servizi di contact center affidato a Euro Service Group (Esg), società romana controllata da Antonio Persici e dalla moglie Mariarosaria Rossi, onorevole del Pdl con l’incarico molto speciale di gestire l’agenda di Silvio Berlusconi in persona.
L’imprenditrice non era ancora entrata in Parlamento quando nel 2006 la giunta reggina guidata da Giuseppe Scopelliti bandiva una gara per esternalizzare l’appalto di contact center “Chiamareggio”, prima gestito da due partecipate del Comune. L’importo iniziale veniva determinato in 2,3 milioni di euro per due anni (2007 e 2008) con una dotazione di 60 operatori.
Durante l’assegnazione, emergeva che il disciplinare tecnico della gara era stato elaborato non dagli uffici comunali ma dal computer di Pierpaolo Persici, figlio di Antonio e consigliere di Esg. La società romana si aggiudicava l’appalto a gennaio 2007 ma le proteste dell’opposizione portavano alla sospensione della gara.
Nonostante questo, a maggio, l’appalto veniva assegnato a Esg e poi prorogato di due anni (2009 e 2010). Nello stesso periodo, un appalto per un servizio analogo veniva aggiudicato a un’altra società esterna per soli 20 mila euro. L’ultima proroga a favore della società dell’onorevole Rossi porta la data del 10 dicembre 2010 e prevede un termine di altri tre mesi per un compenso di 277 mila euro. Il totale sfiora i 5 milioni.
Autore: Gianfrancesco Turano per “l’Espresso”
Fonte:
Dagospia
Martedì 11 settembre a Reggio Calabria si sono chiusi i festeggiamenti per la Madonna della Consolazione, patrona della città. Erano incominciati sabato 8, con la discesa dalla collina dell’Eremo fino al Duomo. In mezzo al percorso, la fermata di fronte a Palazzo San Giorgio, sede del Comune, con i portatori che gridavano “Forza Reggio”, oltre al tradizionale “Viva Maria”. Alla Madonna si chiedono i miracoli. Il primo è atteso a giorni, se non a ore, quando il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri deciderà sul commissariamento di Reggio per infiltrazioni mafiose durante le giunte del sindaco Giuseppe Scopelliti (2002-2010), oggi governatore della Regione.
Solo un miracolo può salvare dallo scioglimento il Comune della più grande città calabrese. Poi bisogna vedere da che parte sta la Madonna. I suoi rappresentanti in terra di Calabria sembrano orientati in modo contrapposto. Domenica 2 settembre 2012 dal santuario di Polsi, sancta sanctorum per i summit delle ‘ndrine, il vescovo di Locri Giuseppe Fiorini Morosini ha annunciato il perdono della Chiesa per i mafiosi e, testualmente, la volontà di «non farsi intimorire dalla stampa che aspetta da noi sacerdoti parole di disprezzo» (applausi vivissimi degli astanti).
La replica è arrivata due giorni dopo da monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza, che ha bollato i mafiosi come «cuori di Caino» e li ha accusati di devastare l’economia locale con le violenze e le estorsioni.
Nunnari avrebbe potuto citare anche l’altro fattore di devastazione: la politica locale. ‘Ndrine e assessori sono spesso insieme quando si deve decidere della vita e della morte delle attività produttive. I clan, a colpi di bombe. La politica in modo più sottile, creando un albo informale di fornitori-amici con accesso preferenziale alle casse pubbliche per appalti, consulenze e altre distribuzioni di fondi.
È bastato verniciare tutto con una patina di notti bianche, tronisti e leoni del pop in concerto come Elton John e battezzare il risultato finale “modello Reggio”. È durato dieci anni questo modello creato dai figli dei “boia chi molla”, criticato da 400 pagine di relazione prefettizia e celebrato con decine di inchieste della magistratura.
L’elenco è sterminato. Si può citare la Multiservizi spa, una joint-venture tra il Comune e la cosca Tegano. Ci sono le parentele pericolose di Massimo Pascale, ex segretario particolare di Scopelliti e ora capostruttura in Regione, e dell’ex assessore Luigi Tuccio, figlio di un presidente di Cassazione. Pascale e Tuccio sono cognati di Pasquale Condello, cugino omonimo del “Supremo”, catturato nel 2008.
Ci sono gli incarichi ad hoc per Alessandra Sarlo, moglie del giudice Vincenzo Giglio arrestato dalla Procura di Milano per i suoi rapporti con il clan Lampada. C’è l’arresto a fine luglio dell’ex consigliere pro-Scopelliti, Dominique Suraci, punto di riferimento dei clan cittadini per la grande distribuzione.
La pagina delle infiltrazioni mafiose potrebbe bastare a sbriciolare il “modello Reggio”. Ma Reggio è anche a forte rischio di dissesto finanziario. Anni di spendi e spandi per creare una realtà mitologica a base di feste in differita Rai e dirette radio quotidiane su Rtl 102,5 con il sindaco Scopelliti (nome d’arte Peppe Dj) hanno creato un buco che il primo cittadino attuale Demetrio Arena stima in 118 milioni di euro. Gli ispettori delle Finanze lo quantificano prudenzialmente in 170 milioni, di cui 70 di puro saccheggio dalle pubbliche casse.
Come capro espiatorio per tutti si è immolata Orsola Fallara, responsabile del settore Finanze e Tributi del Comune. Ufficiale pagatore di Scopelliti e custode dei segreti finanziari della giunta, Fallara è morta suicida il 17 dicembre 2010 dopo quasi due giorni di coma e due mesi di attacchi dell’opposizione, che l’accusava documenti alla mano di essersi liquidata quasi 1,5 milioni di euro dal 2008 al 2010. Come dirigente del Comune pagava se stessa in quanto consulente del Comune. E così faceva con altri sodali di Scopelliti.
Dopo gli attacchi dei “nemici di Reggio”, i consiglieri dell’opposizione Demetrio Naccari Carlizzi, Sebi Romeo e Massimo Canale, anche Scopelliti ha scaricato la manager che, poche ore dopo una conferenza stampa, ha inghiottito una dose mortale di acido muriatico. La Procura, diretta dall’attuale procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e dal suo vice Michele Prestipino, ha chiuso l’indagine senza autopsia e senza verificare i tabulati telefonici della dirigente inquisita. Eppure sono fondamentali per capire se la difesa di Scopelliti, inquisito a sua volta per la gestione delle finanze municipali, è fondata.
Il governatore ha dichiarato che lui poteva non sapere. Firmava decine di carte al giorno. Non si poteva pretendere che le leggesse. Si fidava dei suoi e, in particolare, dell’amica di infanzia Orsola. Quando le autoliquidazioni sono state portate alla luce dall’opposizione, lei gli avrebbe scritto per sms “mi vergogno”. E lui: “Ti dovevi vergognare prima”. Un dialogo da film che, senza verifica sui tabulati, diventa inconfutabile.
È altrettanto inconfutabile che gli altri beneficati dalla Fallara, quelli vivi, non sono stati affatto abbandonati da Peppe Dj. Il city manager Franco Zoccali o il dirigente dell’Urbanistica Saverio Putortì, entrambi indagati, sono stati promossi a più alto incarico in Regione. La patata bollente dei conti è stata girata all’epigono di Scopelliti, il sindaco in carica Arena. Dottore commercialista, Arena sa che la salvezza contabile è legata a qualche fondo straordinario, magari dalla legge sulle dieci aree metropolitane d’Italia di cui Reggio fa parte, e al mantenimento di poste di bilancio come quella sui residui attivi, un presunto tesoro da 626 milioni di euro fatto di crediti in larga parte inesigibili.
n proporzione, il “modello Reggio” spazza via la concorrenza. La Sicilia ha 5,3 miliardi di euro di residui attivi e 5 milioni di abitanti (circa mille euro di crediti pro capite). I reggini sono poco meno di 200 mila con il triplo di crediti. In compenso, alla fine del 2010 Reggio aveva fondi di cassa per soli 2 milioni di euro, secondo il bilancio consuntivo approvato a luglio del 2012 con un anno di ritardo. Al solito, ci vanno di mezzo i fornitori, come l’impresa Siclari che si è vista sospendere 400 mila euro di pagamenti da Scopelliti per il restauro del Castello Aragonese.
Le incrinature del sistema e l’austerity nella spesa pubblica si fanno sentire anche sulle cosche cittadine. Le inchieste Assenzio e Sistema della Dda le mostrano unite per gestire il mercato alimentare in una città dove le catene della grande distribuzione non fanno certo la fila per entrare.
Con l’arresto a fine luglio dell’ex eletto scopellitiano Suraci, gestore di sei supermercati con marchio Sma, i magistrati hanno elencato con minuzia la pax mafiosa sullo scaffale. I De Stefano-Tegano provvedevano a latte, formaggi, uova, ortofrutta e gelati. La cosca Caridi vendeva il pane. I Lo Giudice e i Rosmini fornivano gli imballaggi di plastica e cartone. I Condello la pasta fresca e i Labate il bestiame.
A ciascuno il suo, con una bella pietra sopra a una guerra da ottocento morti in nome dei soldi e del controllo del territorio. Ma tanto controllo del territorio e pochi soldi, quanto meno in confronto ai clan della Piana. Loro possono godersi quella miniera d’oro a getto continuo che è il porto di Gioia Tauro.
Dall’inizio del 2012 i sequestri di cocaina nascosta nei container sfiorano le 2 tonnellate per un controvalore di mercato di 450 milioni di euro. Se, ad essere ottimisti, la droga intercettata è pari a qualche punto percentuale sul totale della merce in arrivo, si sta parlando di alcune decine di miliardi di euro all’anno di giro d’affari. È dura fare i margini della coca con il pecorino e la soppressata.
Le cosche urbane, compensate dai clan più ricchi con le alleanze d’affari al Nord, riequilibrano il gap finanziario con un esercito di colletti bianchi per riciclare e con l’influenza politica. Cioè con l’influenza sui politici attraverso figure imprenditoriali come Pasquale Rappoccio, che spaziava dalla Calabria alla Lombardia e dal turistico-alberghiero alla sanità, due settori tenuti in piedi con fondi pubblici.
Quando l’hanno arrestato come partner d’affari dei Condello, un anno fa, Rappoccio custodiva in casa i simboli che meglio sintetizzano il “modello Reggio”. C’erano le immagini della Madonna della Consolazione e della Madonna della Montagna. E c’era il bric-à-brac di grembiuli e medaglioni della Gran Loggia Regolare d’Italia, presente in città con cinque logge dichiarate (Bereshit, Odigitria, Alchimia, San Giorgio, Tommaso Campanella) e diretta dal romano Fabio Venzi, studioso di rapporti tra massoneria e fascismo. La stanza di compensazione del potere, a Reggio, è sempre la loggia. Ma forse sta volta non basterà a salvare il “modello Scopelliti”.
E UN APPALTO MILIONARIO ALLA PREDILETTA DI BERLUSCONI…
Dal punto di vista della finanza pubblica, il “modello Reggio” è tutto nell’appalto per servizi di contact center affidato a Euro Service Group (Esg), società romana controllata da Antonio Persici e dalla moglie Mariarosaria Rossi, onorevole del Pdl con l’incarico molto speciale di gestire l’agenda di Silvio Berlusconi in persona.
L’imprenditrice non era ancora entrata in Parlamento quando nel 2006 la giunta reggina guidata da Giuseppe Scopelliti bandiva una gara per esternalizzare l’appalto di contact center “Chiamareggio”, prima gestito da due partecipate del Comune. L’importo iniziale veniva determinato in 2,3 milioni di euro per due anni (2007 e 2008) con una dotazione di 60 operatori.
Durante l’assegnazione, emergeva che il disciplinare tecnico della gara era stato elaborato non dagli uffici comunali ma dal computer di Pierpaolo Persici, figlio di Antonio e consigliere di Esg. La società romana si aggiudicava l’appalto a gennaio 2007 ma le proteste dell’opposizione portavano alla sospensione della gara.
Nonostante questo, a maggio, l’appalto veniva assegnato a Esg e poi prorogato di due anni (2009 e 2010). Nello stesso periodo, un appalto per un servizio analogo veniva aggiudicato a un’altra società esterna per soli 20 mila euro. L’ultima proroga a favore della società dell’onorevole Rossi porta la data del 10 dicembre 2010 e prevede un termine di altri tre mesi per un compenso di 277 mila euro. Il totale sfiora i 5 milioni.
Autore: Gianfrancesco Turano per “l’Espresso”
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