La riforma Fornero non supera il primo esame del mercato del lavoro. A un mese dall’entrata in vigore della legge n. 92/2012 non si registrano progressi sul piano occupazionale, anzi diminuiscono i contratti a progetto e la maggior parte dei lavoratori a chiamata, dopo la fine del periodo transitorio, non saranno confermati.
Le rilevazioni fatte dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro su un campione significativo di studi professionali non lasciano dubbi: gli imprenditori non credono alle novità in materia di lavoro. Se l’auspicio del governo è che con la riforma gli imprenditori investano sull’occupazione, al momento l’orientamento appare assolutamente diverso.
Un primo importante dato che emerge dall’indagine statistica è che nel 93% di piccole aziende si è bloccato l’avvio di contratti a progetto. Il blocco si è registrato anche nelle grandi aziende per il residuo 7%. Al momento, queste aziende non hanno avviato rapporti di lavoro con altri contratti. Il 52% del campione riferisce che l’eliminazione della causale nel primo contratto a termine in questo primo mese non ha prodotto un aumento rilevante dei rapporti.
Quindi, sembra che in questa prima fase ci sia ancora diffidenza rispetto ai criteri applicativi della novità legislativa, se si pensa che il 28% sostiene fermamente che questa novità non ha prodotto nessun effetto sull’occupazione delle aziende assistite. È stato analizzato anche il nuovo obbligo di comunicazione dei lavoratori intermittenti. Nel 41% dei casi le aziende hanno difficoltà per la mancanza degli strumenti idonei ad effettuare la comunicazione. Nel 36% denuncia difficoltà di carattere amministrativo per l’effettuazione dell’adempimento.
Sempre sul lavoro intermittente, il 54% del campione dei consulenti del lavoro intervistati dichiarano che i datori di lavoro assistiti, al termine del periodo transitorio, risolveranno definitivamente il contratto con i propri lavoratori incompatibili con la nuova legge. Le difficoltà si registrano anche nella norma contro le dimissioni in bianco.
Nel 56% dei casi sono stati rappresentati problemi applicativi per i datori di lavoro. Ma anche gli stessi lavoratori sono rimasti vittime della burocrazia nel 36% del campione. Mentre solo l’8% degli intervistati ha affermato che la norma non abbia prodotto alcun effetto. La valutazione complessiva sulle novità legislative in tema di flessibilità in entrata è molto negativa: nel 90% dei casi le novità creano solo rigidità e solo nel 2% dei casi le considera idonee a creare nuova occupazione. Anche sulla flessibilità in uscita il giudizio è molto negativo nel 73% dei casi.
Fonte:
ITALIA OGGI
La riforma Fornero non supera il primo esame del mercato del lavoro. A un mese dall’entrata in vigore della legge n. 92/2012 non si registrano progressi sul piano occupazionale, anzi diminuiscono i contratti a progetto e la maggior parte dei lavoratori a chiamata, dopo la fine del periodo transitorio, non saranno confermati.
Le rilevazioni fatte dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro su un campione significativo di studi professionali non lasciano dubbi: gli imprenditori non credono alle novità in materia di lavoro. Se l’auspicio del governo è che con la riforma gli imprenditori investano sull’occupazione, al momento l’orientamento appare assolutamente diverso.
Un primo importante dato che emerge dall’indagine statistica è che nel 93% di piccole aziende si è bloccato l’avvio di contratti a progetto. Il blocco si è registrato anche nelle grandi aziende per il residuo 7%. Al momento, queste aziende non hanno avviato rapporti di lavoro con altri contratti. Il 52% del campione riferisce che l’eliminazione della causale nel primo contratto a termine in questo primo mese non ha prodotto un aumento rilevante dei rapporti.
Quindi, sembra che in questa prima fase ci sia ancora diffidenza rispetto ai criteri applicativi della novità legislativa, se si pensa che il 28% sostiene fermamente che questa novità non ha prodotto nessun effetto sull’occupazione delle aziende assistite. È stato analizzato anche il nuovo obbligo di comunicazione dei lavoratori intermittenti. Nel 41% dei casi le aziende hanno difficoltà per la mancanza degli strumenti idonei ad effettuare la comunicazione. Nel 36% denuncia difficoltà di carattere amministrativo per l’effettuazione dell’adempimento.
Sempre sul lavoro intermittente, il 54% del campione dei consulenti del lavoro intervistati dichiarano che i datori di lavoro assistiti, al termine del periodo transitorio, risolveranno definitivamente il contratto con i propri lavoratori incompatibili con la nuova legge. Le difficoltà si registrano anche nella norma contro le dimissioni in bianco.
Nel 56% dei casi sono stati rappresentati problemi applicativi per i datori di lavoro. Ma anche gli stessi lavoratori sono rimasti vittime della burocrazia nel 36% del campione. Mentre solo l’8% degli intervistati ha affermato che la norma non abbia prodotto alcun effetto. La valutazione complessiva sulle novità legislative in tema di flessibilità in entrata è molto negativa: nel 90% dei casi le novità creano solo rigidità e solo nel 2% dei casi le considera idonee a creare nuova occupazione. Anche sulla flessibilità in uscita il giudizio è molto negativo nel 73% dei casi.
Fonte:
ITALIA OGGI