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Crediti in sofferenza, meglio mettersi d’accordo

I dati Abi e Bankitalia evidenziano un aumento dei crediti incagliati e delle sofferenze che appesantiscono i risultati degli intermediari creditizi utili di questi ultimi. In passato gli uffici delle banche preposti al recupero crediti privilegiavano un’attività di tipo giudiziale imperniata su un’ormai arcaica concezione autoreferenziale del sistema creditizio. L’introduzione di misure correttive di alcune prassi bancarie (anatocismo, tassi uso piazza, commissionidi massimo scoperto) hanno altresì dato slancio alle contestazioni della clientela andando a ledere il prestigio delle banche italiane.

Per esternalizzare i rischi in essere gli intermediari hanno fatto ricorso a cartolarizzazioni e a cessioni pro soluto di stock di crediti problematici. Siffatte operazioni di finanza aziendale hanno riscosso un discreto successo, ma le ultime vicissitudini finanziarie obbligano gli istituti a rivisitare i processi di concessione e gestione del credito per ridurre le probabilità di insolvenza.Le banche di minori dimensioni, in particolare, oggi sono impegnate a contenere sia gli accantonamenti sia le spese legali sostenute per ottenere in modo coattivo il recupero degli insoluti. Il ruolo degli istituti di credito dovrà, quindi, divenire in maggior misura propositivo nei confronti dei propri clienti, mirando ad assumere una veste di tipo consulenziale nella programmazione di accordi di definizione bonaria.In questa prospettiva, più che di una tecnica aggressiva di recupero, si può cominciare a parlare di una «aggressività tecnica» orientata alla ricerca di una soluzione condivisa per il rientro dell’esposizione, e da modulare sul singolo debitore. Non a caso una recente circolare Bankitalia prescrive agli operatori creditizi maggiore cautela nel classificare a sofferenza i crediti a rischio esortando a una più prudente analisi della situazione economica e finanziaria del cliente. Solo tramite un innovativo approccio al cliente moroso, di tipo più collaborativo si potrà giungere a una transazione stragiudiziale che consenta un recupero soddisfacente e senza necessariamente passare a sofferenza il credito.

Si segnala, inoltre, che la rinnovata legge fallimentare si è dotata di strumenti di tutela del credito improntati alla «privatizzazione» della gestione delle crisi d’impresa, concedendo massimo spazio all’autonomia negoziale dei soggetti coinvolti in modo da favorire il salvataggio dell’azienda.L’applicazione a regime delle sistemazioni extragiudiziali, nel perseguire la riduzione del contenzioso, si propone di migliorare la fiducia della clientela e, più in generale, di progettare un moderno disegno politico-sociale basato sulla diffusione della conciliazione quale strumento principale di risoluzione delle liti. L’introduzione dell‘Arbitro Bancario Finanziario I numerosi organismi deputati alla risoluzione consensuale delle controversie, la mediazione civile e commerciale, sono sicuramente esempi calzanti di questa nuova concezione, che trae altresì origine da provvedimenti normativi di derivazione comunitaria. Ne consegue che le banche territoriali dovranno avviare grandi programmi di formazione dedicati agli specialisti del recupero crediti: tale investimento si rende indifferibile perché questa categoria di collaboratori possa contribuire alla competitività e al successo aziendale.

Gli specialisti della gestione dei crediti non performing avranno bisogno di affinare le proprie competenze al fine di definire in via soprattutto conciliativa le pratiche assegnate avendo cura di sviluppare speciali capacità di tipo relazionale, oltre che di negoziazione, al precipuo scopo di aiutare il cliente a rimborsare più agevolmente quanto dovuto dissuadendolo dal proporre domande giudiziali in danno della Banca. È forse questa più moderna cornice di fattiva cooperazione quella che risulta più coerente con la congenita vocazione di detti Istituti.


Autore: Daniele Argentieri
Fonte: Milano Finanza

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