A leggere i commenti sulle finanze pubbliche dei Paesi europei mediterranei, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una situazione inedita. In realtà, default e ristrutturazioni di debiti pubblici non sono affatto una novità.
È infatti lungo l’elenco dei Paesi che negli ultimi decenni hanno dovuto effettuare aggiustamenti delle rispettive posizioni debitorie: si va dall’Ecuador al Venezuela, dall’Uruguay all’Argentina, dall’Indonesia (due volte), alla Nigeria e alla Costa d’Avorio. L’ultimo Paese europeo in ordine di tempo è stata la Russia, nel 1998. L’elenco permette inoltre di capire perché il fenomeno sia spesso dimenticato: negli ultimi anni sono stati coinvolti solo Paesi in via di sviluppo. L’ultima ristrutturazione che ha coinvolto un’economia sviluppata è stata nel 1948, in Germania.
Ma se si getta uno sguardo più lontano nel passato si constaterà che anche le economie mature ne sono state frequentemente vittima. A partire dal 1800 le ristrutturazioni sono state 46, e di queste 13 hanno interessato la Germania.La ricca esperienza storica consente di individuare anche una successione di eventi tipica. Di solito tutto prende avvio da un crollo dei mercati azionari o immobiliari. La crescita economica rallenta. L’inflazione comincia a crescere e non si arresta nemmeno dopo una ristrutturazione. La divisa conosce una forte svalutazione e il sistema bancario entra in crisi. A questo punto può verificarsi una sospensione dei pagamenti. Le probabilità in tal senso aumentano quando gli impegni superano l’80% del pil e il costo degli interessi reali supera significativamente la crescita reale. Il Paese, cui viene precluso l’accesso ai mercati finanziari, deve ristrutturarsi internamente, sebbene a condizioni meno dure, dal momento che la spesa per interessi è stata notevolmente ridotta con la ristrutturazione.A questo punto gli Stati cercano di ridurre l’ammontare del debito pubblico.
In primo luogo l’onere reale del debito può essere alleggerito per effetto di un aumento inatteso dell’inflazione. In secondo luogo è possibile ridurre l’onere percentuale grazie a un’accelerazione della crescita economica. Quest’ultima, al pari dell’inflazione, non è direttamente influenzabile. L’analisi storica mostra che i prezzi tendono in genere ad accelerare prima di una situazione d’insolvenza, già così determinando la correzione di una larga porzione degli interessi da corrispondere. Per contro, l’espansione economica può comportare anche un aggravio dell’onere degli interessi.Un controllo diretto da parte dei governi è esercitabile – nel migliore dei casi – sul primo e sull’ultimo punto. Il bilancio dello Stato dev’essere riportato a livelli sostenibili e questo obiettivo può essere perseguito o con un aumento delle imposte o mediante risparmi di spesa. Quest’ultima strada è più efficace, ma politicamente più difficile da percorrere. I consolidamenti fiscali sono più semplici da attuare laddove sia stata raggiunta un’intesa comune sulla struttura del debito, come si è verificato ad esempio nel caso dei conflitti bellici. Ma quando la polarizzazione delle forze politiche è accentuata, percorrere questa via è difficile. A tal riguardo è sorprendente constatare il modesto livello di protesta politica che ha accolto l’introduzione delle misure di austerità in Gran Bretagna e in Irlanda. D’altro canto il tono raggiunto da queste proteste in Grecia mostra quanto difficile possa essere coagulare il consenso attorno a queste misure. Inoltre, può avvenire un afflusso di capitali dall’esterni. Ciò ha senso tuttavia solo se è possibile ottenere nuovi crediti a tassi di interesse significativamente inferiori. Infine, è possibile arrivare a un alleggerimento del carico del debito pubblico attraverso una ristrutturazione o una riduzione dello stesso. Nel caso in cui quest’ultima opzione si riveli troppo complicata resterà la carta della ristrutturazione. Anche questa implica in realtà l’immediato superamento dei deficit di bilancio, dal momento che questi non vengono più finanziati.
Per i Paesi con un fabbisogno di credito nel prossimo anno, in percentuale del pil, del 7,8% in Grecia, del 7,3% in Portogallo o del 9,2% in Spagna, ciò potrà avvenire solo dopo un primo consolidamento. E i Paesi che hanno operato una conversione del debito hanno già provveduto a un aggiustamento del proprio deficit, registrando in media un avanzo di bilancio. A differenza di precedenti episodi, le attuali difficoltà sorgono nel contesto dell’Unione monetaria, con la conseguenza, per i Paesi che si trovano a fronteggiare queste difficoltà, di non poter contare sulla politica monetaria. Ricorrere all’inflazione per svalutare il debito in termini reali è attuabile solo in misura limitata. E non è nemmeno possibile svalutare il cambio. Un’accelerazione della crescita economica attraverso un miglioramento della competitività dovrà passare in questo caso per una riduzione del costo del lavoro, situazione che abbiamo già avuto modo di osservare nella diminuzione del reddito dei dipendenti statali in Gran Bretagna, Grecia e Spagna. D’altro canto, l‘Unione monetaria offre anche enormi vantaggi. La garanzia implicita prestata dagli altri Stati membri ha consentito attraverso diversi meccanismi un apporto di capitali a condizioni meno onerose. Ciò ha reso possibile una prima forma di consolidamento.Quello che accadrà alla scadenza delle garanzie nel 2013 lo dirà l’esito di un’analisi costi/benefici condotta dagli Stati prestatori come la Germania e da quelli beneficiari come la Grecia. Una ristrutturazione appare una possibilità reale. Ma ci sono precedenti sufficienti ad analizzarne le probabilità e valutarne le conseguenze. E nel lungo termine ciò avrà ripercussioni positive: una ristrutturazione riduce la spesa per interessi e i premi per il rischio, e nella maggior parte dei casi ha innescato un’espansione economica. In tal senso l’attuale crisi delle finanze pubbliche è solo l’ultima di una lunga serie, e come tale andrebbe trattata.
Autore: Florian Estere
Fonte: Milano Finanaza
A leggere i commenti sulle finanze pubbliche dei Paesi europei mediterranei, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una situazione inedita. In realtà, default e ristrutturazioni di debiti pubblici non sono affatto una novità.
È infatti lungo l’elenco dei Paesi che negli ultimi decenni hanno dovuto effettuare aggiustamenti delle rispettive posizioni debitorie: si va dall’Ecuador al Venezuela, dall’Uruguay all’Argentina, dall’Indonesia (due volte), alla Nigeria e alla Costa d’Avorio. L’ultimo Paese europeo in ordine di tempo è stata la Russia, nel 1998. L’elenco permette inoltre di capire perché il fenomeno sia spesso dimenticato: negli ultimi anni sono stati coinvolti solo Paesi in via di sviluppo. L’ultima ristrutturazione che ha coinvolto un’economia sviluppata è stata nel 1948, in Germania.
Ma se si getta uno sguardo più lontano nel passato si constaterà che anche le economie mature ne sono state frequentemente vittima. A partire dal 1800 le ristrutturazioni sono state 46, e di queste 13 hanno interessato la Germania.La ricca esperienza storica consente di individuare anche una successione di eventi tipica. Di solito tutto prende avvio da un crollo dei mercati azionari o immobiliari. La crescita economica rallenta. L’inflazione comincia a crescere e non si arresta nemmeno dopo una ristrutturazione. La divisa conosce una forte svalutazione e il sistema bancario entra in crisi. A questo punto può verificarsi una sospensione dei pagamenti. Le probabilità in tal senso aumentano quando gli impegni superano l’80% del pil e il costo degli interessi reali supera significativamente la crescita reale. Il Paese, cui viene precluso l’accesso ai mercati finanziari, deve ristrutturarsi internamente, sebbene a condizioni meno dure, dal momento che la spesa per interessi è stata notevolmente ridotta con la ristrutturazione.A questo punto gli Stati cercano di ridurre l’ammontare del debito pubblico.
In primo luogo l’onere reale del debito può essere alleggerito per effetto di un aumento inatteso dell’inflazione. In secondo luogo è possibile ridurre l’onere percentuale grazie a un’accelerazione della crescita economica. Quest’ultima, al pari dell’inflazione, non è direttamente influenzabile. L’analisi storica mostra che i prezzi tendono in genere ad accelerare prima di una situazione d’insolvenza, già così determinando la correzione di una larga porzione degli interessi da corrispondere. Per contro, l’espansione economica può comportare anche un aggravio dell’onere degli interessi.Un controllo diretto da parte dei governi è esercitabile – nel migliore dei casi – sul primo e sull’ultimo punto. Il bilancio dello Stato dev’essere riportato a livelli sostenibili e questo obiettivo può essere perseguito o con un aumento delle imposte o mediante risparmi di spesa. Quest’ultima strada è più efficace, ma politicamente più difficile da percorrere. I consolidamenti fiscali sono più semplici da attuare laddove sia stata raggiunta un’intesa comune sulla struttura del debito, come si è verificato ad esempio nel caso dei conflitti bellici. Ma quando la polarizzazione delle forze politiche è accentuata, percorrere questa via è difficile. A tal riguardo è sorprendente constatare il modesto livello di protesta politica che ha accolto l’introduzione delle misure di austerità in Gran Bretagna e in Irlanda. D’altro canto il tono raggiunto da queste proteste in Grecia mostra quanto difficile possa essere coagulare il consenso attorno a queste misure. Inoltre, può avvenire un afflusso di capitali dall’esterni. Ciò ha senso tuttavia solo se è possibile ottenere nuovi crediti a tassi di interesse significativamente inferiori. Infine, è possibile arrivare a un alleggerimento del carico del debito pubblico attraverso una ristrutturazione o una riduzione dello stesso. Nel caso in cui quest’ultima opzione si riveli troppo complicata resterà la carta della ristrutturazione. Anche questa implica in realtà l’immediato superamento dei deficit di bilancio, dal momento che questi non vengono più finanziati.
Per i Paesi con un fabbisogno di credito nel prossimo anno, in percentuale del pil, del 7,8% in Grecia, del 7,3% in Portogallo o del 9,2% in Spagna, ciò potrà avvenire solo dopo un primo consolidamento. E i Paesi che hanno operato una conversione del debito hanno già provveduto a un aggiustamento del proprio deficit, registrando in media un avanzo di bilancio. A differenza di precedenti episodi, le attuali difficoltà sorgono nel contesto dell’Unione monetaria, con la conseguenza, per i Paesi che si trovano a fronteggiare queste difficoltà, di non poter contare sulla politica monetaria. Ricorrere all’inflazione per svalutare il debito in termini reali è attuabile solo in misura limitata. E non è nemmeno possibile svalutare il cambio. Un’accelerazione della crescita economica attraverso un miglioramento della competitività dovrà passare in questo caso per una riduzione del costo del lavoro, situazione che abbiamo già avuto modo di osservare nella diminuzione del reddito dei dipendenti statali in Gran Bretagna, Grecia e Spagna. D’altro canto, l‘Unione monetaria offre anche enormi vantaggi. La garanzia implicita prestata dagli altri Stati membri ha consentito attraverso diversi meccanismi un apporto di capitali a condizioni meno onerose. Ciò ha reso possibile una prima forma di consolidamento.Quello che accadrà alla scadenza delle garanzie nel 2013 lo dirà l’esito di un’analisi costi/benefici condotta dagli Stati prestatori come la Germania e da quelli beneficiari come la Grecia. Una ristrutturazione appare una possibilità reale. Ma ci sono precedenti sufficienti ad analizzarne le probabilità e valutarne le conseguenze. E nel lungo termine ciò avrà ripercussioni positive: una ristrutturazione riduce la spesa per interessi e i premi per il rischio, e nella maggior parte dei casi ha innescato un’espansione economica. In tal senso l’attuale crisi delle finanze pubbliche è solo l’ultima di una lunga serie, e come tale andrebbe trattata.
Autore: Florian Estere
Fonte: Milano Finanaza