I crediti a rischio sono come un virus per le banche: potenzialmente molto pericolosi, ma debellabili se affrontati con un farmaco giusto e assunto in dosi adeguate. Il problema, per gli istituti di credito italiani, è che mentre questo virus si sta espandendo in misura notevole, le medicine iniziano a scarseggiare. Basta guardare le semestrali appena presentate per rendersene conto, visto che l’ammontare lordo dei crediti deteriorati delle prime dieci banche italiane è aumentato del 9,9% in soli 6 mesi, passando dai 177,6 miliardi del 2011 ai 195,2 miliardi di fine giugno.
La crescita è rilevante, anche se bisogna considerare che dal primo gennaio 2012 le regole di Basilea impongono di classificare come crediti deteriorati (sotto la «esposizioni scaduti») tutti gli sconfinamenti continuativi superiori a 90 giorni, mentre in precedenza il limite era di 180 giorni. «Senza quest’effetto l’incremento dei crediti deteriorati sarebbe attorno al 7%», osserva Gabriele Benedetto, senior manager di Value Partners: una cifra inferiore a quanto registrato nel 2011 (+10,7%), ma non per questo meno preoccupante.
Nel complesso le posizioni a rischio delle 10 principali banche italiane, la maggior parte delle quali è rappresentata dalle sofferenze (107,3 miliardi, il 55%), risultano pari al 12,9% dell’ammontare complessivo dei crediti e anche in questo caso il fatto che l’incidenza sia in crescita rispetto agli anni precedenti (11,7% nel 2011 e 10,6% nel 2010) non è certo un segnale tranquillizzante. Come rassicurante non è la crescita più accentuata delle partite incagliate (+9,1% a 53,9 miliardi), l’ultimo grado (dopo le esposizioni scadute e ristrutturate) prima dell’ingresso fra le sofferenze: se nei prossimi mesi la situazione economica italiana dovesse ulteriormente peggiorare, i debitori potrebbero divenire insolventi e i crediti inesigibili.
Il peso della recessione Ed è proprio alla congiuntura che si deve in primo luogo guardare per spiegare la dinamica recente dei crediti deteriorati, perché la loro impennata è l’immediata conseguenza di ogni recessione: la stagnazione colpisce famiglie e soprattutto imprese, che faticano sempre più a mantenere fede agli impegni con le banche. A peggiorare la situazione, in questa particolare fase, è il vertiginoso aumento del costo della raccolta (un effetto legato anche alla crisi del debito pubblico) che ha contribuito a spingere gli istituti di credito a limitare la concessione di finanziamenti. Con il crollo delle erogazioni di nuovi crediti (tendenzialmente sani) cresce infatti anche la percentuale di «mele marce» sul totale, cioè il rapporto fra partite deteriorate e impieghi complessivi.
C’è poi un ulteriore aspetto che distingue la crisi attuale dalle precedenti, a suo modo una conseguenza indiretta del crack-Lehman: «Fino a 4 anni fa sottolinea Benedetto le banche potevano cedere a società terze i crediti deteriorati e in questo modo liberare risorse utili da reimpiegare. Oggi non esiste praticamente più un mercato commerciale per simili prodotti, le sofferenze vanno gestite in autonomia e continuano a pesare sui bilanci».
La coperta si accorcia L’altro elemento di rilievo in questi primi 6 mesi dell’anno è il calo delle coperture messe a bilancio dalle banche a fronte delle partite deteriorate. La «medicina» di cui si parlava in precedenza è scesa mediamente per i primi 10 istituti italiani dal 40,7% al 39% del totale dei crediti lordi. Occorre però notare che lo spaccato banca per banca offre scenari differenti: UniCredit e Intesa Sanpaolo, per esempio, hanno coperto rispettivamente il 43,8% e il 42,7% delle posizioni deteriorate, Mps il 39,2%, mentre le altre hanno valori più bassi, che scendono in alcuni casi anche sotto il 25 per cento. Una disparità legata ai diversi criteri di monitoraggio dei crediti adottati da ciascun istituto e probabilmente anche a logiche di bilancio: dopotutto gli accantonamenti pesano sul conto economico e in un periodo di «vacche magre» come l’attuale si può decidere di non calcare la mano per rimpolpare l’utile o tamponare le perdite.
Il confronto internazionale Il balzo delle sofferenze bancarie non è ovviamente un fenomeno tutto italiano, ma va condiviso con gli altri Paesi europei, anche se con gradi differenti. Una misura di paragone efficace è il costo del credito, cioè il rapporto fra le rettifiche effettuate per il peggioramento della qualità del credito e il totale degli impieghi al netto delle rettifiche già effettuate. In Italia questo indicatore varia dai 55 punti base di Banca Carige fino ai 120 di Bper ed è naturalmente superiore ai valori registrati in Francia e Germania (30-50 punti), Finlandia (20-30 punti) e Svezia (addirittura 7-12 punti). Concedere prestiti nel nostro Paese è più oneroso e rischioso, ma c’è chi ci batte visto che in Spagna il costo del credito viaggia sui 180 punti base: una classifica che ricorda da vicino quella dello spread sui titoli di Stato, a conferma della relazione stretta che lega la crisi del debito sovrano e quella del settore finanziario.
Autore: Maximilian Cellino
Fonte:
Ilsole24ore
I crediti a rischio sono come un virus per le banche: potenzialmente molto pericolosi, ma debellabili se affrontati con un farmaco giusto e assunto in dosi adeguate. Il problema, per gli istituti di credito italiani, è che mentre questo virus si sta espandendo in misura notevole, le medicine iniziano a scarseggiare. Basta guardare le semestrali appena presentate per rendersene conto, visto che l’ammontare lordo dei crediti deteriorati delle prime dieci banche italiane è aumentato del 9,9% in soli 6 mesi, passando dai 177,6 miliardi del 2011 ai 195,2 miliardi di fine giugno.
La crescita è rilevante, anche se bisogna considerare che dal primo gennaio 2012 le regole di Basilea impongono di classificare come crediti deteriorati (sotto la «esposizioni scaduti») tutti gli sconfinamenti continuativi superiori a 90 giorni, mentre in precedenza il limite era di 180 giorni. «Senza quest’effetto l’incremento dei crediti deteriorati sarebbe attorno al 7%», osserva Gabriele Benedetto, senior manager di Value Partners: una cifra inferiore a quanto registrato nel 2011 (+10,7%), ma non per questo meno preoccupante.
Nel complesso le posizioni a rischio delle 10 principali banche italiane, la maggior parte delle quali è rappresentata dalle sofferenze (107,3 miliardi, il 55%), risultano pari al 12,9% dell’ammontare complessivo dei crediti e anche in questo caso il fatto che l’incidenza sia in crescita rispetto agli anni precedenti (11,7% nel 2011 e 10,6% nel 2010) non è certo un segnale tranquillizzante. Come rassicurante non è la crescita più accentuata delle partite incagliate (+9,1% a 53,9 miliardi), l’ultimo grado (dopo le esposizioni scadute e ristrutturate) prima dell’ingresso fra le sofferenze: se nei prossimi mesi la situazione economica italiana dovesse ulteriormente peggiorare, i debitori potrebbero divenire insolventi e i crediti inesigibili.
Il peso della recessione Ed è proprio alla congiuntura che si deve in primo luogo guardare per spiegare la dinamica recente dei crediti deteriorati, perché la loro impennata è l’immediata conseguenza di ogni recessione: la stagnazione colpisce famiglie e soprattutto imprese, che faticano sempre più a mantenere fede agli impegni con le banche. A peggiorare la situazione, in questa particolare fase, è il vertiginoso aumento del costo della raccolta (un effetto legato anche alla crisi del debito pubblico) che ha contribuito a spingere gli istituti di credito a limitare la concessione di finanziamenti. Con il crollo delle erogazioni di nuovi crediti (tendenzialmente sani) cresce infatti anche la percentuale di «mele marce» sul totale, cioè il rapporto fra partite deteriorate e impieghi complessivi.
C’è poi un ulteriore aspetto che distingue la crisi attuale dalle precedenti, a suo modo una conseguenza indiretta del crack-Lehman: «Fino a 4 anni fa sottolinea Benedetto le banche potevano cedere a società terze i crediti deteriorati e in questo modo liberare risorse utili da reimpiegare. Oggi non esiste praticamente più un mercato commerciale per simili prodotti, le sofferenze vanno gestite in autonomia e continuano a pesare sui bilanci».
La coperta si accorcia L’altro elemento di rilievo in questi primi 6 mesi dell’anno è il calo delle coperture messe a bilancio dalle banche a fronte delle partite deteriorate. La «medicina» di cui si parlava in precedenza è scesa mediamente per i primi 10 istituti italiani dal 40,7% al 39% del totale dei crediti lordi. Occorre però notare che lo spaccato banca per banca offre scenari differenti: UniCredit e Intesa Sanpaolo, per esempio, hanno coperto rispettivamente il 43,8% e il 42,7% delle posizioni deteriorate, Mps il 39,2%, mentre le altre hanno valori più bassi, che scendono in alcuni casi anche sotto il 25 per cento. Una disparità legata ai diversi criteri di monitoraggio dei crediti adottati da ciascun istituto e probabilmente anche a logiche di bilancio: dopotutto gli accantonamenti pesano sul conto economico e in un periodo di «vacche magre» come l’attuale si può decidere di non calcare la mano per rimpolpare l’utile o tamponare le perdite.
Il confronto internazionale Il balzo delle sofferenze bancarie non è ovviamente un fenomeno tutto italiano, ma va condiviso con gli altri Paesi europei, anche se con gradi differenti. Una misura di paragone efficace è il costo del credito, cioè il rapporto fra le rettifiche effettuate per il peggioramento della qualità del credito e il totale degli impieghi al netto delle rettifiche già effettuate. In Italia questo indicatore varia dai 55 punti base di Banca Carige fino ai 120 di Bper ed è naturalmente superiore ai valori registrati in Francia e Germania (30-50 punti), Finlandia (20-30 punti) e Svezia (addirittura 7-12 punti). Concedere prestiti nel nostro Paese è più oneroso e rischioso, ma c’è chi ci batte visto che in Spagna il costo del credito viaggia sui 180 punti base: una classifica che ricorda da vicino quella dello spread sui titoli di Stato, a conferma della relazione stretta che lega la crisi del debito sovrano e quella del settore finanziario.
Autore: Maximilian Cellino
Fonte:
Ilsole24ore