I paesi dell’area euro si stanno chiedendo come evitare in futuro altri disastri fiscali. È evidente che il patto di stabilità in vigore prima della crisi non ha funzionato a sufficienza, per due motivi.
Primo, il tetto del 3% del deficit in rapporto al Pil non è stato rispettato da tutti e la “voce grossa” la si faceva solo con i paesi piccoli. Secondo, quando la crescita era relativamente sostenuta non si sono accumulati quei surplus fiscali che dovevano essere la controparte dei deficit che puntualmente sono apparsi con la recessione del 2008-2009. Il patto esigeva questi surplus coerentemente con buoni principi di finanza pubblica.
Che piaccia o no, i paesi dell’area euro sono molto restii a delegare poteri fiscali a entità sovranazionali. Il bilancio è qualcosa che i politici si vogliono tenere ben stretto e vicino a casa per la sua grande valenza politica, che permette tutti gli scambi di favori che servono per mantenere in piedi le alleanze necessarie a governare. Ecco perché, avendo capito tutto ciò, i tedeschi premono per regole di bilancio introdotte nella legislazione nazionale di ogni paese, magari addirittura nella Costituzione, come hanno fatto loro.
In linea di principio hanno ragione. Il problema è quali regole. Una norma costituzionale molto semplice come il vincolo di bilancio in pareggio ogni anno è facile da verificare. Al tempo stesso, e proprio perché cosi semplice e verificabile, è molto rigida e non permette di avere i “normali” deficit ciclici durante le recessioni. Regole più complicate come un vincolo di bilancio in pareggio corretto per il ciclo diventano difficili da applicare. Come mettersi d’accordo su quale aggiustamento ciclico? E con quale orizzonte si dovrebbe rientrare dai deficit ciclici?
Igoverni si crogiolerebbero in questi dettagli tecnici, per garantirsi spazio di manovra annacquando la regola stessa. Un secondo problema di regole rigide è che invitano a bilanci “creativi” per aggirare le regole stesse. Il risultato è che la trasparenza del bilancio è compromessa e la regola, almeno in parte, viene violata nella sostanza se non nella forma.
Anche senza arrivare agli estremi della Grecia, che ha nascosto deficit enormi per “soddisfare” il patto di stabilità, il problema esiste. Un esempio: alcuni parlano di regole di bilancio in pareggio ma solo per le spese correnti e non per le infrastrutture. Il risultato sarebbe una riclassificazione di spese correnti in investimenti, rendendo il bilancio confuso e poco credibile.
Un’altra strada è quella di non adottare regole fisse ma eleggere un comitato di esperti indipendenti, dotato di uno staff adeguato, che ogni anno esprima un’opinione sul bilancio, ovvero se sia conforme o meno a criteri di prudenza e stabilità. Un organo del genere esiste in Svezia, dove ha ben funzionato e i suoi pareri sono presi sul serio. In Inghilterra ne è stato recentemente creato uno dal nuovo governo di Cameron, e qualcosa di simile esiste in Cile, tanto per fare alcuni esempi. Il vantaggio di questo sistema è di garantire più flessibilità, ma ovviamente funziona se il comitato è ascoltato e ha credibilità.
In alcuni paesi lo sarebbe, in altri meno. In Italia, anche ammesso di evitare che ogni governo elegga i suoi “amici”, temo che qualunque critica di un comitato genuinamente sopra le parti sarebbe immediatamente politicizzata. Lo stesso gruppo di membri del consiglio sarebbe accusato di essere di destra e di sinistra da due governi di tendenze opposte. Come valutare quindi regole alternative? Un buon principio sarebbe questo: i paesi che hanno più difficoltà a mantenere finanze stabili dovrebbero adottare regole molto rigide. I paesi storicamente e per natura meno propensi a perdere il controllo dei deficit avrebbero meno bisogno di regole rigide. Il problema e che succederà l’esatto opposto. I paesi già orientati al rigore favoriranno regole severe e le rispetteranno. Gli altri faranno il contrario.
Fonte: Il Sole-24 Ore
I paesi dell’area euro si stanno chiedendo come evitare in futuro altri disastri fiscali. È evidente che il patto di stabilità in vigore prima della crisi non ha funzionato a sufficienza, per due motivi.
Primo, il tetto del 3% del deficit in rapporto al Pil non è stato rispettato da tutti e la “voce grossa” la si faceva solo con i paesi piccoli. Secondo, quando la crescita era relativamente sostenuta non si sono accumulati quei surplus fiscali che dovevano essere la controparte dei deficit che puntualmente sono apparsi con la recessione del 2008-2009. Il patto esigeva questi surplus coerentemente con buoni principi di finanza pubblica.
Che piaccia o no, i paesi dell’area euro sono molto restii a delegare poteri fiscali a entità sovranazionali. Il bilancio è qualcosa che i politici si vogliono tenere ben stretto e vicino a casa per la sua grande valenza politica, che permette tutti gli scambi di favori che servono per mantenere in piedi le alleanze necessarie a governare. Ecco perché, avendo capito tutto ciò, i tedeschi premono per regole di bilancio introdotte nella legislazione nazionale di ogni paese, magari addirittura nella Costituzione, come hanno fatto loro.
In linea di principio hanno ragione. Il problema è quali regole. Una norma costituzionale molto semplice come il vincolo di bilancio in pareggio ogni anno è facile da verificare. Al tempo stesso, e proprio perché cosi semplice e verificabile, è molto rigida e non permette di avere i “normali” deficit ciclici durante le recessioni. Regole più complicate come un vincolo di bilancio in pareggio corretto per il ciclo diventano difficili da applicare. Come mettersi d’accordo su quale aggiustamento ciclico? E con quale orizzonte si dovrebbe rientrare dai deficit ciclici?
Igoverni si crogiolerebbero in questi dettagli tecnici, per garantirsi spazio di manovra annacquando la regola stessa. Un secondo problema di regole rigide è che invitano a bilanci “creativi” per aggirare le regole stesse. Il risultato è che la trasparenza del bilancio è compromessa e la regola, almeno in parte, viene violata nella sostanza se non nella forma.
Anche senza arrivare agli estremi della Grecia, che ha nascosto deficit enormi per “soddisfare” il patto di stabilità, il problema esiste. Un esempio: alcuni parlano di regole di bilancio in pareggio ma solo per le spese correnti e non per le infrastrutture. Il risultato sarebbe una riclassificazione di spese correnti in investimenti, rendendo il bilancio confuso e poco credibile.
Un’altra strada è quella di non adottare regole fisse ma eleggere un comitato di esperti indipendenti, dotato di uno staff adeguato, che ogni anno esprima un’opinione sul bilancio, ovvero se sia conforme o meno a criteri di prudenza e stabilità. Un organo del genere esiste in Svezia, dove ha ben funzionato e i suoi pareri sono presi sul serio. In Inghilterra ne è stato recentemente creato uno dal nuovo governo di Cameron, e qualcosa di simile esiste in Cile, tanto per fare alcuni esempi. Il vantaggio di questo sistema è di garantire più flessibilità, ma ovviamente funziona se il comitato è ascoltato e ha credibilità.
In alcuni paesi lo sarebbe, in altri meno. In Italia, anche ammesso di evitare che ogni governo elegga i suoi “amici”, temo che qualunque critica di un comitato genuinamente sopra le parti sarebbe immediatamente politicizzata. Lo stesso gruppo di membri del consiglio sarebbe accusato di essere di destra e di sinistra da due governi di tendenze opposte. Come valutare quindi regole alternative? Un buon principio sarebbe questo: i paesi che hanno più difficoltà a mantenere finanze stabili dovrebbero adottare regole molto rigide. I paesi storicamente e per natura meno propensi a perdere il controllo dei deficit avrebbero meno bisogno di regole rigide. Il problema e che succederà l’esatto opposto. I paesi già orientati al rigore favoriranno regole severe e le rispetteranno. Gli altri faranno il contrario.
Fonte: Il Sole-24 Ore