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Allarme Credit Crunch

La stretta creditizia arriva anche dall’Europa. Per salvare la tripla A, minacciata dal creditwatch delle agenzie di rating, la Banca europea degli investimenti (Bei) ha deciso di tagliare in modo drastico gli impieghi. Il nuovo presidente, il tedesco Werner Hoyer, ha annunciato un taglio netto di 11 miliardi dei prestiti per il 2012: 50 miliardi contro i 61 dell’anno scorso, con una riduzione del 18 per cento.

Per l’Italia, che insieme alla Spagna è il principale “cliente” della Bei, la decisione si traduce in una minore disponibilità di 1,6-1,7 miliardi di euro. Quest’anno, dunque, dalla Bei arriveranno circa 6,7 miliardi di euro contro gli 8,4 miliardi erogati lo scorso anno. Tutte risorse sottratte alle opere infrastrutturali e ai progetti di sviluppo delle Pmi. Senza contare l’effetto-leva che negli ultimi anni ha moltiplicato per tre le risorse messe a disposizione dall’istituto. «Dal 2006 – spiegano alla Bei – le Pmi italiane che hanno avuto accesso alle nostre linee di credito attraverso uno dei 34 gruppi bancari con cui operiamo nel paese sono state circa 60mila, per un totale di circa 12 miliardi e un importo medio di 200mila euro.

L’intervento della Bei in genere non può superare il 50% dell’importo complessivo dell’investimento. Per le piccole e medie imprese, che in Italia assorbono quasi un terzo dei finanziamenti, il contributo della banca europea controllata dai 27 stati Ue non può superare i 12,5 milioni ma può arrivare al 100% dell’investimento per i progetti di R&D. Hoyer non si è nascosto dietro un dito: «Per proteggere la propria solidità finanziaria la Bei ha bisogno di ridurre gradualmente il volume dei prestiti tornando ai livelli del 2008» ha detto presentando i risultati dello scorso anno. Proprio nel 2008 il consiglio Ecofin, di fronte all’aggravarsi della crisi dei mercati dopo il fallimento di Lehman Brothers, nella riunione di Nizza chiese alla Bei di aumentare del 30% il volume dei prestiti per contribuire a dare un po’ di respiro all’economia.

In prospettiva, però, l’aumento del volume dei prestiti mette a rischio l’equilibrio patrimoniale della banca dell’Unione europea che, per statuto, non può superare un rapporto tra impieghi e capitale di 2,5 volte. Oggi il capitale della Bei è di 232 miliardi (i primi tre soci sono Italia, Francia e Germania con poco più del 16% ciascuno), a fine 2011 gli impieghi totali hanno raggiunto i 480 miliardi. Si pone dunque un problema di ricapitalizzazione che dovrà essere affrontato nel 2014.

Un nodo serio. Che difficilmente gli Stati membri saranno in grado di sciogliere, anche tra due anni. Soprattutto se si tiene conto che il capitale effettivamente versato dagli stakeholder non supera il 5 per cento. La mossa di Hoyer è dunque un tentativo di posticipare la resa dei conti. Ma suona anche come un avvertimento agli Stati-azionisti, beneficiari diretti e indiretti dell’attività del più grande emittente sovranazionale. È la prima volta che la tripla A delle emissioni Bei viene messa in discussione. Mentre pende ancora il creditwatch negativo di S&P, proprio ieri Moody’s ha ufficializzato la decisione di confermare il merito di credito al massimo livello.

Il motivo principale che ha convinto gli analisti di Moody’s è la possibilità della Bei di accedere alla liquidità messa a disposizione dalla Bce. Segue la qualità degli asset. Solo al terzo posto c’è il «forte sostegno degli azionisti». Il tema è delicatissimo: il declassamento della banca si rifletterebbe immediatamente su tutto il sistema creditizio europeo che finora ha fatto incetta delle obbligazioni Bei considerate al top dell’affidabilità. Perciò nei mesi scorsi è stato ipotizzato anche il ricorso alla garanzia del bilancio comunitario per evitare il downgrading.


Autore: Roberto Napoletano
Fonte:

Il Sole 24 ORE

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