La redditività e gli utili delle aziende italiane sono in ripresa. Le imprese hanno potuto beneficiare di minori oneri finanziari nel 2010 grazie al calo dei tassi e l’impatto è stato positivo sui profitti. Così le aziende hanno migliorato la solidità finanziaria: è diminuito il numero di imprese a rischio di insolvenza. Ma nello stesso anno si è ridotta la capacità delle aziende di creare valore: questo perché l’incremento di redditività non è comunque bastato a compensare l’aumento dello stock del debito, dovuto principalmente alla ricostituzione delle scorte, in seguito alla crisi del 2009 che aveva svuotato i magazzini delle aziende. È quanto emerge nel Rapporto sull’Industria Italiana 2012 elaborato da K Finance in collaborazione con The European House Ambrosetti. Riguardo all’andamento delle imprese nel 2011 (i bilanci sono ancora in via di approvazione), il presidente di K Finance Giuseppe Grasso anticipa: «Le aziende con export per oltre il 40% di fatturato hanno realizzato in molti casi risultati da record. Si sono aggravate invece le difficoltà per chi opera esclusivamente in Italia, vista la bassa domanda interna. Tuttavia negli ultimi due trimestri del 2011, proprio mentre il pil italiano tornava a scendere, c’è stata una flessione delle insolvenze: questo è un segnale positivo per la crescita nei prossimi trimestri».La redditività operativa delle aziende è risalita nel 2010 al 6,7 dal 6,5% dell’anno precedente. Il mol si è così avvicinato ai livelli del 2008 (7%). L’utile netto medio è invece risalito allo 0,8% dei ricavi (dallo 0,6%), soprattutto grazie al calo dell’incidenza degli oneri finanziari (scesi dall’1 allo 0,8% sui ricavi): questi ultimi sono diminuiti grazie al calo dei tassi di interessi che si è avuto nel 2010, in coincidenza con la politica monetaria espansiva della Bce. La discesa degli oneri finanziari è ancora più significativa se si considera che l’indebitamento è aumentato dal 9 al 15% dei ricavi, tornando agli stessi livelli del 2008. «L’indebitamento è aumentato per effetto della ricostituzione del capitale circolante, che si era fortemente ridotto nel 2009», spiega il rapporto. «Lo scenario sul credito allora era diverso da quello attuale: ora le banche sono più selettive nel credito e lo fanno a costi più alti», precisa Grasso.La crescita dei debiti ha superato quella della redditività, colpendo così la capacità di creazione di valore dell’industria manifatturiera italiana. K Finance e Ambrosetti hanno misurato il teorico valore finanziario delle aziende, ovvero la capacità di generare una redditività adeguata rispetto ai capitali impiegati, attraverso un Indice di Valore Finanziario (nel dettaglio, l’Ivf è stato calcolato come multiplo di sei volte l’ebitda meno i debiti, il tutto in rapporto ai ricavi). Ebbene, l’indice è calato da 29,9 a 26,7, ai minimi da sei anni (si veda grafico in pagina). L’andamento dell’indice, spiega il rapporto, è utile anche per interpretare l’evoluzione dell’industria italiana negli ultimi anni. Il momento di maggiore capacità di creare valore è stato raggiunto nel 2006 (Ivf pari a circa 33), con una redditività elevata (7,4%) e un indebitamento contenuto (11,8%). Nel 2007, anno di massima espansione del ciclo economico, la redditività è salita ancora, ma il debito finanziario è aumentato più velocemente, come conseguenza della bolla del credito e dell’euforia raggiunta al culmine della fase espansiva: così l’Ivf ha cominciato a calare a circa 31. Nel 2008 è iniziata la crisi e si è assistito a una flessione della redditività e all’ulteriore crescita dell’indebitamento (Ivf crollato a 26,6). Nel 2009 il parziale recupero è stato registrato per la riduzione dell’indebitamento più marcata della flessione della redditività, mentre nel 2010 si è tornati ai livelli minimi del periodo, poiché, come detto, il recupero di redditività non ha compensato l’assorbimento di valore connesso all’aumento dell’indebitamento.La buona notizia tuttavia è che nel 2010 è calato il numero delle imprese italiane considerate a rischio, in base ai rating attribuiti da K Finance, utilizzati dalle banche per le valutazioni sul credito. In una scala da 1 a 7 (definita in base a numerosi fattori tra cui indebitamento, patrimonio, investimenti, redditività e anni di vita delle aziende), le imprese con rating 1 o 2 (quelle cioè a maggior rischio) sono scese dal 27 al 23%. Le aziende con i rating migliori (6 o 7) sono invece salite dal 7 al 9%. La media dell’industria italiana è di un rating attorno al 3. Ma lo scenario cambia molto a seconda dei settori e delle dimensioni delle aziende. In termini di solidità finanziaria e capacità di creazione di valore, i settori migliori sono utility, elettronica, meccanica e chimica; mentre i peggiori si confermano (come nel 2009) legno e carta, ceramiche e materiali da costruzione e mobili. I settori che sono peggiorati maggiormente nel 2010, nonostante il generale recupero, sono stati quello dell’edilizia, dell’industria estrattiva e della fabbricazione di veicoli.Alcuni settori sono dunque mediamente più solidi di altri. Lo stesso si può dire considerando le dimensioni aziendali: quanto più aumentano, tanto più cresce la solidità. «La ragione principale risiede nel fatto che il livello di indebitamento e quello di incidenza degli oneri finanziari calano all’aumentare della dimensione dei ricavi. Il calo ha un’accelerazione sopra la soglia dei 50 milioni di fatturato, anche perché le banche non si possono esporre a un rischio di credito troppo elevato in valore assoluto», osserva Grasso. La dimensione invece non appare tra i principali elementi in grado di influenzare la redditività.
Autore: Francesco Ninfole
Fonte:
Milano Finanza
La redditività e gli utili delle aziende italiane sono in ripresa. Le imprese hanno potuto beneficiare di minori oneri finanziari nel 2010 grazie al calo dei tassi e l’impatto è stato positivo sui profitti. Così le aziende hanno migliorato la solidità finanziaria: è diminuito il numero di imprese a rischio di insolvenza. Ma nello stesso anno si è ridotta la capacità delle aziende di creare valore: questo perché l’incremento di redditività non è comunque bastato a compensare l’aumento dello stock del debito, dovuto principalmente alla ricostituzione delle scorte, in seguito alla crisi del 2009 che aveva svuotato i magazzini delle aziende. È quanto emerge nel Rapporto sull’Industria Italiana 2012 elaborato da K Finance in collaborazione con The European House Ambrosetti. Riguardo all’andamento delle imprese nel 2011 (i bilanci sono ancora in via di approvazione), il presidente di K Finance Giuseppe Grasso anticipa: «Le aziende con export per oltre il 40% di fatturato hanno realizzato in molti casi risultati da record. Si sono aggravate invece le difficoltà per chi opera esclusivamente in Italia, vista la bassa domanda interna. Tuttavia negli ultimi due trimestri del 2011, proprio mentre il pil italiano tornava a scendere, c’è stata una flessione delle insolvenze: questo è un segnale positivo per la crescita nei prossimi trimestri».La redditività operativa delle aziende è risalita nel 2010 al 6,7 dal 6,5% dell’anno precedente. Il mol si è così avvicinato ai livelli del 2008 (7%). L’utile netto medio è invece risalito allo 0,8% dei ricavi (dallo 0,6%), soprattutto grazie al calo dell’incidenza degli oneri finanziari (scesi dall’1 allo 0,8% sui ricavi): questi ultimi sono diminuiti grazie al calo dei tassi di interessi che si è avuto nel 2010, in coincidenza con la politica monetaria espansiva della Bce. La discesa degli oneri finanziari è ancora più significativa se si considera che l’indebitamento è aumentato dal 9 al 15% dei ricavi, tornando agli stessi livelli del 2008. «L’indebitamento è aumentato per effetto della ricostituzione del capitale circolante, che si era fortemente ridotto nel 2009», spiega il rapporto. «Lo scenario sul credito allora era diverso da quello attuale: ora le banche sono più selettive nel credito e lo fanno a costi più alti», precisa Grasso.La crescita dei debiti ha superato quella della redditività, colpendo così la capacità di creazione di valore dell’industria manifatturiera italiana. K Finance e Ambrosetti hanno misurato il teorico valore finanziario delle aziende, ovvero la capacità di generare una redditività adeguata rispetto ai capitali impiegati, attraverso un Indice di Valore Finanziario (nel dettaglio, l’Ivf è stato calcolato come multiplo di sei volte l’ebitda meno i debiti, il tutto in rapporto ai ricavi). Ebbene, l’indice è calato da 29,9 a 26,7, ai minimi da sei anni (si veda grafico in pagina). L’andamento dell’indice, spiega il rapporto, è utile anche per interpretare l’evoluzione dell’industria italiana negli ultimi anni. Il momento di maggiore capacità di creare valore è stato raggiunto nel 2006 (Ivf pari a circa 33), con una redditività elevata (7,4%) e un indebitamento contenuto (11,8%). Nel 2007, anno di massima espansione del ciclo economico, la redditività è salita ancora, ma il debito finanziario è aumentato più velocemente, come conseguenza della bolla del credito e dell’euforia raggiunta al culmine della fase espansiva: così l’Ivf ha cominciato a calare a circa 31. Nel 2008 è iniziata la crisi e si è assistito a una flessione della redditività e all’ulteriore crescita dell’indebitamento (Ivf crollato a 26,6). Nel 2009 il parziale recupero è stato registrato per la riduzione dell’indebitamento più marcata della flessione della redditività, mentre nel 2010 si è tornati ai livelli minimi del periodo, poiché, come detto, il recupero di redditività non ha compensato l’assorbimento di valore connesso all’aumento dell’indebitamento.La buona notizia tuttavia è che nel 2010 è calato il numero delle imprese italiane considerate a rischio, in base ai rating attribuiti da K Finance, utilizzati dalle banche per le valutazioni sul credito. In una scala da 1 a 7 (definita in base a numerosi fattori tra cui indebitamento, patrimonio, investimenti, redditività e anni di vita delle aziende), le imprese con rating 1 o 2 (quelle cioè a maggior rischio) sono scese dal 27 al 23%. Le aziende con i rating migliori (6 o 7) sono invece salite dal 7 al 9%. La media dell’industria italiana è di un rating attorno al 3. Ma lo scenario cambia molto a seconda dei settori e delle dimensioni delle aziende. In termini di solidità finanziaria e capacità di creazione di valore, i settori migliori sono utility, elettronica, meccanica e chimica; mentre i peggiori si confermano (come nel 2009) legno e carta, ceramiche e materiali da costruzione e mobili. I settori che sono peggiorati maggiormente nel 2010, nonostante il generale recupero, sono stati quello dell’edilizia, dell’industria estrattiva e della fabbricazione di veicoli.Alcuni settori sono dunque mediamente più solidi di altri. Lo stesso si può dire considerando le dimensioni aziendali: quanto più aumentano, tanto più cresce la solidità. «La ragione principale risiede nel fatto che il livello di indebitamento e quello di incidenza degli oneri finanziari calano all’aumentare della dimensione dei ricavi. Il calo ha un’accelerazione sopra la soglia dei 50 milioni di fatturato, anche perché le banche non si possono esporre a un rischio di credito troppo elevato in valore assoluto», osserva Grasso. La dimensione invece non appare tra i principali elementi in grado di influenzare la redditività.
Autore: Francesco Ninfole
Fonte:
Milano Finanza